20 marzo 2008, Giovedì Santo. Palestra del centro diurno “San Alberto Hurtado” della parrocchia Caacupe y Lyon, nella villa miseria21-24 e Zavaleta, una delle tante baraccopoli di Buenos Aires. Il cardinale Jorge Maria Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, si china a lavare i piedi di Miriam, Cristian, Jaime e gli altri ragazzi dipendenti dal paco, la “droga dei poveri” diffusa nel cono sud dell’America Latina, ricavata dagli scarti della lavorazione della cocaina.
20 marzo 2013. Quel cardinale amorevole si chiama oggi Papa Francesco. Nella stessa palestra oggi centinaia di famiglie, giovani e donne villeros accompagnati dai sacerdoti e operatori pastorali dell’arcidiocesi, ricordano e festeggiano quel gesto di cinque anni fa, divenuto oramai storico perché diffuso dalle tv di tutto il mondo.

La lavanda dei piedi. Sono stati gli stessi ragazzi del centro diurno, che fa parte del progetto diocesano “Hogar de Cristo”, a immortalare quel momento con un dipinto sul muro della palestra. Bergoglio vestito di bianco e con le vecchie scarpe nere già note, che versa acqua da una brocca sui piedi di una giovane. Sulle altre pareti hanno raffigurato la loro via crucis quotidiana, il circolo vizioso di sofferenze provocate dalla droga. Qui la festa si celebra oggi, ininterrottamente, dalle 12 a mezzanotte, tra pasti, momenti di preghiera e riflessione, canti e balli e una messa alle 20 celebrata da monsignor Joaquin Mariano Sucunza, vicario generale dell’arcidiocesi di Buenos Aires. Chi vuole potrà passare al centro anche la notte, a patto di rendersi disponibile per le pulizie.

Il centro diurno. Nella sala accanto, dove si svolgono le riunioni, un gruppo di auto-aiuto, con persone di tutte le età, discute animatamente sull’organizzazione della giornata. Poi formano un unico cerchio di abbracci e pregano, chiedendo a Dio “di poter cambiare ciò che possono cambiare e di accettare ciò che non possiamo cambiare”. Nell’altra stanza un giovane su una sedia a rotelle con una gamba ingessata, una psicologa che parla con un ragazzo, la cuoca che distribuisce piatti di carne e riso. Karina ha 19 anni e una vita di inferno alle spalle. Il suo corpo magro, storto e disarmonico, è continuamente scosso da tremori e pruriti fortissimi. La pelle è stanca e arida, i capelli secchi e non curati. Ha vissuto anni in casa di un uomo molto più grande di lei, insieme ad altre due donne, tutte abusate, sfruttate, picchiate. Tutti dipendenti dal paco. Finché non ha avuto la forza di fuggire e di chiedere aiuto al centro di recupero fondato da padre Pepe De Paola e gestito dal 2002 da un giovane ed energico prete, padre Carlos Olivera, 37 anni, che qui tutti chiamano padre Charlie. Karina ora dorme in una delle casitas che fanno parte del progetto e sta provando a disintossicarsi dalla droga e rendersi autonoma.

300mila villeros. Sono 22 oggi – prima dell’arrivo del card. Bergoglio, che ha dato fondi e un grosso impulso, erano 8 – i sacerdoti villeros che accompagnano con un metodo pastorale e sociale innovativo i 300mila abitanti delle ottovillas miserias di Buenos Aires, che qui non hanno nemmeno la dignità di un nome: ogni baraccopoli è indicata con un numero. I soliti ammassi di baracche, lamiere, laterizi pieni di umanità povera e con poche speranze diffusi un po’ ovunque nelle megalopoli dell’America Latina, ma che si differenziano e caratterizzano per quella straziante fantasia della povertà che non smette mai di sorprendere. Qui gli occhi, i volti, gli atteggiamenti delle persone – donne, uomini, giovani, bambini dagli otto anni in su – sono distruttivamente forgiati dalla dipendenza del paco. Una dose, fumata con una specie di pipa, costa pochissimo: 10 pesos, poco più di un euro. Però lo stato di depressione e angoscia che arriva quando se ne va l’effetto della fumata è fortissimo e spinge a prenderne subito un’altra. In un giorno fumano una media di 12 dosi, ma si può arrivare fino a 60 e 100. La ricerca di denaro per pagare la prossima dose è incessante. Per procurarsi i soldi le ragazze si prostituiscono (molte di loro sono incinte), rubano, spacciano, lavano i vetri per strada, elemosinano, scippano, vendono dischi, vestiti, scarpe da ginnastica. Ma in linea di massima, precisa padre Charlie, “il paco dà uno stato di assuefazione tale – a volte stanno giorni senza dormire o mangiare – da non essere compatibile con la scuola, con il lavoro, con le attività”.

Uno stile e un metodo innovativo. Il centro di recupero “San Alberto Hurtado” è solo una delle innumerevoli opere, una quindicina, che fanno parte del progetto “Hogar de Cristo”, che ha 9 comedores (mense), scuole professionali per diventare elettricisti, carpentieri, panettieri, scuole secondarie, gruppi di auto-aiuto, assistenza scolastica, che ruotano intorno a parrocchie e cappelle sparse nelle varie villas. I fondi vengono dall’arcidiocesi, da privati e in parte dallo Stato, per non essere dipendenti da un unico finanziatore. Lo stile, racconta padre Charlie, “è quello della vicinanza della Chiesa, per accompagnare tutta la vita delle singole persone e famiglie. Solo in questo modo possono rendersi conto che la loro vita vale, che ha un senso e una speranza”. Padre Charlie vive in una casetta nella villa, insieme ad altri tre sacerdoti. Al mattino fanno lavoro pastorale in parrocchia, nel pomeriggio seguono le opere sociali. “La grande intuizione di Bergoglio – afferma – è stata di scoprire che il popolo ha molte risorse umane, morali, spirituali. Qui ad esempio sono tutti migranti dal Paraguay. Vivono le tradizioni religiose in modo totale. Il venerdì santo, ad esempio, non si mangia. Il sabato santo, non si parla”. Secondo padre Charlie il “messaggio di Papa Francesco sarà che il cattolicesimo non è una fede curiale per pochi, ma deve essere un atteggiamento spirituale e culturale profondo di un popolo. La sua grande attrazione personale per i poveri si trasformerà in opzione per tutta la Chiesa. Sarebbe triste e aneddotico se, alla fine del suo pontificato, la Chiesa restasse uguale”.

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