di Graziella Nicolosi

“Un uomo capace di dialogare con tutti, e di toccare i cuori della gente”: così il cardinale Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo, ha definito sinteticamente don Pino Puglisi, introducendo un convegno di studi organizzato ieri sera nella Facoltà teologica di Sicilia. A meno di un mese dalla sua beatificazione, prevista per il 25 maggio prossimo allo stadio “Barbera”, la chiesa palermitana continua a confrontarsi sulla figura del sacerdote di Brancaccio ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993. “Il suo – ha aggiunto il card. Romeo – è un vangelo che si è fatto carne, e ha trasformato realmente le coscienze. Riflettendo sulla sua opera possiamo rivedere le nostre attività pastorali e rinnovarle con vigore”.
Don Pino martire cristiano. Secondo don Massimo Naro, docente della Facoltà teologica di Sicilia, “l’uccisione di don Puglisi non rimane solo un efferato delitto di mafia”, ma è anche “una testimonianza di fede e amore”. “Siamo tenuti a leggere la sua morte violenta – ha aggiunto – come un annuncio di redenzione che ci fa nutrire nuova speranza”. Don Pino è “un martire cristiano, che possiamo accostare, con le dovute differenze, a martiri civili come Falcone e Borsellino”. Padre Giuseppe Bellia, docente di teologia biblica, ha offerto un parallelismo tra padre Puglisi e la figura del “servo sofferente” descritta dal profeta Isaia, che “sacrifica se stesso, perché attraverso di lui si compia la volontà del Signore, finalizzando la sua azione al progetto di Dio”. La sua sofferenza è “lievito di trasformazione per un intero popolo, e dimostra come “il regno di Dio sia alla portata di tutti”. Don Giuseppe Anzalone, preside dell’Istituto teologico “Guttadauro” di Caltanissetta, si è soffermato sull’etica della tenerezza di padre Puglisi come “prospettiva paradossale in una terra di mafia”. Il “lupo mafioso” ha dovuto fare i conti con “l’agnello don Pino”, che però non si ritirava, ma “tendeva la mano per cercare la conversione”. Dimostrandolo fino alla fine, con il sorriso disarmante rivolto al suo uccisore.

Un prete che pensava in grande. Padre Angelo Romano, docente alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, ha conosciuto personalmente don Pino e ne ha ricordato l’ambizioso progetto di creare una nuova chiesa a Brancaccio, che finalmente si sta concretizzando a vent’anni dalla sua morte. “Padre Puglisi pensava in grande – ha spiegato – e desiderava dare un segno concreto della sua azione pastorale”. In un quartiere sottoposto al potere di Cosa Nostra, voleva creare un “polmone umanizzante” che avesse, oltre al luogo di preghiera, “giardini, campi da gioco, saloni, biblioteche”. Per don Cosimo Scordato, insegnante di teologia dogmatica, “don Pino avrebbe potuto fare una scelta più semplice, chiudendosi in sacrestia senza confrontarsi con la mafia”. E invece “ha deciso di affrontarla senza paura”. “Ciò che è avvenuto – ammonisce – rappresenta un punto di non ritorno: il sistema mafioso è in antitesi con la Chiesa e non è ammessa alcuna contiguità”.

Un esempio per i giovani. Ad ascoltare i relatori molti giovani, perlopiù studenti della Facoltà teologica di Sicilia. Alcuni conoscevano già padre Puglisi, altri hanno imparato ad apprezzarlo nei mesi precedenti alla beatificazione, ricchi di incontri e percorsi di approfondimento. Per Mariangela Campodonico, all’ultimo anno del corso di Scienze religiose, “padre Puglisi è un modello di insegnamento: ha aiutato i giovani ad intendere la vita in maniera diversa, con una pedagogia spontanea e non artefatta”. Lo conferma Miriam Lodico, ex studentessa del liceo scientifico “Ernesto Basile”, in cui padre Puglisi ha insegnato religione: “Anche se non l’ho conosciuto personalmente – spiega – nella mia scuola ha lasciato un ricordo forte. Pure nel contesto scolastico ha avuto il merito di innovare e demolire pregiudizi”. Gli fa eco Manuela Pirrone, 21 anni, secondo la quale “padre Pino ha impresso un segno nella coscienza di tutti i palermitani onesti, riempiendo la città di orgoglio, a maggior ragione ora che viene elevato agli altari”. “È impressionante – commenta Maria Puleo – come a distanza di tanti anni la spiritualità di questo sacerdote sia rimasta viva”. Presenti all’incontro anche seminaristi e giovani religiose. Fra loro Francesca, una suora missionaria di 28 anni, nativa dell’Umbra e da quattro anni a Palermo. “Avevo sentito parlare di padre Puglisi già durante gli anni della mia formazione – racconta – ma ho approfondito la sua figura qui in Sicilia. Mi ha colpito per la semplicità con cui annunciava il Vangelo, da persona non straordinaria, ma che viveva il quotidiano in maniera straordinaria”. “Per noi che ci prepariamo a diventare sacerdoti – aggiungono alcuni seminaristi – padre Pino non è solo un martire della mafia, ma anche e soprattutto un uomo che ha affrontato il ministero sacerdotale con perseveranza e coerenza, agendo nel tessuto sociale di una Palermo tanto bisognosa di aiuto”.

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