inghilterraMaria Chiara Biagioni
Si possono avere opinioni molto diverse sull’approccio verso la vita dei propri fedeli e appartenere alla stessa comunità ecclesiale? Si possono esprimere posizioni divergenti senza per questo cadere nella logica della contrapposizione? Ci si può riconoscere profondamenti fratelli nella fede, pur pensandola in modo completamente diverso? E ancora: si possono pensare a norme e indicazioni pastorali diverse a seconda del territorio in cui si vive, senza rischiare divisioni interne o addirittura veri e propri scismi? Sono alcuni degli interrogativi che attraversano le Chiese cristiane nel tempo della globalizzazione e del pluralismo. È la sfida della “collegialità”, della “parresia”, l’aveva chiamata papa Francesco lo scorso anno aprendo il Sinodo sulla famiglia. Ma il “problema” non è solo cattolico. Da anni la Chiesa anglicana si confronta con la preoccupazione di mantenere coesione e unità di fronte all’evoluzione ineguale e talora contraddittoria di opinioni e posizioni nelle diverse province ecclesiastiche che la costituiscono.
Porta la data del 16 settembre, la lettera dell’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, con la quale il “leader spirituale” della Comunione anglicana ha convocato a Canterbury in via del tutto eccezionale per gennaio 2016 tutti i 37 “primati” delle Province anglicane. Scopo della riunione straordinaria è “riflettere e pregare insieme sul futuro della Comunione” e rinsaldare l’unità tra le diverse Province. L’incontro (le date proposte sono dall’11 al 16 gennaio) sarà una occasione per fare il punto in vista della prossima Conferenza di Lambeth. È l’assemblea di tutti i vescovi della Comunione anglicana che viene indetta all’incirca ogni 10 anni. L’ultima si è tenuta nel 2008 e si imbatté subito nella crisi che si era aperta cinque anni prima con l’elezione a vescovo del New Hampshire di Gene Robinson, presbitero anglicano legato stabilmente in una relazione affettiva a un partner dello stesso sesso. Da quel momento, la polarizzazione tra elementi liberal, favorevoli sia alla benedizione di relazioni omosessuali che all’ordinazione di omosessuali praticanti, e cristiani “tradizionalisti”, contrari a qualsiasi compromesso in tal senso in nome della rivelazione biblica, ha scatenato una serie di eventi che ha posto seriamente in pericolo l’unità della Comunione anglicana.
La Comunione anglicana non ha una organizzazione centralizzata. Ciascuna Provincia gode di una forte indipendenza sia sul piano disciplinare e organizzativo, che teologico. E se la Chiesa d’Inghilterra gode del prestigio di “Chiesa madre”, e l’arcivescovo di Canterbury rappresenta una leadership di tipo “spirituale”, nessuno può avvalersi di una autorità costrittiva. Ovviamente, gli anglicani si sono dotati di “strutture di comunione” che servono a mantenere la coesione tra le diverse province ecclesiastiche. Ma i tempi attuali corrono veloci e le sfide sono sempre più dirompenti: episcopato femminile e unioni omosessuali hanno messo a dura prova la fedeltà alla coesione anglicana. Qualcuno e a più riprese ha parlato addirittura di “scisma” tra le parti più liberali della Chiesa – in particolare Regno Unito e Stati Uniti – e quelle invece tradizionaliste, in particolare in Africa. E nella lettera di convocazione inviata il 16 settembre, l’arcivescovo Welby scrive: “Ognuno di noi vive in un contesto diverso. La differenza tra le nostre società e culture, così come la velocità di cambiamento culturale che si registra in gran parte dei Paesi del Nord, ci tenta di dividerci come cristiani”.
Ciò non significa uniformismo, spiega Welby. Al contrario: “Una famiglia anglicana del 21° secolo deve dare spazio al profondo disaccordo, e anche alla critica reciproca”. È il delicato equilibrio che richiede la “collegialità” e la comunione. Equilibrio sempre da ricercare, mai dato per scontato. Ma se la Comunione anglicana riesce nell’impresa, può fare da apripista per il vasto mondo ecumenico delle Chiese. “Non abbiamo nessun Papa anglicano – scrive Welby -. La nostra autorità come una chiesa è dispersa e si trova, in ultima analisi, nella Scrittura, correttamente interpretata. Dobbiamo incontrarci in quella luce, sotto la guida dello Spirito Santo, e cercare di trovare un modo che ci permetta di intraprendere un percorso che favorisce il servizio e l’amore reciproci in vista, soprattutto, della proclamazione della buona novella di Gesù Cristo”.

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