(Foto: Siciliani-Gennari/SIR)

Di Giovanna Pasqualin Traversa

La violenza domestica non si esaurisce con l’episodio. Oltre la metà delle donne che l’hanno subita, anche a distanza di anni, soffre di disturbo da stress post-traumatico (Ptsd); un quarto presenta sintomi depressivi e un terzo rischia di diventare nuovamente vittima. Sono i dati raccolti dal progetto di ricerca EpiWe – Epigenetica per le donne, coordinato dall’Istituto superiore di sanità e finanziato dal ministero della Salute, che indaga come la violenza possa lasciare “cicatrici” persino sul Dna, modificando l’attività dei geni e compromettendo la salute psico-fisica. Al momento EpiWe ha coinvolto Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Liguria ma quest’anno, grazie ad una collaborazione con la Regione Puglia, lo studio è stato esteso anche ai minori che hanno assistito a violenze familiari. I primi risultati mostrano che

quasi l’80% di loro vive come evento traumatico l’aver visto violenze fisiche in casa, con conseguenze pesanti: casi di Ptsd complesso, depressione elevata e difficoltà relazionali.

I numeri che raccontano il trauma. Il 27% delle donne vittime di violenza ha una diagnosi di Ptsd; il 28,4% di Ptsd complesso. Il 23% mostra sintomi depressivi significativi. Il 32% è ad alto rischio di subire nuovamente violenza. Più della metà ha un livello di istruzione pari o superiore al diploma di maturità, e il 34% ha un’occupazione stabile; l’82% è di cittadinanza italiana. Nel 97% dei casi l’aggressore è un uomo, nel 71% il partner o coniuge. Nel 90% dei casi la violenza è ripetuta nel tempo e assume forme diverse: fisica, sessuale, psicologica ed economica. “La violenza domestica lascia tracce epigenetiche che modificano l’espressione dei geni senza alterarne la sequenza – spiega Simona Gaudi, responsabile del progetto per l’Istituto superiore di sanità –. Studiare queste modificazioni potrebbe permetterci di

predire gli effetti a lungo termine e sviluppare interventi preventivi personalizzati prima che insorgano patologie croniche”.

Bambini e adolescenti: le vittime silenziose. Accanto a EpiWeat, il questionario digitale per le donne, è stato dunque creato un secondo strumento digitale innovativo: EpiChild, pensato per bambini e adolescenti. Finora è stato somministrato a 26 minori tra i 7 e i 17 anni – tra cui otto “orfani speciali”, rimasti senza madre e con padre deceduto o detenuto in carcere – che hanno assistito alla violenza in famiglia, arruolati nel territorio pugliese in seguito ad una collaborazione con la Regione Puglia e nell’ambito dello studio Esmiiva (Esiti di salute nei minori esposti a violenza assistita). Il 42,3% dei minori coinvolti ha genitori separati o divorziati, e nel 92,3% dei casi l’aggressore è il padre. “I risultati – sottolinea Gaudi – confermano l’urgenza di screening sistematici, interventi multidisciplinari integrati tra sanità, scuola e servizi sociali, protocolli di prevenzione personalizzati e monitoraggi nel tempo per valutare l’evoluzione dei sintomi”. Lo studio proseguirà con follow-up programmati, per costruire una base dati utile alle future ricerche sul trauma transgenerazionale e offrire strumenti concreti di prevenzione e cura.

Cura e protezione. I dati raccolti dimostrano dunque che

la violenza non è mai un episodio isolato, ma un trauma che si trasmette nel corpo e nella mente, fino a colpire i figli che assistono agli abusi.

La ricerca EpiWe ed EpiChild apre la strada a protocolli di prevenzione personalizzati e a un monitoraggio nel tempo, con un obiettivo chiaro: trasformare la scienza in strumenti concreti di cura e protezione per donne e bambini.

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