immigrazioneDIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza sulle letture di domenica 14 giugno.

Più su del monastero, dove finisce la strada, c’è un bellissimo campo di grano, dove il giallo intenso delle spighe quasi pronte per la mietitura è punteggiato dal rosso fuoco dei ciuffi di papaveri: il corso delle domeniche del tempo ordinario ricomincia proprio da qui, dalla Parola di Gesù che per spiegarci il regno di Dio ci porta prima in un campo di grano e poi in un orto a vedere crescere un granello di senape (Mc 4,26-34).

Sarebbe interessante chiederci a cosa pensiamo quando parliamo del “regno di Dio”: ha a che fare con la terra o con il cielo, con gli uomini mortali o con gli angeli, è qui e adesso o dopo la morte in paradiso?
Nelle due parabole che ascolteremo domenica Gesù parla di un regno il cui re è Dio e i cui cittadini sono coloro nei quali è stata seminato il seme della Parola, Gesù Verbo del Padre, come si legge nella parabola precedente (quella dei diversi terreni) e l’hanno accolta, riconoscendo la signoria di Dio sulla propria vita e sulla vita della Chiesa, già in questo mondo, pur sapendo che, come dice san Paolo nella II^ lettura, «siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo … e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore». Come buoni cittadini, tutti siamo chiamati a lavorare per il regno, ma, sembra chiederci ancora Gesù, che cosa ci aspettiamo come risultato del nostro impegno?
Proviamo ad entrare in un salone parrocchiale dove si sta svolgendo la riunione di fine anno dei catechisti e degli operatori pastorali: «Abbiamo faticato tanto, ma i risultati sono stati deludenti» -dice qualcuno- «i bambini sono pochi, le famiglie non si interessano …», «se è così» -aggiunge qualcun altro- «non vale la pena darsi tanto da fare!». «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno: dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa»: se il seme è la Parola, Gesù, il risultato è opera sua ed è una certezza inscritta nel disegno di Dio, che noi adesso non vediamo con gli occhi del corpo, camminiamo infatti nella fede e non nella visione dice san Paolo, ma che contempliamo nella piena fiducia che il Signore porterà a compimento la sua opera.
E lo fa senza fare tanto rumore, ma per tappe successive e necessarie con lo stesso ordine con cui, al tempo dell’«In principio» la sua Parola chiamò ogni cosa all’esistenza: «prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga». Così è anche per ogni uomo e dovremmo ricordarcelo sempre e imparare a rispettare i tempi del nostro fratello che può essere ancora un filo d’erba, mentre noi lo vorremmo già grano maturo. Il tutto non per il nostro compiacimento, perché restiamo sempre «il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno», ma perché tutti «gli uccelli del cielo possano fare il nido alla sua ombra»: noi saremo il regno di Dio, quando tutti gli uomini affaticati e oppressi troveranno casa e riposo presso di noi.

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