Di SIlvia Rosetti

Una quindicenne e un gruppo di coetanei, una sera d’estate che avrebbe dovuto essere all’insegna del sano divertimento sullo “scoglione” di Marechiaro a Napoli. Poteva finire con qualche birra di troppo, stesi a guardare le stelle. Invece interviene un “qualcosa” a corrompere e a inquinare le dinamiche tra quei giovani; il gruppo assume improvvisamente le sembianze del branco e la serata si conclude con uno stupro. Poi si rincasa, magari ci si intrattiene ancora un po’ online sulla chat di whatsapp, si caricano i selfie della giornata e si scrivono quelle frasi tipiche adolescenziali, tipo “io e te sempre insieme”, come didascalia.
La quindicenne no, lei il telefono lo stacca, vuole isolarsi. Poi il giorno dopo si confida con un’amica e non sa bene raccontare neppure lei quanto accaduto.
Sarebbe interessante capire di quale natura sia quel “qualcosa” che riesce a muovere un intero gruppo di “bravi” ragazzi all’interno di un circolo violento, deviato e vizioso e che bracca e devasta la malcapitata di turno.
Gli psicologi spiegano che la devianza è un comportamento tipicamente di gruppo. Una sorta di macabra danza determinata dal bisogno di individuazione e, al tempo stesso, di inclusione. Un processo perverso avviato dalla ricerca adolescenziale dell’identità e completamente sbilanciato dall’assenza di un codice etico interiore, che invece a questa età dovrebbe già essere assimilato.
Il nocciolo della questione è adagiato sulla linea di demarcazione fra bene e male, a questa età a quanto pare pericolosamente labile.
Ma come si traccia questa linea nella tumultuosa e contraddittoria età giovanile?
C’è molta letteratura sul tema dell’etica e della morale nell’adolescenza. La psicologa Anna Rita Graziani nel suo volume “Adolescenti e morale” (Il Mulino, 2014) spiega che la coscienza morale nasce dal confronto di due zone separate del cervello: la sfera emotiva dialoga con la corteccia cognitiva, cioè con la zona più recente dal punto di vista evolutivo e quella responsabile dell’autocontrollo. In qualche modo nell’ambito di comportamenti tipici dell’età, come la ricerca della trasgressione e il senso di frustrazione nei confronti delle regole, dovrebbe innestarsi la capacità empatica di individuare i confini tra il sé e l’altro e la sensibilità morale dovrebbe emergere anche sulla scorta degli insegnamenti della famiglia e della scuola.
Nel momento in cui l’adolescente si trova a scegliere, pur se guidato dalla naturale tentazione di rimettere in discussione i comportamenti normativi acquisiti durante l’infanzia, dovrebbe invece aver assimilati i valori etici che lo connotano di umanità e che sono il frutto di una elaborazione critica, oltre che del bagaglio educativo. Soltanto la crescita interiore di una sana coscienza critica può fronteggiare la tendenza all’identificazione e all’adeguamento allo standard, che diventa pericolosissimo quando si offre come modello deviante. La coscienza etica è l’antidoto alle dinamiche omologanti del gruppo e allo strisciante sessismo che porta a degenerazioni drammatiche come nell’episodio citato in apertura.
Cambiano gli stili educativi, si passa dalla “famiglia morale” – come la definisce lo psicologo Massimo Ammaniti – a quella “affettiva”, passando per quella “indulgente” e perfino attraverso quella “indifferente e clamorosamente permissiva”. E in quest’ultima davvero non ci sono confini: non tra bene e male, ancor meno fra il sé e l’altro e la sua inviolabilità.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *