L’articolo è lungo, però ve lo proponiamo perchè vale la pena soffermarsi un attimo sulle tematiche affrontate da Don Dino.

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – In una sala gremita (l’auditorium comunale di San Benedetto del Tronto) è stato presentato lunedì 11 giugno, l’ultimo libro di Don Dino Pirri: “Dalla sacrestia a Gerico”. Dopo l’introduzione di Mimmo Minuto della Bibliofila e del direttore dell’Ancora Pietro Pompei, che ha ricordato che questi incontri sono stati organizzati per festeggiare il trentennale del settimanale diocesano, a prendere la parola è stato il Vescovo Gervasio Gestori.

Il Vescovo
Gestori: “Il primo suggerimento che ho raccolto scorrendo il libro di Don Dino è che nell’annuncio del Vangelo il primo problema non sono gli ascoltatori, ma l’avversità dl contesto culturale, la cattiveria di chi non ti vuole ascoltare o ti ascolta solo per criticarti.
Gli apostoli dopo la pentecoste partirono senza discutere, oggi il problema dell’annuncio del Vangelo o della scristianizzazione non è la gente ma gli evangelizzatori. Bisogna poi avere fiducia nell’evangelizzare, fiducia meno nelle nostre parole e più nella Parola di Cristo. Nel Vangelo c’è un episodio molto caro al Cardinale Carlo Maria Martini:Il contadino va in campagna semina torna a casa si riposa, dorme,  mangia, ma il seme è stato gettato. Se le condizioni sono buone, il seme cresce. Così noi dobbiamo avere fiducia nella potenza del Vangelo.

In questa opera di annuncio bisogna mettersi in ascolto di Gerico, anche se gli abitanti sono lontani, differenti e contrari, la nuova evangelizzazione deve saper rapportarsi con la gente cieca e disastrata che ci vive accanto con l’avvertenza che non siamo noi ad avvicinare chi ha problemi, ma sono loro che si mettono in contatto con noi, nei momenti più imprevedibili, tocca a noi accogliere chi si avvicina nei momenti più strani e che ha bisogno. Venerdì 17 febbraio in Vaticano il Cardinale Timothy Dolan un simpatico personaggio stile nord americano davanti al Papa raccontò di un suo prete che lo invitò a smetterla di sorridere per le strada della sua diocesi per evitare di farsi arrestare.
Il prete conoscendo le persone di New York affermava che sorridendo avrebbe provocato l’irritazione delle persone.

Manifestarsi contenti è una cosa sbagliata? Come se la gioia fosse una cosa pericolosa. Entrando in Gerico la gente chiede a noi di essere dei discepoli di Cristo anche preparati, competenti ma soprattutto sereni e sorridente”.

La presentazione è poi proseguita con l’interazione tra i giovani scrittori di San Benedetto del Tronto Lorenzo Ribeca e Raffaella Stacciarini con Don Dino Pirri.

La prima domanda l’ha posta Lorenzo: “La cosa bella di questo libro è la gioia, riuscendo a far capire che la parola di Dio non è astratta ma che si concretizza tutti i giorni con i fatti reali. Sacrestia e Gerico due luoghi, ma cosa rappresentano? Quale strada dobbiamo percorrere per la nuova evangelizzazione”?
Don Dino Pirri: “Io non sono uno di quelli che dicono che bisogna uscire dalla Sacrestia perché puzza di muffa.
La sacrestia è il luogo dove arrivano i poveri, le persone che cercano qualcosa o qualcuno, la sacrestia è anche il luogo dove si chiacchiera e si condivide l’esperienza e dove la comunità cristiana scopre i suoi limiti.
La sacrestia però purtroppo è un luogo dove ci siamo solo noi.
Perché verso Gerico? Perché il popolo di Israele quando arrivò alla Terra promessa si trovò di fronte a Gerico che era la città per cui bisognava entrare per adempiere alla parola di Dio.
Gli esploratori di Mosè quando tornano indietro dalla città, dicono che le mura sono inespugnabili, la popolazione è prospera e l’esercito troppo forte.
A noi che stiamo nella sacrestia il mondo esterno può apparire come Gerico, cioè un luogo che ci sta davanti che vediamo come un luogo che ci fa paura, da cui vorremo difenderci o scappare, è un mondo che parla una lingua diversa che ha mezzi più forti, che ha delle mura che non ci fa vedere nemmeno attraverso, ma è un mondo in cui dobbiamo entrare perché altrimenti la promessa di Dio non si realizza.

Lorenzo: “Ma il tuo libro Don Dino a chi è rivolto?”
Don Dino: “In questi mesi ho scoperto che molti che non fanno parte della sacrestia, il libro l’hanno preso e l’hanno capito anche in profondità.
In cui si sono ritrovati nelle domande che ho posto nel libro”.

Raffaella: “Vorrei partire con un aneddoto storico, quando Carlo Magno fece il concilio di Tour nell’anno  813, stabilendo che la predicazione doveva avvenire nelle lingue parlate dai popoli e non in latino, lingua che capivano in pochi, affrontando così il problema dell’allontanamento dalla Chiesa per via della comunicazione.
Anche oggi l’allontanamento dalla Chiesa è un problema di comunicazione?”
Don Dino: “Si è un problema di comunicazione, perché paradossalmente abbiamo tutti i possibili mezzi, però bisogna conoscerne i linguaggi.
Abbiamo necessità di imparare la stessa lingua di Gerico, se io adesso iniziassi a parlare in Ucraino, potrei dire delle cose bellissime ma nessuno di voi capirebbe nulla.
A volta noi facciamo così quando annunciamo il Vangelo, perché usiamo delle categorie che non sono più rapportabili con il nostro tempo.
Diciamo cose giuste ma non siamo in sintonia con gli altri.
La comunicazione riguarda anche gli atteggiamenti.
Quando delle persone che non frequentano la Chiesa partecipano alla liturgia domenicale, entrando, dal volto del sacerdote e dell’assemblea coglie che quello è un popolo che sta incontrando Cristo Risorto? O crede che non c’è differenza con le persone che sono in fila dal dentista?
A volte non comunichiamo questa gioia questa esultanza nell’incontrare Cristo.
Per non dire di quando usciamo dalla Chiesa, che appena c’è la benedizione di corsa scappiamo dicendo “meno male che è finita”.
Chi ci osserva da fuori difficilmente comprende che stiamo vivendo un momento gioioso.
Dobbiamo risolvere il problema di comunicazione, perché la vita nella Chiesa è spesa per gli altri.
Perché come sta succedendo nelle terre terremotate chi si sta dando da fare è soprattutto il mondo cattolico:l’Azione Cattolica, gli Scout, però noi non lo sappiamo raccontare e ci attaccano per altri motivi come per il viaggio del Papa a Milano.

Lorenzo: “Circa il 90% si dichiara cattolico anche se poco più di un terzo è praticante, ma se fosse vero ad esempio non dovrebbe esserci la corruzione, i cattolici cambiano la società in cui vivono o non agiscono?
Don Dino: “Fa cortocircuito nella mia vita il dire “credenti non praticanti”, perché non esistono, è come dire di essere sposato con una persona e non baciarla mai.
Ci sono due fatti:
1) Di mezzo c’è il peccato, come dice San Paolo:“infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio”.
2) C’è un problema di linguaggio, che non sappiamo comunicare ciò che fanno i Cristiani ogni giorno al lavoro, nella politica, nelle piazze.
Comunque non è un problema di numeri, non è un problema di sedie da riempire, però invito anche voi ad essere più radicali e a vivere appieno il Vangelo, ad essere più Cristiani nella vita di tutti i giorni.

Lorenzo: “Ci sono dei nuovi peccati, come per l’ambiente, il rispetto del codice della strada, l’evasione fiscale, sporcare la spiaggia, questi sono peccati o no?”
Don Dino: “Nei gruppi della Chiesa questi temi sono al centro, come per gli scout e per i ragazzi dell’Azione Cattolica. Forse c’è poca attenzione di questi temi quando c’è la predicazione.
Forse dovrebbero essere un po’ più rilanciati.”

Raffaella: “Ugo Ojetti, scrisse odio il punto esclamativo”, Don Dino tu ne hai messi 87 in 145 pagine, perché questo entusiasmo?”
Don Dino: “Forse hai ragione nel prossimo libro avrà un solo punto esclamativo.
Quando tu incontri Gesù sulla strada della vita e quando ti accorgi che ti riempi la vita e vale veramente seguirlo, il punto esclamativo è un mezzuccio che ne racconta soltanto una minima parte.
Nel mio cuore i punti esclamativi stanno a mille.”

Lorenzo: “Pasolini nel suo libro scrisse: “La Chiesa ha insomma fatto un patto col diavolo, cioè con lo Stato borghese. Non c’è contraddizione più scandalosa infatti che quella tra religione e borghesia, essendo quest’ultima il contrario della religione.
Il potere monarchico o feudale lo era in fondo di meno.
Il fascismo, perciò, in quanto momento regressivo del capitalismo, era meno diabolico, oggettivamente, dal punto di vista della Chiesa, che il regime democratico: il fascismo era una bestemmia, ma non minava all’interno la Chiesa, perché esso era una falsa nuova ideologia.
Il Concordato non è stato un sacrilegio negli anni Trenta, ma lo è oggi, se il fascismo non ha nemmeno scalfito la Chiesa, mentre oggi il neocapitalismo la distrugge.
L’accettazione del fascismo è stato un atroce episodio:ma l’accettazione della civiltà borghese capitalistica è un fatto definitivo, il cui cinismo non è solo una macchia, l’ennesima macchia nella storia della Chiesa, ma un errore storico che la Chiesa pagherà probabilmente con il suo declino.”

Continua poi Lorenzo: “Don Dino, ciò sta accadendo? Cosa deve fare la Chiesa per rompere questo patto con il capitalismo?
Don Dino Pirri: “Ricordo l’enciclica  “Centesimus Annus” del Beato Giovanni Paolo II che fece un analisi molto attenta dei sistemi economici, “sia il capitalismo che il comunismo come noi lo abbiamo conosciuto avrebbe condotto il mondo al dolore” per cui credo che la Chiesa, anche prima di Pasolini, si abitui alle cose, e si contraddica con ciò che il Vangelo ci chiede.
A volte abbiamo perso la vigilanza di accorgercene.
La nostra felicità dipende da altro”.

È intervenuto poi il Vescovo Gervasio Gestori: “Le indicazioni di Don Dino vanno allargate e aumentate, ascoltando la conversazione pensavo: duecento anni fa Napoleone Bonaparte voleva distruggere la Chiesa Cattolica, il Cardinale segretario di stato di allora predecessore di Tarcisio Bertone gli rispose, “Maestà sono passati 1800 anni non ci siamo riusciti noi a distruggerla”.
Sotto l’osservatore romano ci sono due frasi significative:“a ciascuno il suo” e “non prevaranno”.
La Chiesa è in una botte di ferro, abbiamo la garanzia e la sicurezza soprannaturale dataci da Cristo.
Il contesto attuale può farci suscitare domande e timori, ma noi dobbiamo andare avanti sereni, perché noi siamo realisti.
Il peccato peggiore contro Dio è l’astrazione non avere i piedi per terra.
La concretezza ci dà la possibilità di vedere le cose con lucidità ed in maniera profonda.
Il Signore ci dice di essere contenti.
Penso che il sorriso oggi faccia più bene e sfondi di più della carità, perché la maggiora parte delle persone ha tutto, ma non ha un sorriso o la gioia, famoso il detto sul sorriso: “Nessuno è così ricco di poterne fare a meno, né così povero da non poterlo donare”.
Gesù pensava che i discepoli erano dei peccatori per questo ha istituito il sacramento della confessione come l’Ave Maria è la preghiera dei peccatori.
Bisogna essere ottimisti e sentirci miserabili, dobbiamo mettere insieme la sacrestia e Gerico.

Raffaella: “Don Dino scrive, mi piace una Chiesa che invece di giudicare e insegnare sia capace di accogliere di attrarre di educare attraverso l’entusiasmo di abbracciare tutti.
Io però vedo tutt’altro, vedo una Chiesa che non accoglie i divorziati, gli omosessuali, perchè?
Don Dino: “Prima racconto un aneddoto, un sera mentre chiudevo la Chiesa dopo una lunga giornata, mi si presenta un tale in sacrestia, di origine Albanese, io subito gli ho iniziato a dire che non avevo soldi, che noi i soldi non li diamo, se poteva passare il giorno dopo, lui mi faceva parlare ed ascoltava.
Al termine del mio “pippone” mi fa:“Padre io ero venuto per battezzare mio figlio”.
Questo atteggiamento nasce dal fatto che noi ci crediamo meglio dell’altro.
L’accoglienza è un terreno su cui ci dobbiamo confrontare, mancano a volte questi segni di accoglienza.
Per non essere teorici, dobbiamo fare come faceva Gesù che non dava ragione a tutti, ma stava con tutti con amore, che non chiedeva niente, ma si offriva e poi da questo primo incontro si inizia a camminare insieme, allora i divorziati, gli omosessuali, gli extra comunitari non sono più dei problemi non più delle categorie, ma sono delle persone che io conosco ed imparo ad amare, ad accogliere un mondo che prima mi era sconosciuto.
Questa accoglienza non vuol dire dare ragione o diluire il Vangelo o far finta di pensarla in maniera diversa”.

Raffaella interrompe Don Dino, incalzandolo con un’altra domanda: “Una settimana fa c’è stata un aggressione nei confronti dei Gay a Chieti, c’era un aperitivo, sono arrivati dei nazifascisti che hanno aggredito 5 persone.
Il parroco di Chieti ha detto:“Che vi siete messi in piazza a fare non ve lo aspettavate?”
Don Dino: “Ha sbagliato, speriamo che a questo parroco qualcuno regali il mio libro, il giudizio non va mai, non bisogna giudicare nessuno nel senso di condanna, questo non vuol dire di non avere delle idee.”

È poi intervenuto il sindaco di San Benedetto del Tronto Giovanni Gaspari: “Ci tenevo ad essere presente e parto da un esperienza personale.
Frequentavo la sacrestia, era un modo per stare bene per noi ragazzi che facevamo i chierichetti, un luogo d’incontro. Crescendo ci siamo allontanati un po’ tutti e un po’ troppo dalla quotidianità.
Bisogna tornare ad essere parte integrante dei problemi delle persone perché questo distacco lo viviamo tutti.
Probabilmente lo vive anche la Chiesa, come posso capire ascoltando le parole di Don Dino e questo distacco ce l’ha anche la politica.
I cittadini però sanno riconoscere le persone che parlano al cuore, che sanno interagire, vedete oggi ricorre il ventottesimo anno dalla morte di Berlinguer, un uomo che non viveva in mezzo al popolo, ma una persona molto amata perché era entrato in sintonia con le persone.
In questo momento o andiamo tutti dietro ai Corvi e ai Grillini, oppure cerchiamo di riprendere una funzione che è quello di stare con la gente in mezzo alla gente, ascoltando i problemi, aprire il luoghi del confronto e dell’incontro.
Oggi Don Dino tra quelli che conosco io è l’unico prete così presente sui social network, io lo seguo su twitter e traspare da ciò che scrive, l’innamoramento straordinario per Gesù.
A me quindi non sorprendono i punti esclamativi, che a me sembrano pochi e l’augurio che voglio fare è di non perdere mai così tanto entusiasmo, perché se abbiamo entusiasmo siamo in grado di coinvolgere.
La nostra apatia ci può condannare a vivere una quotidianità brutta:nelle sacrestie nei partiti e nei luoghi dove viene esercitata la democrazia. Portiamo invece il nostro entusiasmo.”

Don Dino: “concludo con una frase di una mail che mi è arrivata da una mamma: “Il terremoto forse ha portato un disordine che porterà ordine”.
Nella Diocesi di Carpi sono rimaste solo 4 Chiese di cui tre agibili. È un segno anche questo.
Fausto, presidente dell’Azione Cattolica di Ferrara mi ha scritto:“Le sacrestie le abbiamo lasciate, tanto sono crollate, ci rimane la speranza di puntare dritti su Gerico”, e io ve lo auguro.

Come redazione dell’Ancora ringraziamo tutti gli intervenuti, Il Vescovo Gervasio Gestori per la vicinanza e la disponibilità dimostrataci, un grande grazie a Don Dino Pirri ,Lorenzo Ribeca e Raffaella Stacciarini per averci fatto riflettere su tante questioni importanti, infine un grazie al Comune di San Benedetto del Tronto e alla Bibliofila nella persona di Mimmo Minuto per l’aiuto nell’organizzazione.

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