d'Ercole“La tenda è una soluzione di emergenza e deve durare il tempo minore possibile. Bisogna pensare a soluzioni che ridiano speranze, promuovano vera solidarietà e ricostruiscano la vita. E per questo sarà importante l’aiuto di tanta gente”. E’ l’appello lanciato da monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno. “Vorrei dire grazie alle tante iniziative di solidarietà che stanno arrivando da molte parti. Come diocesi in questo momento stiamo studiando ciò che è meglio e più utile fare per queste popolazioni per oggi e per il futuro, individuando progetti e strategie”. “E’ il momento di comprendere come affrontare il futuro – prosegue – e per farlo bisogna riflettere, non lasciarsi prendere dalle soluzioni immediate ma pensare e prendersi il tempo per farlo”. Il vescovo, che fu tra i primi ad arrivare sui luoghi del sisma, descrive l’atmosfera che si vive oggi nelle cittadine colpite dove il numero delle vittime è ancora provvisorio “e non sarà certo finchè non hanno finito di scavare”. “C’è un senso di solitudine – spiega mons. D’Ercole -. Ci si comincia a rendere conto di quello che è successo: ieri la botta, oggi la realtà. Si sente la pesantezza di aver perso tutto e il nostro lavoro è proprio quello di non permettere alle persone di perdere il coraggio di affrontare la situazione. Si cerca allora di incoraggiare, di stare vicino, con amore e anche competenza”. Ma soprattutto – ed è questo l’appello oggi del vescovo – “bisogna fare in modo che la gente riparta. Molti stanno ritornando a Roma e da qui a qualche giorno i numeri delle presenze sicuramente si ridurranno. Alcuni saranno alloggiati presso amici e parenti. Il mio proposito è quello di togliere il più presto possibile le tende e fare in modo che tutti trovino una famiglia che li accolga e riprendano a vivere senza passare a lungo attraverso la stadio delle tende”.  Molte le chiese distrutte dal terremoto. “Dopo aver accompagnato i morti e verificato la situazione – conferma mons. D’Ercole – cominceremo a fare anche la conta anche ai danni che hanno subito le chiese. Tutte le chiese sono fuori uso. Probabilmente lanceremo un appello in tal senso, perché non è possibile lasciare questi paesi senza luoghi di culto: sono i centri attorno a cui riparte la vita”.

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