SarajevoDi Luigi Crimella
Ma è vero che la cultura cattolica è “circondata” e messa in seria difficoltà da alternative molto agguerrite? A giudicare da quanto sta emergendo dal congresso di Sarajevo sulle scuole cattoliche in Europa e sulla formazione dei docenti che operano anche nelle scuole pubbliche, la risposta è affermativa, ma non drammatica. Le due realtà che hanno promosso questo meeting di docenti, dirigenti, episcopati nazionali, vale a dire la Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali europee) e Ceec (Comitato europeo per l’educazione cattolica), hanno invitato esponenti del variegato mondo delle scuole cattoliche e delle associazioni cattoliche di insegnanti. Quelli che potrebbero essere considerati dei “nemici” naturali della cultura cattolica, vale a dire il “pensiero debole”, la “società liquida”, la “secolarizzazione”, il “relativismo etico” sono fattori effettivamente presenti – si è detto a Sarajevo – e costituiscono autentiche sfide per l’insegnamento nelle scuole cattoliche, così come per l’attività dei docenti cattolici nelle scuole pubbliche dei vari Paesi. Ma il segreto consiste proprio nel puntare sulla formazione dei docenti, impegno e a sua volta “sfida” per le comunità cristiane, perché ogni insegnante giunga “in cattedra” con un bagaglio culturale e spirituale di tutto rispetto. Del resto proprio il tema del congresso è stato formulato in maniera molto chiara: “La formazione cristiana personale e l’accompagnamento spirituale degli insegnanti cattolici nelle scuole”. Quindi il primo protagonista della “scuola cattolica” non è di per sé l’ente gestore e il docente, bensì la comunità cristiana nel suo insieme, che deve “sentire” la propria scuola come un servizio culturale di primo piano, oltre che un canale per far passare il messaggio evangelico.
Le “competenze relazionali”, specialità cattolica. Uno dei concetti più pregnanti di questa visione comunitaria dell’attività scolastica è stato espresso dal docente di teologia pratica dell’Institut Catholique de Paris, Francois Moog. Dopo aver sottolineato l’importanza del coinvolgimento comunitario per la promozione e gestione di una scuola cattolica, ha notato che se c’è un “di più” per queste scuole o per i docenti credenti che insegnano nelle scuole pubbliche, esso consiste nel fatto che sono chiamati a “insegnare la disposizione alle relazioni umane”. I docenti cattolici non devono fare i missionari o i catechisti in senso stretto – ha spiegato Moog – ma invece devono accogliere e stimolare i giovani per un approccio positivo alla vita, motivandoli a una formazione completa. “Più che alle competenze professionali che pure sono necessarie, – ha proseguito – si tratta di formarli alle ‘competenze relazionali’, quelle propriamente umane, che designano l’atteggiamento di fondo verso la vita e gli altri, e che vanno portate a tutti. Tale atteggiamento rappresenta una testimonianza molto eloquente dei valori del Vangelo e testimonia la speranza, anche riguardo ai temi sociali e della giustizia oggi molto sentiti. Gli insegnanti, aperti al dialogo, accoglienti, che puntano alla ‘formazione del cuore’ dei loro alunni, faranno continuamente appello al discernimento profondo delle questioni e al valore della libertà umana, che è anche libertà religiosa e spirituale”.
Come va in Europa. Ma, se queste sono le premesse culturali, come va per la scuola cattolica in Europa? Diversi esempi sono già stati portati nelle fasi iniziali del congresso. Ad esempio, a Malta le scuole cattoliche sono molto apprezzate e sostenute dallo Stato, anche se cominciano ad emergere problemi. In Polonia, con 650 scuole cattoliche, il governo permette di scegliere insegnanti “cattolici” senza opporre ostacoli o accuse di “discriminazioni” come avviene invece in altri Paesi. In Irlanda del Nord le scuole cattoliche sono 530 e stanno acquistando terreno; prima viste come di serie “B” ora sono sempre più apprezzate. Nella travagliata Ucraina ci sono 14 scuole, “non sono tante” – si è detto -, “ma stanno facendo un percorso per chiarire la propria identità e si attende un direttorio che orienti l’attività e favorisca la formazione degli insegnanti”. In Albania, altro esempio emerso, le scuole sono cattoliche “per modo di dire”, nel senso che sono gestite da religiosi ma nella grande maggioranza non è possibile insegnare la religione cattolica, bensì si insegna l’etica, a motivo che la stragrande maggioranza degli allievi sono in realtà musulmani. Dell’Italia non si è finora parlato, anche se è noto che le scuole cattoliche del nostro Paese stanno vivendo difficoltà notevoli a causa del ritrarsi ulteriore dei già scarsi aiuti pubblici, che costringono molte famiglie a ritirare i propri figli. Ma non tutto è negativo nel panorama finora considerato. Positivo ad esempio è “il poter prevedere tempi per esercizi spirituali per insegnanti e ragazzi, offerta tipica delle scuole cattoliche, come pure il poter vivere la fede da parte degli insegnanti”. Ecco quindi che la scuola cattolica e i docenti credenti – pur nelle diversità nazionali – possono ancora ambire a svolgere un ruolo culturale in Europa. Così si è espresso il vescovo Eric Aumonier, esortando i docenti a un “combattimento spirituale” per offrire frutti di vero impatto interiore sugli alunni.

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