incontroPatrizia Caiffa

In un giorno terribile del 2008, a causa del colpo di Stato in Mauritania, la sua vita è cambiata di colpo. I genitori imprigionati ed uccisi, ha perso tutto ed è dovuto fuggire. Dal 2011 Mor Amar, 31 anni, è rifugiato politico in Italia ed ha fondato a Roma, insieme a 3 soci italiani, una cooperativa di successo che si occupa di grafica e siti web e ha dato lavoro ad una trentina di persone, in maggioranza italiani. Lui musulmano, gli altri cristiani: un esempio di integrazione riuscita e del contributo positivo che gli immigrati possono dare all’Italia e alla nostra economia.

In un giorno oscuro ha perso tutto.
“Mio padre era ministro del governo – racconta -. Con il colpo di stato dell’esercito i miei genitori sono stati incarcerati. Abbiamo saputo che sono stati uccisi e ci hanno detto di fuggire perché rischiavamo anche noi la vita. Io avevo 24 anni, ero sposato e mia moglie aspettava un bambino. Studiavo letteratura francese all’università, ero il più piccolo di tre fratelli, stavamo bene. Ho dovuto lasciare mia moglie e fuggire verso il Senegal con i miei fratelli. In un giorno ho perso tutto. Non è facile quando succede in maniera così brutale”. Con i due fratelli sono riusciti a raggiungere il Senegal, dove sono stati tre anni. Poi Mor Amar è entrato in Francia con un passaporto diplomatico. Alloggiava in un centro per rifugiati, ma la trafila burocratica per ottenere l’asilo rischiava di allungarsi troppo. I francesi gli hanno proposto di venire in Italia per accorciare i tempi. E così è stato. Accolto dal Cara (Centro per richiedenti asilo) di Castelnuovo di Porto in provincia di Roma, ha aspettato 6 mesi per avere finalmente il diritto all’asilo. Poi la notizia più bella: dopo anni che non vedeva la moglie Coumba è riuscito ad ottenere il ricongiungimento: è venuta in Italia con il bambino più grande (che oggi ha 5 anni) e il secondo figlio, di 2 anni e mezzo.

Una cooperativa fondata sull’integrazione. “Nel frattempo facevo piccoli lavoretti – prosegue -. Ho incontrato Marco Ruopoli, mi ha proposto di fare dei lavori insieme. Nel 2012, con altri tre soci, abbiamo fondato la Cooperativa “Sophia” (www.sophiacoop.it) che realizza siti web e grafica editoriale. “Condividiamo uno stile: creare valore economico attraverso l’integrazione”, è il motto della cooperativa. L’iniziativa sta proseguendo molto bene, con tanti lavori in arrivo. Mor Amar ha poi scritto un libro con l’amica e socia Caterina Amodio, nel quale racconta la sua storia (www.stronzonero.it). Mor e Marco oggi formano studenti nelle scuole in un progetto sull’immigrazione e integrazione finanziato dalla Fondazione Nando Peretti: “Incontrerò i ragazzi in classe: partiremo dal mio libro e illustreremo dati e informazione sulle migrazioni, grazie alla collaborazione con la Fondazione Migrantes”.

“Voglio essere utile a questo Paese”. La filosofia esistenziale di Mor Amar è semplice ed al tempo stesso profonda: “In 31 anni ho sperimentato esperienze forti come se avessi vissuto una vita intera. Quando ripenso al passato sto molto male, quello che ho perso non lo riavrò mai più. Non è facile fuggire per disperazione e ritrovarsi in un Paese che non è tuo, in una cultura completamente diversa, con i tuoi cari perduti o lontani. Ma oggi sto bene. Cerco sempre di essere felice per quello che ho oggi: la mia famiglia, il mio tempo, il mio lavoro. Voglio essere utile a questo Paese, cercare di fare qualcosa di positivo per l’Italia. Per me è fondamentale poter lavorare e condividere con altri, anche se siamo di appartenenza religiosa e nazionalità diverse. C’è molto rispetto tra di noi”. I fratelli di Mor sono rimasti in Senegal, il più grande ha lavorato duramente per sostenerlo anche economicamente nel suo viaggio verso l’Europa. “L’anno scorso sono riuscito ad andare in Senegal per rivederli – dice -. Ma in Mauritania non potrò tornare mai più, e questo è molto duro. Ci vorrà tempo per rimarginare le ferite”.

“Diamo lavoro agli italiani”. La cooperativa Sophia è la dimostrazione di quanto l’immigrazione possa creare anche opportunità occupazionali. “Non è vero che i migranti rubano il lavoro. Abbiamo tanti collaboratori, tra cui una ventina di italiani. Io pago le tasse, i miei figli vanno all’asilo, mi sento parte della società e dello sviluppo di questo Paese. Tanti altri come me fanno lo stesso”. Tanto per dare alcune cifre: nel 2014 gli immigrati hanno pagato di Irpef 7 miliardi di euro, portato nelle casse dell’Inps 9 miliardi di euro, per un totale di 16 miliardi di euro incassati dallo Stato. A fronte di 12 miliardi di euro spesi, il saldo è senz’altro positivo.

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