L’emergenza umanitaria generata dalla violenza nella Repubblica Democratica del Congo significa 2.2 milioni di bambini gravemente malnutriti, 13.1 milioni di persone bisognose di aiuti per sopravvivere e più di 4 milioni di civili sfollati a causa del conflitto. A ciò si aggiunge il pericolo che “i problemi del Congo si estendano velocemente ai Paesi vicini” e che la “mancanza di stabilità e interventi umanitari” degenerino in una guerra civile. “Temiamo che una polveriera stia per riaccendere la paura, la rabbia e l’insicurezza. La Chiesa sta facendo tutto il possibile, ma se la comunità internazionale non reagisce rapidamente, sarà troppo tardi”, ha dichiarato Bernard Kateta Balibuno, rappresentante del Cafod, l’agenzia dei vescovi inglesi per gli aiuti umanitari. Alcuni giorni fa i vescovi congolesi avevano denunciato il “continuo aumento di zone di insicurezza” e lo scoppio di “scontri interetnici”. Nove giorni di sangue, tra il 2 e il 10 febbraio nella zona di Bunia, hanno lasciato 30 morti, 2000 case incendiate e 100mila persone in fuga. Scuole chiuse e ospedali vuoti perché “anche i malati sono scappati per salvare la vita”. Enormi i bisogni degli sfollati. “Lo Stato congolese deve svolgere correttamente il suo ruolo di protettore dei civili e delle loro proprietà”, dice la diocesi di Bunia, “fermare questa barbarie senza ulteriori ritardi e punire i responsabili”. A Fizi, migliaia i morti e 125mila sfollati per il conflitto tra l’esercito congolese e i gruppi armati locali. Ogni genere di violenza è stata perpetrata. I bambini, in una regione già feudo della malnutrizione, muoiono ora anche per epidemie. Nella regione di Kasai si contano 1.5 milioni di sfollati e ogni possibile emergenza, tra cui 400mila bambini sofferenti.

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