DIOCESI – Martedì primo gennaio, giornata nella quale la Chiesa festeggia allo stesso tempo la divina maternità di Maria e la Giornata Mondiale della Pace, il Vescovo Carlo ha celebrato la Santa Messa in Cattedrale alla presenza di numerosi amministratori locali che al termine della celebrazione hanno ricevuto una copia del Messaggio di Papa Francesco scritto proprio per questa occasione.

La liturgia è stata animata dal coro della Cattedrale, guidato dal Maestro Massimo Malavolta. Al centro dell’omelia, che pubblichiamo integralmente diseguito, il tema della responsabilità che gli amministratori hanno nei confronti della comunità civile.

Questa è la seconda occasione nella quale, durante queste vacanze natalizie, il Vescovo Carlo ha incontrato gli amministratori locali: pochi giorni fa infatti è avvenuto il tradizionale scambio di auguri presso i locali della Caritas Diocesana.

Al termine della celebrazione, i fedeli hanno potuto ricevere l’indulgenza plenaria, impartita dal Vescovo Carlo, in nome di Papa Francesco.

“Ogni inizio porta con sé attese e speranze. È normale che sia così, lo è in ogni attività della nostra vita. Possiamo vivere bene solo se percepiamo che la vita è promettente qualcosa di
positivo. Come sempre le nostre speranze si proiettano verso il futuro. È così anche per l’inizio di un nuovo anno civile, anche se non possiamo essere così illusi da attenderci quell’impossibile che solo gli imbroglioni e gli imbonitori possono promettere, magari fingendo di scrutare carte o chissà quali altre stregonerie o segni nelle stelle.

Siamo agli inizi di un nuovo anno: neppure a noi mancano attese e speranze. Guardiamoall’anno che ci sta davanti cercando il modo di dare ad esse corpo, così che non abbiano a restare vuoti e vani desideri, destinati a lasciarci delusi quando tireremo le somme alla sua conclusione. Ma quali sono le speranze che coltiviamo e che consegniamo nelle mani di Dio. Quali sono i mezzi per dare loro corpo?

C’è una speranza che è nel cuore di ogni essere umano e di ogni popolo della terra: ed è quella di vivere nella pace. Pace è il grido che si alza forte là dove il conflitto (non solo armato)
distrugge vite, popoli e civiltà; pace è il grido forte che emerge dalle relazioni conflittuali che affliggono sempre più il rapporto uomo-donna e portano a violenze che distruggono famiglie intere; pace è anche il grido di chi è costretto dai conflitti di vario genere, militari ed economici, a fuggire dalla propria terra in cerca di un luogo dove poter vivere in tranquillità con la propria famiglia.

Il grido resta sterile se non si approntano i mezzi per dare attuazione al desiderio che esso contiene. Impossibile creare pace tra i popoli e nelle nazioni se non ci si mette a collaborare insieme e non si elaborano progetti politici, non di supremazia per questo o per quello, ma che abbiano come scopo il reciproco riconoscimento; impossibile se non si fa
partecipare tutti al comune progresso.

Spetta alla politica organizzare la società, ma la politica da sola non può tutto, i suoi mezzi sono limitati; il suo valore deriva dal lavorare per la pace sociale, tuttavia non potrà
esserci pace se non nella ricerca della inclusione di tutti i cittadini e di tutti i popoli. In questo senso la politica è arte nobile, non arte dell’impossibile, ma del concretamente possibile, e lo fa creando condizioni e istituzioni in modo tale che ciò che oggi è purtroppo ancora impossibile, lo possa essere domani. È questa la sfida della buona politica a servizio della pace, come ci ricorda il papa.

Certamente la pace sociale dipende anche (e forse soprattutto) dall’azione politica ed è buona quella politica che lavora in questa direzione tenendo sempre presente il tutto e non solo
una parte. È vero che la politica risponde ai cittadini che scelgono liberamente le loro istituzioni, per cui ultimamente la qualità della politica dipende anche dalla maturità dei
cittadini, ma è altrettanto vero che spetta alla politica dare ordinamento alla società (è questo il suo potere che essa esercita attraverso la legge) e in tal modo orienta i cittadini in una direzione piuttosto che nell’altra. Essa può così accentuare la conflittualità sociale o attutirla, aumentare le
diseguaglianze dentro le nazioni e tra le nazioni (fonte sempre di tensioni e di conflitto) o diminuirle progressivamente.

Ma è vero anche che attraverso le buone istituzioni la politica
contribuisce a formare la mentalità della popolazione e a guidarla verso prospettive di maggior solidarietà. In questo modo, essa si rivela a vero servizio della pace, e garantisce lo spazio dilibertà dei cittadini, di tutti i cittadini; libertà che è sempre illusoria senza regole che la governano. Le regole non possono che essere a presidio della libertà di tutti.

Per quanto necessarie, non bastano però le buone regole per costruire e garantire la pace nella libertà. Questo l’aveva già capito bene san Paolo quando scriveva che la legge da sola non
dà la libertà, ma è solo lo spirito a donarla. Prima di lui l’aveva predicato nostro Signore Gesù Cristo. Infatti, solo lo spirito liberato dai vari egoismi pensa istituzioni civili che costruiscono una solida pace; solo lo spirito liberato dai vari egoismi costruisce relazioni uomo-donna capaci di rispetto, di durata nel tempo e libere da ogni violenza; solo lo spirito liberato dall’egoismo costruisce relazioni internazionali non basate sulla forza del predominio.

Anche la politica deve essere liberata dall’egoismo che chiude su se stessi, sul proprio partito e strumentalizza le persone. In tal modo si rende incapace di comprendere l’altro, i suoi
bisogni e i suoi diritti. In questa chiusura, l’altro non ha spazio se non nella misura in cui soddisfa il proprio egoismo e la propria volontà di potere. Il volto dell’altro allora sparisce e, se tenta di emergere, lo si sopprime. Non è questa la logica della violenza e della guerra che si va combattendo tra le nazioni e che giunge fino dentro le nostre famiglie?

Chi può liberare il cuore umano da questo egoismo apparentemente indomabile? La buona politica deve cercare di farlo con i mezzi suoi propri e, quando lo fa, è arte nobile che corrisponde al disegno di Dio sulla società. I mezzi della politica però, come abbiamo detto, sono insufficienti, se non si guarisce il cuore dell’uomo, se la sclerosi del cuore umano non viene risanata. E il cuore lo può cambiare solo l’amore senza misura, quello di Dio. Ecco perché siamo qui a iniziare questo nuovo anno davanti a Dio: consegniamo a lui i nostri desideri e le nostre speranze per il nuovo anno, consapevoli che abbiamo bisogno del suo aiuto, per vincere l’egoismo, innanzitutto nei nostri cuori, e perché ci aiuti, in quanto possibile, a farlo superare anche agli altri.

Questo è, con i mezzi suoi propri, il compito della politica che si voglia a vero servizio della pace, cioè di tutti cittadini. Ma è anche, con i mezzi suoi propri, il compito della Chiesa che in questo inizio d’anno ci presenta ancora una volta come modello Maria, la madre di Gesù che si mette a servizio della vita e dona a tutti noi ciò che ha di più caro: Gesù, dono di un cuore non chiuso nell’egoismo, ma attento ai bisogni di pace dell’umanità intera. Ella è la madre di Dio e la madre nostra, di tutti noi, nessuno escluso. Noi in questa nostra cattedrale la veneriamo sotto il titolo di Madonna della Marina.

Affidiamo alla protezione di lei, Regina della pace, coloro che a tutti i livelli sociali, politici, ecclesiali – locali e internazionali – ci governano. In Gesù e con lei siamo chiamati a riconoscerci fratelli e a costruire insieme, nel tempo che ci è dato e nella pace, la comune famiglia umana”.

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