ITALIA – “Insieme ai sacerdoti, insieme ai più deboli” è lo slogan scelto per la Giornata di sensibilizzazione per il sostentamento del clero, che si celebrerà domenica 25 novembre in tutta Italia. Scopo della Giornata è far conoscere lo strumento delle offerte dirette da parte dei fedeli, che si vanno ad aggiungere alla forma indiretta di sostegno alla Chiesa rappresentato dalla firma per la destinazione dell’8×1000 dell’Irpef, prevista dagli accordi concordatari. I 38 mila preti italiani vengono “sostenuti”, nel caso non siano titolari di un reddito o di una pensione propria, attraverso le due modalità (8×1000 e offerte deducibili). L’obiettivo minimo è di assicurare uno stipendio netto di almeno 883 euro per i preti e fino a 1.376 euro mensili per i vescovi. Per approfondire la conoscenza di questi strumenti, Luigi Crimella, per il Sir, ha intervistato mons. Pietro Farina, vescovo di Caserta e presidente del Comitato per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica.

La Chiesa si rivolge ai fedeli e a tutti coloro che apprezzano la presenza dei presbiteri con la Giornata di domenica 25 novembre. Pensa che questa iniziativa possa avere successo?
“La Chiesa ha fiducia nella comprensione e generosità dei fedeli, che hanno sempre dato prova di affetto e vicinanza ai preti. Certo oggi la situazione di crisi si fa sentire e quindi potrebbe succedere che le offerte possano ridursi. È importante che i preti stessi per primi non temano di far conoscere ai fedeli questo importante strumento di aiuto”.

Accanto all’8×1000 lo strumento delle offerte deducibili sembra un po’ stentare a prendere piede. I fedeli non lo conoscono a sufficienza?
“Come dicevo prima, mentre lo strumento dell’8×1000 risulta abbastanza conosciuto e una decisa maggioranza lo firma con la dichiarazione dei redditi in favore della Chiesa, il secondo strumento delle offerte deducibili è meno utilizzato. Forse il problema è che viene visto come una ‘aggiunta’ all’8×1000, mentre in realtà dovrebbe raggiungere una sua fisionomia e portata, come previsto sin dalla sua istituzione”.

Cosa si potrebbe fare per aumentare la sua conoscenza presso i fedeli?
“Mi pare che l’aspetto centrale del problema consista in una giusta considerazione di cosa sia la Chiesa: se la si vede e la si vive come ‘comunione’, si capisce che tutti dobbiamo farcene carico, secondo le nostre possibilità. E pertanto l’aspetto tecnico, pur rilevante, diventa in un certo senso, secondario: quando si ha lo spirito giusto, si trova il modo di intervenire. Oggi abbiamo questi strumenti e siamo chiamati a usarli al meglio”.

Su cosa insistere maggiormente?
“Direi che la Chiesa è chiamata a mostrare che gestisce i beni e le risorse per finalità spirituali e così che è animata da un reale spirito di comunione. Davanti a questa realtà anche gli scettici si convincono e apprezzano la nostra presenza”.

Lei pensa che la Chiesa in futuro possa correre il rischio di entrare in crisi sotto il profilo economico, visto il perdurare delle difficoltà finanziarie a livello mondiale?
“Io penso di no perché certo la crisi c’è ed è molto diffusa. Tuttavia, penso che gli sforzi in atto per superarla prima o poi daranno i loro frutti e potremo tornare a una situazione più equilibrata. Una volta che la società si sarà assestata torneremo a una normalità anche per quanto riguarda gli aiuti alla Chiesa”.

Quindi, a suo avviso, occorre proseguire con l’opera di sensibilizzazione?
“Certo, perché da un lato c’è l’aspetto culturale e spirituale e tocca a noi, come Chiesa, di darci da fare per annunciare la bellezza del Vangelo. Per quanto riguarda i risvolti tecnici ed economici, bisogna invece dire che il sistema di sostegno alla Chiesa che abbiamo oggi è il meglio possibile e va conosciuto e utilizzato di più, specie per le offerte deducibili. Debbo sottolineare che è un sistema molto apprezzato dalle altre Conferenze episcopali”.

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