Foto Marco Sprecacé

DIOCESI – Pubblichiamo l’omelia del Vescovo Carlo Bresciani pronunciata durante la Santa Messa di Pentecoste, celebrata sabato 19 maggio in Cattedrale.

«Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano ‘… come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?’» (At 2, 8)
Partecipiamo questa sera anche noi alla meraviglia che ha colpito con stupore i Giudei osservanti che abitavano a Gerusalemme nel giorno di Pentecoste, lo stupore di udire parlare un’unica lingua al di là delle diverse provenienze, storie e appartenenze personali. Assistiamo all’opera meravigliosa di Dio che, dando compimento alla promessa del suo Figlio Gesù, con l’effusione del suo Spirito raduna la Chiesa, proveniente da ogni popolo e nazione, affinché con una sola lingua riconosca e professi un’unica fede e dica a una sola voce la verità del Dio di Gesù Cristo in cui solo c’è salvezza.

Provengono da molte nazioni e parlano la stessa lingua: quale? Quella della fede. È questa una bella immagine della Chiesa, radunata da diversi popoli da una sola fede e un solo Battesimo. È questa la lingua nativa di ogni cristiano che permette di superare ogni distinzione di razza e nazione e cantare a una sola lingua le grandi opere di Dio e fare di noi un solo popolo. È la lingua dello Spirito santo che san Paolo, nella seconda lettura della liturgia di domani (Gal 5), dice essere “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”.

È questa la lingua che dovrebbe essere nostra, quella con la quale ci rapportiamo tra di noi e che è ancora in grado di destare stupore e meraviglia e manifestare le grandi opere di Dio. Ogni altra lingua non viene dallo Spirito di Dio, ma dalla carne, come precisa san Paolo.
Quale lingua parliamo tra di noi? Quella della carne o quella dello Spirito? Quando ci troviamo per celebrare le grandi opere di Dio non possiamo non avere una sola ed unica lingua, come in questo momento nel quale, provenienti dai diversi carismi e doni dello Spirito, da diversi cammini di fede e di liberazione, dalle diverse parrocchie della diocesi, presbiteri e laici, tutti possiamo cantare insieme il nostro canto di gioia a Colui che ci fa Chiesa. La lingua della fede orienta il nostro cammino verso l’unità, mentre è la lingua della carne (quella del serpente antico) che porta a divisione. Il nostro cammino nella fede (quello su cui abbiamo meditato in quest’anno) sotto la guida dello Spirito ha una meta: l’unità nella comunione con la Trinità. Cantiamo anche noi questa sera le grandi opere di Colui che scioglie e libera le nostre lingue da quei farfugliamenti che impediscono la scioltezza delle relazioni, dalle reciproche incomprensioni e da incerte e dubbie interpretazioni della parola altrui.
Cantiamo con una lingua che risana ciò che sanguina, lava ciò che è sordido, piega ciò che è rigido e scalda ciò che è gelido.

Gesù, mosso dallo Spirito, non ha usato altra lingua e anche noi con lui vogliamo usare questa e non altre, perché è la sola lingua che tutto il mondo può comprendere, anche quando non comprende altre parole.

È la lingua che porta a quella verità che il Signore Gesù ci ha promesso (cfr. Gv 15), una verità che non ferisce mai, che non crea contrapposizioni e che unisce Giudeo e Greco, schiavo e libero, uomo e donna. Una verità fatta dalla sinfonia delle diverse voci che rendono stupendo il cantico di lode a Dio e lo rendono stupendo proprio perché ci sono tutte, ognuna con la propria tonalità, senza che nessuna voglia prevalere sulle altre rovinando l’armonia del tutto. Sappiamo che la verità della Chiesa è la sinfonia dei diversi e molteplici carismi che lo Spirito effonde in essa e che il discernimento dell’autenticità dei carismi si fonda sulla loro capacità di formare una armoniosa sinfonia nell’unità della Chiesa.
L’unica lingua del cristiano è quella della santissima Trinità, cioè quella di una profondissima unità nella diversità delle persone. Così, infatti, noi concludiamo tutte le nostre preghiere liturgiche rivolte a Dio Padre: “per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito santo per tutti i secoli dei secoli”. Ogni nostra preghiera si conclude mettendo davanti alla nostra mente e al nostro cuore quel mistero grandissimo della Trinità nel quale trova il suo fondamento il nostro essere Chiesa. Essa, infatti è «un popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo» (S. Cipriano, De Orat. Dom.,23; PL 4, 553). Afferma il Concilio Vaticano II, nella Gaudium et Spes, che «il Signore Gesù, quando prega il Padre, perché “tutti siano uno, come anche noi siamo uno” (Gv 17,21-22), mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nella carità» (n. 24). A me pare di poter dare questa interpretazione alla espressione di Gesù: “lo Spirito vi guiderà a tutta la verità” (Gv 16,13): se da una parte ogni carisma proviene dallo Spirito, e come tale va accettato, dall’altra, ciò che proviene fin da principio dall’unità trinitaria non può che tendere all’unità nella carità, manifestando nelle diverse sfaccettature dei carismi la ricchezza incommensurabile dell’unità trinitaria che nessuno può esaurire. In altre parole, non c’è verità, se non c’è carità, e, viceversa, non c’è carità, se non c’è verità. Proprio per questo, le diverse tonalità dell’unica lingua donata dallo Spirito manifestano, tutte, ciascuna a modo suo, un aspetto della ricchezza della Trinità e solo insieme la manifestano più pienamente, senza mai esaurirne la ricchezza.

Carissimi, è per me, e sono sicuro anche per voi, motivo di profonda gioa nello Spirito questo nostro essere riuniti questa sera nella solenne Veglia di Pentecoste per cantare le lodi di Dio a una sola voce, per invocare la copiosità dei suoi doni sulla nostra amata Chiesa e per condividere tra noi con abbondanza il suo frutto che è “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”.

Vegliando nella preghiera, invochiamo l’abbondanza di questi doni che fanno più bella, santa e immacolata la nostra Chiesa e rendiamo così testimonianza al mondo che siamo parte del corpo vivente di Cristo, sempre di nuovo ringiovanito dalla novità dei suoi doni che, come tralci nuovi uniti alla vite, turgidi di linfa vitale, infondono in essa nuovo vigore e vitalità e producono abbondanza di frutti. Preghiamo, perché essa cresca sempre più unita a quella vite, che è Cristo, da cui soltanto può trarre la linfa vitale che genera nuovi virgulti e nuovi frutti in forza dei doni che il Padre attraverso lo Spirito continua ad effondere nella sua Chiesa. Vieni o Spirito santo, riempi il cuore dei tuoi fedeli e infondi in essi il fuoco del tuo amore. Amen + Carlo Bresciani

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