ITALIA – Per rispondere alle esigenze dei cittadini, per andare incontro alle attese dei giovani, magari anche di quelli che non hanno un lavoro – da Madrid a Vilnius, da Londra a Roma – occorre “più Europa, ma un’Europa diversa”. È l’auspicio, convinto e argomentato, di Silvia Francescon, esponente dello European Council on Foreign Relations (Ecfr), think-tank di respiro continentale, con sedi in sette Paesi, che si occupa di politica estera e comunitaria, economia, diritto. Francescon ha alle spalle un lungo curriculum che l’ha portata a operare, fra l’altro, alle Nazioni Unite e alla Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Ha compiuto studi giuridici ed economici, compreso un master in International Environmental Law a Londra.
Sono freschi di pubblicazione i dati Eurostat sul mercato del lavoro in Europa. Purtroppo non ci sono novità di rilievo: la disoccupazione rimane alle stelle, i giovani sono estromessi da fabbriche e uffici. La crisi dunque non ci abbandona. L’Unione europea ha provato a formulare delle risposte a questa situazione: dall’unione bancaria a quella economica e monetaria, dal Piano per la crescita al fondo salva-Stati, per fare degli esempi. Ma quando arriveranno gli effetti positivi?
“Per quanto di sua competenza, l’Ue ha in effetti cercato di creare degli strumenti per fronteggiare la crisi, fra cui quelli appena citati. Ma si tratta di risposte che possono avere effetti a medio e lungo termine, non nell’immediato. In questi campi le competenze maggiori spettano ai singoli Stati membri. Talvolta, poi, si tratta di risposte frammentarie: questo perché all’Europa occorre un vero e più ampio disegno politico e maggiori poteri alle sue istituzioni. Poteri che gli Stati membri non sembrano intenzionati ad affidarle”.
Ma i singoli Stati possono muoversi in solitudine negli attuali scenari globali?
“Io ritengo di no. Nemmeno la Germania se lo può permettere. È vero che persino i dati sull’occupazione resi noti da Eurostat disegnano un’Europa a più velocità, con disoccupazione insostenibile in Spagna e Grecia e tutt’altra realtà in Austria, Germania, Paesi Bassi, dove il lavoro non manca… Eppure di fronte ai colossi mondiali, alla Cina o agli Stati Uniti, occorre serrare i ranghi e costruire un mercato unico, competitivo”.
Giusto per capirci: cosa occorre all’Ue per poter fornire risposte positive ai bisogni degli europei?
“Tante cose. Un bilancio ben più elevato, adeguato alle politiche comuni; un solo ministro per amministrare tale bilancio; una politica univoca per la realizzazione di infrastrutture. E, ancora, una ricerca comune, un solo mercato energetico. In questi giorni il caso siriano dimostra anche che servirebbe una sola politica di difesa e non 28 eserciti che non uniscono le loro forze. E non si possono nemmeno avere 28 diplomazie per una politica estera coordinata”.
Sono le cancellerie nazionali che frenano la costruzione della “casa comune”?
“Anche. Molti leader nazionali, dalla Merkel a Hollande, per non parlare di Cameron, dimostrano di pensare agli interessi nazionali, senza realizzare che, per perseguire tali interessi, serve più Europa. Un’Europa diversa da quella di oggi, ma più Europa”.
“Diversa” in che senso?
“Nel senso di un rafforzamento delle istituzioni di Bruxelles e delle politiche che si conducono insieme per produrre risultati concreti a beneficio dei cittadini. E se parlare di ‘percorso federalista’ può essere ancora un tabù, allora parliamo di ‘unione politica’, ma bisogna crederci e agire di conseguenza”.
Euroscetticismo, populismo, nazionalismi: sono alcuni dei “mali” che attraversano il continente e denunciati da autorevoli commentatori. Non c’è il rischio di un flop alle elezioni per l’Europarlamento del maggio 2014?
“Il pericolo è elevatissimo. Sia nel senso di un astensionismo alle stelle, sia nell’ipotesi che un terzo dell’Assemblea di Strasburgo possa essere composto da forze antieuropeiste”.
Cosa si può fare a riguardo?
“A mio avviso occorre da subito uno sforzo delle stesse istituzioni dell’Unione affinché comunichino meglio quanto l’Ue realizza per i cittadini. Non solo in termini di pace e democrazia (che sono già risultati di fondamentale importanza), ma anche nei settori concreti della vita, dall’istruzione al mercato comune, dalla libera circolazione al sostegno alle regioni meno sviluppate. Inoltre occorrerebbe, proprio in vista del voto per l’Europarlamento e come si è convenuto in sede Ue, che le forze politiche, cioè i partiti, si dessero un respiro transnazionale, proponendo ai cittadini veri programmi elettorali europei e candidati adeguati a realizzare tali programmi a livello europeo”.
Cosa direbbe a un giovane italiano, magari senza lavoro, rispetto al voto europeo? Con quali motivazioni lo si dovrebbe invitare alle urne?
“Gli direi semplicemente che l’Italia senza l’Europa non può farcela, non può giungere a una ripresa economica. Ciò vale, come ho detto, per l’Italia, così pure per gli altri Stati. L’Europa è una via di non ritorno. Direi persino che forse dobbiamo andare oltre il disegno dei ‘padri fondatori’: l’Ue va costruita non solo per l’ideale europeo, ma perché è una necessità”.

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