DIOCESI – “Gli angeli sulla grotta di Betlemme lodano Dio e augurano pace in terra agli uomini che egli ama. Lodano Dio per le sue grandi opere, la più grande delle quali è aver donato Gesù agli uomini, come ultimo e definitivo atto del suo infinito amore per noi. Essi cantano a Dio la lode eterna della liturgia che si svolge perennemente nel più alto dei cieli. A questa lode angelica siamo invitati a partecipare anche noi questa notte, rischiarata da una ineffabile luce divina”.

Così, durante la Messa nella notte di Natale, celebrata presso la Cattedrale Madonna della Marina di San Benedetto del Tronto, il vescovo Carlo Bresciani, ha descritto il senso della Natività.

“Nella grotta noi adoriamo l’amore di Dio che si fa carne nel corpo vergine di Maria – ha spiegato il vescovo Bresciani – e nasce nel più umile dei luoghi della terra: una grotta maleodorante che serviva da riparo agli animali della campagna di Betlemme. Non c’era altro posto per lui in paese.
Non loderemo mai abbastanza Dio per quello che ha fatto e continua a fare per noi: Dio accetta anche l’ultimo posto. Il rifiuto di un posto per lui già alla nascita non è che il primo atto di quel rifiuto totale che avverrà alla fine con la sua condanna a morte. Prima per lui solo una grotta per animali e poi solo la croce dei reietti della terra. Solo l’infinito amore di Dio può accettare questo.
Gli angeli non solo lodano Dio, cantandogli eterna gloria: essi si fanno voce di una umanità troppo distratta dai vani rumori del mondo per accorgersi delle grandi opere che Dio va compiendo per coloro che lo abitano. Essi non solo lodano Dio, ma augurano pace agli uomini, a tutti gli uomini amati da lui. È l’augurio che, dopo aver patito con la morte il rifiuto umano, anche il Cristo risorto rivolge più e più volte ai suoi apostoli: “Pace a voi!”
Nel Natale noi contempliamo l’opera grande e paziente di Dio che ricuce in Gesù la più profonda frattura che l’umanità possa mai aver creato: quella tra Dio e l’uomo, da cui derivano tutte le altre fratture che tanto fanno soffrire l’umanità e le tolgono quella pace che tanto desidera.
In greco ‘pace’ significa anche intrecciare, legare insieme, e la sua radice più antica indica il ‘filo’: dunque Gesù, facendosi uomo, dona pace: con il filo dell’amore ricuce insieme i due lembi dello strappo che ha separato Dio dall’uomo, la ferita del peccato, appunto. Egli ricuce insieme, nella sua divina umanità, la separazione tra Dio e l’essere umano. Egli unisce, non elimina. La vera pace viene proprio da qui, dall’opera di ricucitura che Gesù compie assumendo la nostra natura umana.
La pace sulla terra agli uomini amati da lui, quella che gli angeli augurano sulla grotta di Betlemme è possibile soltanto se impariamo da Gesù a ricucire i nostri rapporti feriti con il filo dell’amore e ciò richiede non solo tanta pazienza (che vuol dire: capacità di portare la sofferenza e la fatica), ma anche tanta umiltà. Quella stessa umiltà che contempliamo in quella grotta di Betlemme, l’umiltà di un Dio che si abbassa e nella completa povertà di quella grotta di Betlemme non vanta alcuna superiorità. I rapporti umani non si ricuciono mostrando la forza muscolare di una presupposta superiorità, né vantando privilegi, né con l’aggressività delle parole o delle opere, ma con la pazienza di unire ciò che è stato diviso. Il filo per unire la stoffa deve pungere tutti e due i lati: Dio prende in sé l’umanità e si fa uomo (e gli è costato nascere in una stalla!), noi dobbiamo accogliere in noi Dio e lasciare che lui punga il nostro orgoglio di poter fare a meno di lui. L’unità si fa solo accogliendo l’altro e lasciandosi ‘pungere’ dall’altro.
In questo Natale, come sempre, ci auguriamo reciprocamente la pace. E lo faccio molto volentieri anch’io verso tutti voi, carissimi fedeli della nostra diocesi; idealmente vi penso uniti a me e tra di voi nelle vostre parrocchie in questo momento di preghiera e di gioia natalizia. Non dimentichiamo mai però che Gesù ci indica l’unica strada possibile: egli diventa costruttore di pace facendosi uguale a noi in tutto fuorché nel peccato. Con Gesù anche noi diventiamo veri operatori di pace se impariamo da lui a fare uguaglianza dove c’è l’ingiustizia della discriminazione o della prevaricazione e se, con il filo dell’amore, sottile ma resistentissimo, ricuciamo le relazioni che noi o altri hanno strappato o ferito, anche involontariamente.
Potremo allora cantare con maggior verità insieme agli angeli, anche noi adoranti davanti alla grotta di Betlemme: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e in terra pace agli uomini che Dio ama”.
Buon Natale a tutti carissimi e pace a tutti voi e alle vostre famiglie”.

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