RUBRICA – Nasce una nuova rubrica curata dall’Avvocato Antonio Di Vito, dedicata alle sentenze più particolari e sorprendenti della giurisprudenza. Un appuntamento settimanale che accompagna il lettore in un viaggio dentro le aule di giustizia, alla scoperta di decisioni e pareri che, per contenuto o per ragionamento, escono dai percorsi più consueti del diritto.

In questi articoli, le domande e le risposte prendono le mosse da pronunce che affrontano temi insoliti per molte ragioni: perché portano in tribunale aspetti apparentemente lontani dal mondo giuridico – come gli spaghetti, il confronto tra un cane e una gallina o il celebre Gabibbo –; perché si spingono su un terreno filosofico, interrogandosi su cosa sia “giusto” prima ancora che “legittimo”; o ancora perché arrivano ad affermare, in modo paradossale, che il processo stesso possa costituire un danno.

Nelle aule giudiziarie, in fondo, può essere discusso di tutto. Vi entrano questioni alte e questioni banali, vicende curiose o fatti che sembrano estranei al diritto, ma che diventano giuridicamente rilevanti perché espressione della vita concreta. Una vita fatta di situazioni ordinarie e inconsuete, tutte comunque sottoposte al vaglio delle norme vigenti e all’interpretazione dei giudici.

Le citazioni delle sentenze riportate negli articoli sono racchiuse tra virgolette; per esigenze di scorrevolezza e rapidità di lettura, ne sono stati omessi gli estremi.

Primo appuntamento: Il Gabibbo è un plagio?

Nel 2017 la Cassazione ha deciso di no, dopo un processo durato quindici anni tra cinque parti in causa (all’inizio i litiganti erano di più): Gabibbo non imita Big Red, che è una mascotte della squadra di football di un’università americana.

La Corte ha ritenuto incensurabile il percorso logico del giudice di secondo grado che aveva:

– eseguito una prima valutazione comparativa tra Big Red ed altri pupazzi rilevando le somiglianze tra la mascotte americana e personaggi dei cartoni animati come Barbapapà, Elmo dei Muppets e Gossamer, “tutti caratterizzati dall’essere goffi umanoidi costituiti da una massa amorfa di colore rosso, con grande testa e occhi e bocca larga”;

– concluso che Big Red non presentava creatività tale da renderla opera tutelata dal diritto d’autore;

– rafforzato la conclusione adottando il ragionamento opposto: “anche se si ritenesse Big Red proteggibile per i suoi aspetti meramente formali, non sarebbe comunque ravvisabile un plagio”;

– eseguito una seconda valutazione, stavolta differenziale, tra Gabibbo e Big Red per confermare l’assenza di plagio.

Qui l’analisi non ha lasciato speranze alla mascotte: “il pupazzo del Gabibbo è invero anch’esso costituito da un umanoide di colore rosso, dalla grande testa, occhi bianchi con pupille nere, bocca larga. Il pupazzo presenta notevoli analogie formali con i personaggi in precedenza citati, ma si distingue dal Big Red (a prescindere dalla scritta WKU che in alcune raffigurazioni compare sul petto del Big Red ed ovviamente non è presente su Gabibbo e dalla presenza su quest’ultimo di papillon, pettorina e polsini: si tratta infatti di elementi di dettaglio che non incidono sulla valutazione degli aspetti formali complessivi dei pupazzi e che, per quanto riguarda il Gabibbo, sono stati aggiunti in un secondo tempo) per diversi elementi, la maggior parte dei quali già evidenziati dal giudice a quo. Più precisamente: gli occhi del Big Red sono bianchi con pupille nere. mentre il Gabibbo ha anche folte sopracciglia; il Gabibbo ha il naso, che invece non è presente nel Big Red; la bocca del Big Red ha un andamento trasversale, mentre quella del Gabibbo è rettilinea; le gambe del Big Red sono decisamente più corte di quelle del Gabibbo; il Big Red indossa scarpe bianche da ginnastica, mentre Gabibbo non ha scarpe; il corpo del Big Red è più a forma di sacco e meno definito rispetto a quello del Gabibbo”.

La vicenda giudiziaria ha avuto una certa eco nella stampa che si è espressa in termini anche ironici, però è indiscutibile la puntualità della motivazione.

Quando i giudici hanno a che fare con il diritto d’autore, devono applicare il concetto più artistico che giuridico di creatività dell’opera d’arte. E se la lite è su pupazzi o fantocci, di questi tocca parlare in dettaglio e con rigore logico anche quando non sono capolavori d’arte figurativa. Se non si ha una visione d’insieme da artista od intenditore d’arte, ed al giudice non è richiesto di rivestire quei ruoli, la creatività si accerta in modo analitico cioè isolando le singole parti dell’opera (le zampe e gli occhi del Gabibbo, una battuta del pentagramma o le terzine di note, un paragrafo o singole frasi). Così fanno anche i periti e consulenti incaricati di relazionare sulla creatività di un’opera: frazionando l’opera nelle sue componenti gli esperti si rendono comprensibili a chi non è, né deve essere, ispirato dalle muse.

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