Gianni Borsa

Il messaggio più diretto e risoluto è per i giovani: “Fatevi avanti, prendete la parola, non aspettate che altri vi cedano il passo”. Luca Jahier, torinese, classe 1962, è presidente del Comitato economico e sociale (Cese), organismo dell’Unione europea che raccoglie i rappresentanti delle parti sociali, del mondo del lavoro e dell’impresa, del volontariato. Eletto al Cese – che ha sede a Bruxelles – nel 2002, Jahier ha portato con sé una lunga esperienza alle Acli, nel Forum del Terzo settore, di cui è stato tra i fondatori, e come ex presidente Focsiv (Federazione degli organismi cristiani servizio internazionale volontario). Il motto che accompagna la presidenza Cese fino all’ottobre 2020 è: “rEUnaissance – Il coraggio di costruire un’Europa sostenibile”. Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio in rue Belliard per un confronto in vista delle elezioni dell’Europarlamento di maggio e sul futuro dell’Ue.

Siamo a due mesi dal voto e il clima politico europeo è in ebollizione. Presidente Jahier, serve ancora una “casa comune” europea?
Ci sono molte forze che vorrebbero distruggere l’Ue per lucrare posizioni di potere e spartirsi le spoglie di una realtà che comprende ed esprime una ricchezza enorme. Molte di queste forze sono esterne all’Unione europea. Fa male, ad esempio, sentire il presidente degli Stati Uniti definire l’Ue “il peggiore nemico degli Usa”. In questa lista di detrattori mettiamo la Russia attuale, e anche la finanza speculativa internazionale. Il sistema-Europa, infatti, ha prodotto pace, stabilità, democrazia, regolazione: aspetti che dispiacciono ai nemici dell’Unione. Purtroppo anche a una serie di forze interne all’Ue farebbe comodo il venir meno della “casa comune”, magari facendo leva sulle difficoltà insorte in questi ultimi anni a partire dalla crisi economica, seguita da quella migratoria. C’è chi cavalca le paure dinanzi alle profonde trasformazioni degli scenari economici, sociali e politici di cui siamo testimoni, offrendo per tutta risposta l’elevazione di muri e frontiere. L’unico obiettivo di queste forze è conquistare il potere: ieri volevano abbattere l’Unione, oggi vogliono conquistarla per modificarla dal di dentro a proprio uso e consumo.

Qualche nome, per essere più precisi?
I nomi abbondano. Dal nazionalista ungherese Viktor Orban, ad alcuni campioni del sovranismo italiano oggi al governo, a Marine Le Pen in Francia, Vox in Spagna, Afd in Germania. Più una schiera di leader e partiti euroscettici e nazionalisti nell’Europa del nord, in Polonia. E poi ci sono i partiti di matrice separatista, come avviene in Catalogna: senza entrare nel merito di questa vicenda complessa, possiamo affermare che l’Europa è il quadro che permette di ricomporre storie nazionali anche controverse con le identità locali. Se vogliamo, Brexit è un altro esempio: abbiamo scoperto che un grande Paese come il Regno Unito sembra non avere un disegno per il suo futuro, e l’unico esito di questa scelta sarà un impoverimento generalizzato, una fuga delle imprese dall’isola, una perdita del proprio ruolo di potenza finanziaria… Senza contare le divisioni regionali che lasciano intravvedere un “Disunited Kingdom”. Ribadisco: da questo caos distruttivo ci sono forze che agiscono con il solo fine di conquistare il potere, che approfittano delle oggettive difficoltà dell’Ue e della pochezza di talune classi dirigenti nazionali.

Dunque l’Europa serve ancora. Qualche esempio?
Ve ne sono molti possibili. Io ne citerei almeno tre. Primo: mentre Usa e Regno Unito sembrano defilarsi dai rapporti col mercato comune Ue, alle porte d’Europa c’è la coda di Paesi che vorrebbero aprire negoziati commerciali con noi. Si pensi a India, Australia, Nuova Zelanda, mentre altri sono stati siglati o in corso di definizione con Canada, Giappone, Singapore. Un secondo esempio riguarda l’impegno, non scontato e risoluto, dell’Ue in risposta al cambiamento climatico: qui vengono chiamate in cause le politiche energetiche, quelle industriali, la mobilità, la gestione dei rifiuti. E, terzo, parlerei delle politiche migratorie: si tratta di una sfida epocale di fronte alla quale nessun Paese può agire da solo: serve una nuova visione europea del problema, e una risposta comune.

foto SIR/Marco Calvarese

La pace è un altro argomento che spesso si evoca parlando di Europa. Ha senso richiamarla oggi?
L’Unione europea è il più grande e riuscito progetto di pace dopo secoli di guerre che hanno insanguinato il nostro continente e il mondo intero. Noi la diamo per scontata, ma certamente non si può dire lo stesso per altri continenti, ancora segnati dalle guerre, dalle violenze, dai disastri causati dalle armi, come ha più volte – anche di recente – richiamato Papa Francesco. E non dobbiamo scordare che focolai e tensioni esistono tuttora in Europa: a Cipro, in Irlanda, per non parlare della guerra in corso al confine tra Ucraina e Russia. Siamo in un’epoca conflittuale e distruttiva: l’Ue è, e deve rimanere, un esempio di convivenza pacifica, la quale costituisce la precondizione necessaria per la democrazia, la fruizione dei diritti, lo sviluppo.

Torniamo per un attimo al convincimento, espresso da talune forze politiche, sulla possibilità di archiviare il progetto europeo. Cosa ne pensa?
È stato calcolato che se l’Ue chiudesse i battenti avremmo una ricaduta negative del 12% sul Pil europeo. È il cosiddetto “costo della non Europa”. E probabilmente il prezzo più caro lo pagherebbero Paesi più esposti sul piano dei conti pubblici, fra cui l’Italia, e le categorie sociali meno tutelate, i giovani, le famiglie. Il vero convincimento sul valore intrinseco dell’Ue lo si comprende mettendo il piede fuori dall’Europa: quando vai negli Stati Uniti e ti capita di aver bisogno di un ospedale e devi pagarti cure salatissime; quando voli a Dubai e scopri che non esiste protezione sociale o diritti garantiti ai lavoratori… Gli esempi in tal senso sono infiniti. Diciamo pure che oggi l’Europa è il miglior posto in cui vivere, avendo garantiti libertà, scuola, cure sanitarie e molti altri diritti necessari per la vita quotidiana.

Eppure l’Ue è avvertita come “lontana”, incapace di agire rispetto alle sfide odierne. Quali strade intraprendere per invertire questa rotta?
Per stare insieme, popoli e Stati così diversi – eppure così vicini per storia, cultura, tradizioni, economia – hanno bisogno di un progetto rinnovato e la forza delle passioni. Direi una nuova sintesi tra passione e ragione. La prima chiama in causa il demos europeo, accomunato da cultura, arte, forme urbanistiche, nonostante la diversità linguistica che è a sua volta una ricchezza. La passione è quella che ci fa sentire cittadini europei, oltre che italiani, francesi, tedeschi o di altri Paesi. E ci riconosciamo in alcuni grandi simboli europei, che comprendono la bandiera e l’inno, ma anche l’Erasmus. Avremmo poi bisogno di una tv o una radio veramente europei, di un servizio civile su scala continentale, di un facebook europeo. Matera stessa è un simbolo che ci accomuna: la città, Capitale europea della cultura per il 2019, ha saputo cogliere un’occasione, ha fatto della cultura un elemento rigenerante e i materani si sono appropriati di questa opportunità e la stanno valorizzando al massimo. La ragione, poi, chiede riforme e impegno politico necessario per rendere l’Ue sempre più efficace, per dare risposte ai bisogni dei cittadini.

I sovranisti non la pensano così…
Dai sovranisti dei vari Paesi aspettiamo ancora di avere un progetto su come cambiare questa Ue. Non hanno alcuna proposta costruttiva, ma è certo che la loro linea euroscettica sta influenzando pure i partiti pro-Ue, dettando l’agenda politica. Occorre ribaltare la prospettiva a partire da idee e progetti di chi crede realmente all’integrazione comunitaria.

Un ultimo messaggio, per i giovani, chiamati alle urne a maggio. Cosa direbbe loro?
Direi anzitutto che i giovani non devono chiedere spazio, devono prenderselo con il coraggio, la creatività, la passione e anche osando essere, talvolta, un po’ scorretti politicamente. Hanno delle cose da dire, come il caso di Greta, l’adolescente svedese che si sta battendo contro il cambiamento climatico e a favore della protezione dell’ambiente, coinvolgendo tutta Europa: il suo è un messaggio di contestazione e anche di proposta. Proprio come sono capaci di fare i giovani. Ebbene, non aspettate che altri prendano la parola al posto vostro. Agite, e in questo darete origine a un cambiamento straordinario. Perché non è il futuro che è vostro: il presente è vostro. E, agendo per il presente, agirete per tutti noi.

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