di Michele Luppi

Un momento delicato in cui la gioia per la nomina a ministro di Cécile Kyenge, si accompagna alla delusione per le offese degli ultimi giorni. “Ormai ho imparato che quando pensi che le cose stiano migliorando basta un attimo per ritornare indietro”, racconta Kossi Kolma-Ebri, medico e scrittore, presidente dell’associazione Redani, la rete della diaspora nera in Italia, di cui il nuovo ministro dell’integrazione è stata segretaria dal 2009 fino alla sua nomina. Un clima che è divenuto più teso nei giorni scorsi dopo che, a Milano, un cittadino ghanese ha ucciso a picconate tre persone. “Grande cordoglio per i parenti delle vittime. Credo – spiega Kolma-Ebri – che episodi come questo non vadano strumentalizzati. Non è il colore della pelle a fare l’assassino. Ci sono assassini bianchi e assassini neri. Proprio poco tempo fa, ad esempio, un cittadino italiano a Palermo aveva aggredito dei passanti ed era stato fermato da un extracomunitario”.
Quanto a Cécile Kyenge, “l’Italia ha guadagnato un ministro ma io ho perso una validissima segretaria”, racconta al Sir sciogliendosi in un sorriso “ul dutur” come lo chiamano, in dialetto, i pazienti dell’ospedale Fatebenefratelli di Erba dove lavora da molti anni. Arrivato in Italia nel 1974, Kolma-Ebri, si definisce un “artigiano della parola”, amante della lingua di Dante a tal punto da sceglierla per i suoi racconti.

Come avete accolto la notizia della nomina a ministro di Cecile Kyenge?
“Con grande gioia, perché lunga è la notte, ma sembra che il giorno stia arrivando. E la nomina di Cécile è certamente un bagliore nel buio, ma non vorrei restasse solo un simbolo. Voglio credere che la sua nomina sia avvenuta non per il colore della pelle, ma perché è stata una persona che per anni ha lottato per la riaffermazione dei diritti, non solo degli immigrati ma di tutti”.

Una nomina che ha riacceso il dibattito sull’integrazione. Quale pensa potrà essere il suo contributo?
“Non so se potrà risolvere tutti i problemi, ma certamente la sua nomina permetterà di metterli sul tavolo. Nessuno vuole negare che la priorità oggi sia il lavoro, anche perché, quando la coperta è corta, si diventa tutti più egoisti, ma per troppo tempo in Italia parlare di immigrazione ha significato parlare di sicurezza arrivando all’equazione tra immigrato, clandestino e criminale. Non è vero. Ci sono immigrati che delinquono e per questo vanno perseguiti e puniti, così come ci sono italiani che lo fanno. Del resto la parola ‘mafia’ non è di origine africana. Ma non credo che la maggioranza degli italiani la pensi così, altrimenti perché affiderebbero agli immigrati le loro cose più care: la casa, i figli e gli anziani. Il problema è che questa maggioranza è troppo silenziosa”.

Hanno fatto discutere alcune interviste al ministro Kyenge in cui sono state enfatizzate alcune sue caratteristiche “folkloristiche”. Avendo lavorato per anni al suo fianco per quale caratteristica vorrebbe fosse ricordata?
“Il suo lavoro a favore dei diritti. La chiamiamo ‘roccia’ perché è una donna che non molla mai. È una persona molto generosa, impegnata, che non inizia qualcosa per poi lasciarla a metà”.

Alcune sue dichiarazioni hanno riacceso il dibattito sullo “Ius Soli”. Cosa ne pensa?
“Non so dove questo dibattito condurrà, ma credo sia già positivo che il problema venga posto. Ma vorrei sfatare un mito: non credo che se lo ‘ius soli’ dovesse essere introdotto in Italia, assisteremmo ad un’invasione di donne incinte provenienti dall’Africa. Viviamo vicini alla Francia, unico Paese europeo ad avere lo ‘ius soli’, e non mi sembra ci sia la corsa degli immigrati italiani ad andare a partorire là. Detto questo credo si possa discutere sul tipo di legge da introdurre perché la convivenza la si costruisce partendo dalla condivisione dei valori costituzionali e dei valori morali”.

Parlando di integrazione, quale crede sia l’urgenza più grande?
“Quella delle cosiddette ‘seconde generazioni’: ci sono un milione di ragazzi nati e cresciuti in Italia, ma che sono discriminati nella quotidianità. Quando i loro compagni di scuola vanno in gita all’estero non possono partire, quando i loro genitori perdono il lavoro e con esso il permesso di soggiorno, lo perdono anche loro. Questa è una forma di razzismo istituzionale, la peggiore perché non da a tutti le stesse opportunità”.

Uno dei suoi libri più conosciuti “Imbarazzismi” raccontava con ironia l’esperienza di tanti immigrati vittime del pregiudizio. A circa quindici anni dall’uscita, come vede la situazione italiana?
“Oggi, purtroppo, se dovessi scrivere un libro come quello, lo intitolerei “razzismi” e sostituirei l’ironia con la denuncia. Allora volevo dimostrare come la non conoscenza della differenza creasse imbarazzo. Oggi la situazione è tragica perché la possibilità di conoscere c’è, ma a questa viene contrapposto il rifiuto e la discriminazione”.

Come si potrebbe intervenire?
“Non si può imporre l’integrazione o l’inclusione per decreto. È necessario lavorare per creare spazi di rapporti quotidiani, a partire dalla scuola. Bisogna far capire che le nostre differenze (colore della pelle, aspetto fisico, età) sono minori rispetto a ciò che ci accomuna (sogni, aspettative, emozioni). Il problema è che per scoprire le cose in comune non basta guardarsi, ma è necessario parlarsi”.

Come vede il futuro?
“La ragione mi rende pessimista, ma emotivamente voglio credere che le cose cambieranno, che dopo la notte venga il giorno. La nomina di Cécile è un tassello che può portare a questa strada. Mi permetta un’immagine: nessuno vuole una società che sia un frullato insapore di culture diverse, ma una macedonia. Una società multiculturale dove si possa sentire il gusto di ogni singolo frutto”.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *