Maltese, da New York

Le armi nucleari, chimiche, biologiche continuano a dividere il Consiglio di sicurezza dell’Onu che ieri, in occasione della Giornata mondiale per la loro eliminazione, aveva riunito i suoi 15 membri per intraprendere azioni che ne avrebbero dovuto impedire la proliferazione. Invece l’assise, che avrebbe dovuto implementare gli strumenti a favore della pace e della sicurezza, si è rimbalzata accuse e responsabilità, paralizzando le decisioni. Ad aprire i lavori è stato il presidente degli Stati Uniti, in qualità di presidente di turno del Consiglio di sicurezza. Il suo intervento si è focalizzato sulle sanzioni imposte al governo siriano per l’uso di armi chimiche e sulle prossime sanzioni che intende imporre all’Iran, incurante del programma di controllo del nucleare, il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) sostenuto da Cina, Francia, Germania, Russia, Regno Unito e Unione europea e che gli Usa hanno deciso di abbandonare definendolo “orribile e unilaterale”.

Il programma, siglato anche dall’Iran, aveva stabilito meccanismi rigorosi di verifica del programma nucleare iraniano, in modo da aprire la strada alla revoca delle sanzioni Onu e, nonostante le ispezioni del Iaea (Agenzia per l’energia nucleare) che hanno valutato positivamente i passi del governo iraniano, gli Stati Uniti hanno scelto di ritirarsi e continuare lo scontro con il Paese degli ayatollah, definito a più riprese “regime corrotto, finanziatore del terrorismo e causa del caos nella regione mediorientale”.

Trump ha spiegato che l’accordo “ha permesso al regime di continuare il suo percorso per ottenere la bomba atomica” e ha avvertito alleati e partner che chiunque violerà le sanzioni che gli americani intendono imporre “dovrà fronteggiare gravi conseguenze”.

Di diverso avviso è stato il presidente della Bolivia, Evo Morales, che ha esortato tutti i membri del Consiglio a firmare e ratificare il Trattato del 2017 sulla proibizione delle armi nucleari non solo per

“contenere la minaccia delle armi nucleari ma per un dovere morale verso le generazioni future”.

Morales ha condannato con durezza l’intromissione storica e ripetuta negli affari interni dell’Iran da parte degli Usa, che “hanno commesso numerosi atti di ingiustificata aggressione contro i Paesi del Medio Oriente – compresa l’invasione dell’Iraq, il suo rovesciamento del governo libico, la sponsorizzazione dei terroristi nella guerra civile siriana”. Il presidente boliviano ha accusato Trump di “disprezzo per il diritto internazionale, per il multilateralismo e per i principi della Carta delle Nazioni Unite”. Il botta e risposta con il presidente americano ha caratterizzato anche l’intervento del ministro degli esteri cinese Wang Yi: Trump, infatti, nel suo discorso aveva accusato la Cina di interferire nel risultato delle elezioni americane di Midterm del prossimo novembre, solo “perché sono il primo presidente che l’ha sfidata sul commercio e non vuole che io o la mia amministrazione vinciamo”. Wang Yi ha respinto le accuse al mittente, sottolineando che il suo Paese non ha mai deviato dai principi di sovranità e rispetto per gli affari interni degli Stati e ha chiesto al Consiglio di agire secondo le regole dell’ordine internazionale “mettendo da parte interessi geopolitici senza indulgere in doppi standard di azione”.

La Cina ha dato prova della sua volontà di dialogo sostenendo il lavoro di denuclearizzazione della penisola coreana e di questo anche Trump ne ha dato atto, riconoscendo come fondamentale persino l’intervento della Russia nella crisi siriana e il supporto della Turchia nella gestione dei profughi.

Foto ONU

Eppure questi cenni di apprezzamento non hanno mitigato le reazioni del ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, soprattutto sulla questione siriana e sull’uso di armi chimiche contro i civili. Lavrov ha continuato a ribadire che Assad aveva distrutto le sue armi chimiche già nel 2013 e “che ora sono i terroristi a maneggiarle e a sintetizzarle in speciali laboratori e questo è noto a tutti i presenti”. Negativa è stata la valutazione russa sul ritiro statunitense dall’accordo sul nucleare iraniano “una seria minaccia per un piano globale di non proliferazione delle armi. Quell’accordo va mantenuto anche perchè creerà ancora più tensioni in Medio Oriente e danneggerà gli sforzi di smantellamento dell’arsenale nucleare della penisola coreana”.

Preoccupato dalla retorica ideologica attorno alle armi biologiche e chimiche, Lavarov ha voluto comunque tendere una mano, ricordando che Usa e Federazione russa, una volta, erano uniti nel voler impedire che le armi di distruzione di massa cadessero nelle mani dei terroristi e ha ammonito: “Non sacrifichiamo questo obiettivo sull’altare di considerazioni momentanee”.

Più moderati sono stati gli interventi dei leader europei che hanno elogiato gli sforzi statunitensi nella penisola coreana ma non perdonano a Trump la decisione di uscire dall’accordo sul nucleare iraniano che “anche se è imperfetto, è un passo decisivo per soluzioni a lungo termine”, ha ribadito il presidente francese Macron, seguito a ruota dal primo ministro britannico Theresa May. Macron in particolare ha sottolineato, spalleggiato da altri membri del Consiglio, “l’importanza di mantenere l’unità nel Consiglio di sicurezza soprattutto sulle questioni nucleari” e ha ribadito “la necessità di una fiducia reciproca e di un approccio multilaterale alla sicurezza poiché le sanzioni, pur necessarie, non garantiscono soluzioni a lungo termine”. La seduta si è conclusa senza che di fatto siano state varate decisioni comuni e senza che le ulteriori sanzioni americane generassero un appeal condiviso. Tutti restano ora in attesa delle prossime mosse Usa.

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