MILANO – I riti e i gesti che creano un dialogo tra le generazioni e che uniscono nella famiglia, luogo della gratuità, in una società del consumo, dell’accoglienza, in una terra inospitale, e della preghiera, nelle città spesso prive di spiritualità. Sono i temi dell’incontro “Celebrare la festa in famiglia. Riti e gesti dell’esperienza familiare”, che si svolgerà domani, all’Università Cattolica di Milano. Dell’iniziativa, che è il 20° appuntamento del Congresso internazionale teologico-pastorale “La famiglia:il lavoro e la festa”, organizzato in occasione del VII Incontro mondiale delle famiglie, in corso a Milano, Maria Michela Nicolais, per il Sir, ne ha parlato con Milena Santerini, docente di pedagogia alla Cattolica, che introdurrà l’incontro.Parlare di festa in famiglia è una scelta in controtendenza, in un contesto come quello attuale, in cui sembra che se ne sia smarrito il senso…
“Il mondo di oggi è un mondo di persone sole che fanno festa, caratterizzato dall’incomunicabilità, o comunque dalla difficoltà a dialogare. La festa diventa così la visita a un centro commerciale, o lo stordimento di una discoteca. La festa in famiglia di cui intendiamo parlare in questi giorni è invece una festa in cui si comunica, dove domina il dialogo, la presenza, la relazione, la rottura della solitudine. Per configurarsi in questi termini, tuttavia, la festa ha bisogno di gesti: non è solo un sentimento, un’emozione, perché anche le emozioni hanno bisogno di espressioni. Di qui l’importanza della ritualità, di gesti che ogni famiglia al suo interno sa tramandare di generazione in generazione. Fino ad arrivare all’Eucaristia, la festa per eccellenza, il nutrimento della nostra vita quotidiana”.Gesti del gratuito, gesti dell’accoglienza, gesti della preghiera: come riscoprirli?
“I gesti del gratuito sono i gesti con cui si testimonia la realtà principale della famiglia, che è appunto il luogo del gratuito in un mondo dove tutto si compra, l’espressione di cosa significhi stare insieme senza avere nulla in cambio. L’accoglienza è ciò che aiuta la famiglia ad aprirsi non solo al suo interno, ma anche all’esterno. Durante il convegno, affrontiamo ad esempio il tema dell’adozione, che in qualche modo è il momento più alto del gratuito e dell’accoglienza. Infine, i gesti della preghiera ci insegnano a stare insieme nella fede, a comunicare la fede in famiglia attraverso le generazioni, a imparare dai piccoli. Nella preghiera siamo tutti figli e discepoli, e impariamo proprio dai più piccoli e dai più fragili, come i bambini e gli anziani, rovesciando in questo modo le nostre prospettive abituali”.

Il pranzo e la conversazione, il gioco, i momenti in cui godere insieme della bellezza della cultura, in tutte le sue forme: ci sono ancora adulti capaci di trasmettere ai giovani questi aspetti della tradizione?
“A mio avviso, gli adulti sbagliano quando pensano che per dialogare bisogna fare domande ai propri figli, i quali – magari annoiati – non rispondono. La conversazione è dare, raccontare: gli adulti non raccontano abbastanza, mentre devono imparare a raccontare e a coinvolgere i ragazzi nel racconto. Quando raccontano, infatti, gli adulti danno significato, rispiegano ai giovani la loro giornata, il proprio lavoro, i propri valori, condividendoli con loro… Mostrano che tutto questo ha un senso, e così facendo finiscono per coinvolgere i propri figli, e il racconto diventa qualcosa di corale, di familiare, di collettivo”.

Per il cristiano la festa per eccellenza è l’Eucaristia: come mostrare ai nostri ragazzi, che spesso dall’adolescenza in poi “disertano” la Messa domenicale, che è quello il luogo, l’esperienza, l’appuntamento verso il quale è bello convergere e camminare insieme, nell’incontro tra le generazioni?
“Dobbiamo anzitutto evitare l’accezione solo spiritualistica del termine: il senso profondo dell’Eucaristia è l’amore donato, scambiato, vicino alla morte, è il ‘mangiate questo con me’ inteso non tanto in senso individualistico, ma dentro la festa. Per i ragazzi è importante vivere l’appuntamento domenicale all’interno del vissuto familiare. Quello dell’amore donato e scambiato è un gesto che si può capire solo se è trasmesso attraverso un amore vero, reale, altrimenti i ragazzi non capiscono e magari rifiutano”.

Durante il convegno vengono anche proiettati due filmati, rispettivamente, sul Ramadan e il Seder, la Pasqua ebraica. Cosa impariamo sulla festa, dal confronto con le altre religioni?
“Nel mondo ebraico, ha un ruolo fondamentale la domanda: durante la Pasqua, sono i bambini che interrogano gli adulti sul senso del passaggio del popolo ebraico dalla schiavitù alla libertà. I ruoli sono invertiti: i bambini come domanda di fede che chiede agli adulti di ricapitolarne il senso, e la risposta è ‘perché Dio ci ha amato’… Nel Ramadan è fortissimo il senso della comunità: il digiuno che sbocca nella festa, come preludio alla festa, grazie al quale mi privo di qualcosa durante il giorno per avere qualcosa di più in cambio. Nel mondo islamico il digiuno non è dieta o sacrificio, come da noi, ma annuncio della festa”.

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