Dal sir di M. Michela Nicolais

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Attualmente, nei porti italiani si registra un transito di circa cinque milioni di marittimi. Il Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti organizzerà a Roma, dal 19 al 23 novembre, il XXIII Congresso mondiale dell’apostolato del mare, un evento che, in sintonia con il Sinodo dei vescovi di ottobre, sarà dedicato alla nuova evangelizzazione. Sulle navi, “ci sono persone di diverse culture, etnie, religioni, visioni della vita. La ‘chiave’ per salire sulle navi e parlare con tutti, credenti e non credenti, è far capire che la Chiesa va verso i marittimi perché sono figli di Dio”. A parlare al Sir in questi termini del settore della Cei dedicato all’apostolato del mare è il direttore dell’Ufficio, don Natale Ioculano. Lo abbiamo intervistato.

“Un salto di qualità dell’impegno ecclesiale a favore della gente di mare”: queste le parole usate dal segretario generale della Cei per definire il vostro nuovo Ufficio. Come ne illustrerebbe le attività?
“Mons. Crociata si è soffermato sulla prospettiva nuova con cui la Chiesa italiana guarda a questo settore. L’Ufficio, nel passaggio dalla Fondazione Migrantes alla Segreteria generale avrà uno sguardo centrato sulla dignità del lavoratore. Ci rivolgiamo a persone che sono dei professionisti, e che non sempre vedono riconosciuta dagli armatori la loro professione: l’attenzione all’ambito dell’apostolato del mare è un modo per dire ai marittimi che la Chiesa è vicina a loro, anche se non hanno la possibilità di vivere il proprio rapporto con la comunità ecclesiale nello stesso modo in cui si vive sulla terraferma”.

Quante sono le persone coinvolte nell’apostolato del mare?
“I Centri Stella Maris in Italia attualmente sono 29, dislocati in quasi tutti i porti importanti. In essi prestano la loro opera circa 300 persone, tutti volontari. Un altro passo che intendiamo fare, come Ufficio, è quello di rendere i volontari un’associazione di operatori pastorali, perché l’accoglienza non è solo assistenza. L’attività del settore dell’apostolato del mare consiste anche nel promuovere, nel denunciare quando le cose non vanno: se è bene curare le ferite, è anche bene prevenire che le ferite vengano procurate”.

Si è da poco svolta la prima assemblea nazionale annuale della Federazione Stella Maris, dopo la costituzione dell’Ufficio. Quali le novità e gli impegni?
“La Federazione è nata nel 2006 per dare più voce ai singoli Centri, che da soli rischiavano di perdere forza e potere contrattuale. Attualmente la Federazione Stella Maris raccoglie i presidenti dei 20 dei 29 Centri, per fornire servizi adeguati ad ognuno di essi e per svolgere un’attività che vada a favore di tutti i Centri, non solo di quelli federati. L’obiettivo è far diventare tutte le associazioni delle associazioni private di fedeli, in modo da ristabilire il legame con le diocesi e nello stesso tempo rendere le diocesi più responsabili nei confronti dei volontari, affinché non si sentano abbandonati a se stessi ma parte integrante della Chiesa. Dare un volto giuridico idoneo alle associazioni, trasformandole in associazioni private di fedeli, diventa anche un modo per tenere distinte la figura dei volontari laici dai cappellani, con i loro specifici ruoli”.

Quanto è importante la figura del cappellano?
“In quanto sacerdote, il cappellano ha il compito specifico di indirizzare i volontari laici a svolgere al meglio il loro ruolo. Questi ultimi, grazie proprio alla presenza e all’azione dei cappellani, percorrono uno specifico cammino formativo che li aiuta, come volontari, a vivere tale dimensione. I laici, da parte loro, svolgono un ruolo che diventa opera, grazie alla loro esperienza delle ‘cose del mondo’, e l’ottica diventa quindi quella della collaborazione reciproca. Un’altra attenzione specifica che come Ufficio vogliamo incrementare è quella nei confronti dei cappellani a bordo delle navi da crociera: sono circa una trentina, di cui 13 a tempo pieno e 18 temporanei, oltre ad alcuni giovani sacerdoti, debitamente formati, che in questo periodo estivo danno il cambio ai cappellani a tempo pieno per permettere loro di riposarsi. C’è stato un tempo in cui i cappellani sono stati un ‘corpo’, poi alcune caratteristiche sono venute meno, anche perché il loro numero è diminuito e le esigenze sono aumentate. Ora vorremmo ricostituire questo ‘spirito di corpo’, per far sentire questi preti sempre più corresponsabili: è un’eccellenza, quella dei cappellani, di cui andiamo fieri, non c’è nessun altra realtà simile alla nostra, al di fuori della Chiesa italiana. Proprio per loro, stiamo pensando ad un Convegno da tenere la prossima estate, a Roma, nel periodo in cui le navi sono nei porti del Mediterraneo”.

Quali sono le richieste e le necessità più urgenti del “popolo del mare” di cui farsi portavoce?
“I marittimi non si sentono riconosciuti come cittadini. Mons. Martino, il mio predecessore, utilizzava l’espressione ‘cittadini ad ore’: nessuno li considera, non votano, non sporcano, nessuno si accorge della loro esistenza, se non quando scendono a terra o una nave viene sequestrata. C’è un’ignoranza totale, tra la gente, nei confronti della vita marittima, e il naufragio della Concordia – su cui si è scritto tutto e il contrario di tutto – lo ha dimostrato. I marittimi, in altre parole, non incrociano le nostre rotte. L’intento della Chiesa, invece, è quello di farli sentire accolti, nella loro dignità anzitutto di persone che lavorano e per le quali, ad esempio, occorrerebbe regolarizzare meglio i turni di lavoro, magari di concerto con i sindacati. Non siamo presenti nei porti per vendere qualcosa, per erogare servizi o semplicemente per aiutare persone svantaggiate: la Chiesa vuole dare ai marittimi la possibilità di ‘sentirsi a casa, lontani da casa’, come recita lo slogan dei nostri Centri”.

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