Suor Elisabetta Riboni, originaria di Offanengo, appartiene alla Pia Società Figlie di San Paolo, meglio conosciute come Paoline, e da 52 anni anima una delle quattro librerie che l’Istituto fondato da don Alberione ha aperto in Pakistan. Suor Elisabetta lavora a Lahore, ma importanti negozi si trovano a Karachi, Multan e Rawalpindi. La incontriamo nella casa della sorella, mentre sta godendo di un periodo di meritato riposo che potrebbe protrarsi più del previsto, anche in conseguenza di accurati controlli medici. Più che un’intervista è una conversazione su una realtà, quella pakistana, spesso citata dalla cronaca, ma della quale si conosce poco.

La prima domanda verte proprio sulla situazione di quel grande Paese asiatico che è appunto il Pakistan…
La situazione attuale del Pakistan è abbastanza difficile, stretto com’è tra problemi di ordine pubblico e problemi di tipo sociale. Nel nord infatti ci sono i talebani, ostili al governo in carica, che tuttavia causano grossi problemi a tutta la popolazione. La loro opposizione è motivata dal fatto che l’ordine del Paese è stato affidato ai militari, specie nelle zone di confine e contese (come ad esempio il Kashmir con l’India). La tattica usata dai talebani è quella degli attentati terroristici, ad esempio contro le scuole.

Tra i problemi sociali più gravi c’è la riduzione in schiavitù di bambini o famiglie intere, che vengono proprio vendute da padrone a padrone, a causa dell’assoluta miseria. Così, nelle aree urbane questa povera gente finisce a lavorare in condizioni estreme in fornaci per la produzione di mattoni, mentre in campagna si lavorano i campi senza ricevere il salario, ma soltanto con vitto, alloggio e vestiario minimi.

A questo si aggiunge che da qualche anno a questa parte è arrivata la crisi economica. Le fabbriche chiudono e molti giovani non hanno lavoro, situazione aggravata dal fatto che i figli per famiglia sono molto numerosi. A volte viene chiesto un lavoro anche alle suore o alla Caritas, ma ovviamente è impossibile poter aiutare tutti.

In questa situazione come reagisce il Governo centrale?
Contro i talebani usa un sistema fortemente repressivo, tant’è vero che il 75% del reddito nazionale va in spese militari. Dal punto di vista sociale le soluzioni adottate, più appariscenti che di sostanza, di fatto non aiutano la gente. Per esempio abbellisce i centri città, investe nelle infrastrutture, fa costruire dei parchi, ma magari vengono espropriate le terre delle persone per consentire questi lavori, mentre nelle periferie delle città si soffrono la povertà e la sovrappopolazione.
Con questo non si può negare che a volte vengano compiuti effettivamente dei gesti per farsi più vicino al popolo, come il taglio ai costi dei generi di prima necessità o l’invio di camionette dell’esercito, su richiesta dei vescovi durante le celebrazioni, per ridurre il rischio di attentati.

Il Pakistan è un Paese a grande maggioranza musulmano. Come vengono percepiti i cristiani?
Circa il 97% della popolazione è musulmana, mentre il restante 3% è composto principalmente da indù, cattolici e protestanti.

In generale i cristiani non sono ben visti. Infatti, sono ancora presenti delle discriminazioni sia in ambito scolastico, che nel sistema politico. Ricordiamo che nel 2011 è stato assassinato un importante politico cattolico, Shahbaz Bhatti, il quale lottava per ottenere giustizia per le minoranze. Un altro caso celebre è quello della cristiana Asia Bibi, che, accusata senza prove di aver bestemmiato, rischia la pena di morte (reato punibile in Pakistan con la vita).

Anche le chiese sono sempre in pericolo – infatti sono protette da cancello e filo spinato – e durante le celebrazioni qualcuno sempre controlla chi vi entra. L’anno scorso, per esempio, sono state fatte esplodere delle bombe a una Messa domenicale. A quel punto alcuni cristiani hanno reagito con violenza, e per questo tanti sono stati messi in prigione. Tuttavia il dialogo interreligioso prosegue da diversi anni, anche se purtroppo è confinato negli ambienti degli intellettuali. In particolare dal lato cattolico sono i padri domenicani che si occupano di quest’aspetto.

Di fronte a questa situazione non molto promettente come vi comportate? Avete delle strategie particolari?
Cerchiamo di mantenere un profilo riservato e prudente. Durante il Ramadan, per esempio, è bene non farsi vedere violare il precetto del digiuno. O ancora a eventuali domande dei musulmani su questioni religiose si preferisce rimandare a un sacerdote incaricato per questo compito specifico. Un altro caso sono i film che spesso vengono mostrati come strumento di catechesi e ai quali assistono volentieri i musulmani. Del resto non c’è alcuna volontà di voler convertire. La mia comunità è rispettata e ha delle buone relazioni anche con i non cattolici, anche perché ha a che fare maggiormente con degli sciiti, in genere moderati e che non hanno nulla da dire verso coloro che pregano e credono in Dio.

In particolare qual è la situazione della Chiesa cattolica?

La Chiesa cattolica è viva, con molta gioventù e una fede grande. Non si spiegherebbe perché la gente sopporti le ingiustizie economiche e sociali che ne derivano.

Al giorno d’oggi non ci sono praticamente più missionari, sia per il numero di sacerdoti venuto meno in occidente, sia per scelta di lasciar spazio agli autoctoni; così tutto è in mano alla Chiesa locale. Nella mia stessa Congregazione siamo rimaste in due sole straniere, perché là le vocazioni non mancano. Infatti, ogni anno c’è qualche sacerdote nuovo proveniente dal seminario, senza contare le ordinazioni tra i cappuccini, i francescani e i domenicani. Diversi di loro vanno anche a studiare a Roma.
Diversa è invece la situazione per quanto riguarda conversioni da altre religioni: queste sono rare, e se accadono avviene tutto di nascosto, perché spesso la famiglia, se venisse a saperlo, lo considererebbe un vero e proprio tradimento punibile anche con la morte.
Tuttavia ci sono villaggi che sono in pratica totalmente cristiani. Anche questi derivano dalle missioni del XIX e del XX secolo guidate da domenicani e cappuccini, e la gente è ben formata riguardo alla fede.

Più nello specifico in che cosa consiste il vostro lavoro di evangelizzazione?
Le attività condotte da sacerdoti, istituti religiosi e volontari sono diverse: catechetiche, bibliche, assistenziali… Per quanto riguarda noi Paoline organizziamo la Sunday School: in sostanza un catechismo per i più piccoli. Inoltre, si cerca di cogliere delle opportunità che sorgono in modo sporadico per evangelizzare: raggruppamenti di persone, occasioni speciali, funerali… anche se a volte si presentano non poche difficoltà, perché ci viene richiesto di andare in zone ad alto rischio.

Naturalmente c’è poi il lavoro della vostra libreria…
In libreria, oltre alla vendita cartacea, si punta molto su quella di dvd rappresentanti la storia biblica, i profeti, i salmi… A causa infatti dell’alto tasso di analfabeti e della progressiva diffusione di tv e cellulari, si cerca di far pregare attraverso una modalità alternativa. Adesso si comincia anche a lavorare via Internet, ma ci sarebbe bisogno di più gente preparata. Positiva al riguardo l’esperienza di alcuni pakistani emigrati nelle Filippine che hanno avviato là una radio cattolica per parlare di Dio, della persona umana e via dicendo che trasmette in Pakistan nelle lingue Urdu e Punjabi (le due principali).

Significa che in Pakistan i tempi sono ormai maturi per sviluppare percorsi autonomi di riflessione e studio della Bibbia?
Certamente. È il caso di padre Emmanuel Asi, molto celebre in Pakistan, il quale, dopo aver conseguito il dottorato all’Istituto Biblico di Roma e aver collaborato anche con il cardinal Martini a Gerusalemme, ha avviato delle iniziative per diffondere l’abitudine di leggere la Bibbia.

Si creano dei gruppi di preghiera in cui si distribuisce a ciascuno un brano e successivamente vengono poste delle domande per verificare che quell’estratto biblico sia stato ben compreso. Questi gruppi sono a livello parrocchiale e richiedono un quota d’iscrizione. Oggi spesso anche le suore sono in grado di aiutare i parroci in attività di questo tipo, dato che si tende a far studiare la teologia anche a loro. A Karachi, poi, per i cristiani di più alto livello culturale si sono formati due gruppi, uno sempre di condivisione a riguardo della Bibbia, l’altro per pregare insieme il Breviario.

Avete attività assistenziali che riguardano i poveri, le persone fragili, gli emarginati?
In un contesto in cui non esistono Stato sociale e associazioni locali di volontariato, un impegno in questo senso è indispensabile. Di conseguenza gli istituti religiosi possono passare dalla cura dei santuari e dei luoghi di culto a quella delle persone più escluse dalla società: disabili, bambini con problemi, ex-carcerati, ecc… per i quali anche la Caritas si impegna; spesso in questi casi è comunque richiesto un contributo economico alle famiglie.

Purtroppo invece si riesce a fare ben poco per i bambini di strada, perché la problematica è troppo estesa ed è molto difficile intervenire.

Un esempio eroico di assistenza è quello di una volontaria originaria di Malta. Da sola ha deciso di occuparsi di emigrati indiani entrati in Pakistan (di per sé illegale), che senza di lei sarebbero costretti a rimanere in prigione. Loro stessi si occupano di mandare avanti la casa, mentre sul piano economico per vivere se la cavano con le offerte dall’Occidente. Nonostante gli evidenti rischi, lei va avanti fiduciosa e con una dedizione straordinaria.

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