DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto sulle letture di ieri, domenica 4 marzo.

Chi è il serpente citato nella prima lettura tratta dal libro della Genesi, colui che è definito come «…il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto…»?
Vediamo cosa fa… «E’ vero – dice rivolgendosi ad Eva – che Dio ha detto: non dovete mangiare di alcun albero del giardino?». Il serpente interroga, insinua il dubbio, il sospetto, arrecando, nel momento stesso in cui inizia ad agire, una ferita alla relazione che intercorre tra l’uomo e Dio. E’ un separatore, si insinua nella Parola di Dio e stravolge in proibizione ciò che era un comando positivo.
Dio aveva detto: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino…»; il serpente dice: «…Dio ha detto: non dovete mangiare di alcun albero del giardino». La Parola di Dio esprime il dono di tutto, salvo una cosa: «…dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare…».
Il serpente fa leva sull’unica cosa interdetta all’uomo per sfigurare il volto del Dio che dona in quello del Dio che ostacola e vieta.
E’ l’esperienza che ciascuno di noi quotidianamente fa: se c’è qualcosa che resta fuori del campo di quella che io reputo la mia giusta libertà, io comincio a sentirlo come mancanza di libertà. Allora vediamo non più il dono di vita ma il divieto, la chiusura, allora vediamo solo un albero, quello proibito, che occupa tutta la scena, tutto lo spazio, nascondendo la foresta degli alberi donati, tutto ciò che già possiedo, di cui posso già godere, che è liberamente e totalmente nella mia disponibilità. Abolire il limite e colmare ogni mancanza: è il desiderio che diventa bramosia! E’ allora che “trasformo” la Parola di Dio da Parola di Vita in legge da trasgredire, il Dio Padre in padrone da cui nascondersi, il giardino in prigione da cui evadere.
Guardiamo, invece, Gesù, nel racconto delle tentazioni che il Vangelo ci presenta. Al diavolo che gli propone di cambiare le pietre in pane, Gesù risponde che vuole restare un affamato. Di fronte al diavolo che lo invita a dimostrare la sua divinità gettandosi dal punto più alto del tempio, Gesù sceglie di restare non riconosciuto, un ultimo, un piccolo. Contro il diavolo che gli offre potere su tutti i regni del mondo, Gesù decide di restare un uomo senza alcun potere in questo mondo. Gesù sceglie di restare Figlio del Padre, continuando a custodire quella voce nella quale è stato battezzato, «Questi è il Figlio mio, l’amato». Una Parola d’amore del Padre, un’intima certezza da non stravolgere ma a cui afferrarsi, a cui ancorarsi.
Ascolto, Parola, relazione: sono questi i termini di una fede che mi chiama concretamente ad abbandonarmi fiduciosa al Dio amante dell’uomo, compagno dell’uomo, che, ogni giorno, mi fa gustare il suo Tutto, mi fa possedere il suo Tutto, mi fa godere del suo Tutto.
Non è questa una esenzione da “tentazioni”, difficoltà, paure, esperienza del limite…ma la possibilità di riconoscere, come ci dice San Paolo, nelle nostre «molte cadute», «il dono di grazia» di Dio, Padre misericordioso di ogni uomo.

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