Di Anna Marcozzi
DIOCESI – Ieri, giovedì 11 settembre, durante un incontro pubblico ad Ascoli Piceno, organizzato da Radio Ascoli e moderato dal suo direttore, Lanfranco Norcini Pala, la dottoressa Raffaela Baiocchi, medico volontario di Emergency, tornata da poco da una missione nella Striscia di Gaza, ha raccontato la sua esperienza in un incontro gremito. Presente all’incontro anche il Vescovo Gianpiero Palmieri.
Baiocchi lavora da 18 anni con Emergency e da 9 anni lo fa a tempo pieno, in zone di guerra. Ma, dice chiaramente: “Gaza non è una guerra. È un assedio contro i civili”.
È stata a Gaza in due momenti diversi, anche durante una breve tregua. «La prima volta sono arrivata poco prima del cessate il fuoco di gennaio. C’erano ancora cibo e speranza. La gente tornava al nord con carretti trainati da asini o cavalli. Avevano voglia di ricominciare».
Ma quella speranza è durata poco. Il 2 marzo Israele è uscito dagli accordi di tregua. Pochi giorni dopo i bombardamenti sono ripresi. «La notte del 19 marzo siamo stati svegliati da una bomba. Era caduta a un chilometro da casa nostra. Le finestre si sono aperte, non si era rotto nulla. Non abbiamo dormito. Dovevo partire due giorni dopo, ed è stato straziante andarmene proprio in quel momento».
Quando è tornata a Gaza qualche mese dopo, ha trovato una situazione molto peggiore. «Non c’è più la zona umanitaria. Hanno messo 2 milioni di persone in quattro punti di aiuto: è una farsa, serve solo a umiliarli. Abbiamo normalizzato i rumori delle bombe, ci siamo abituati a quella situazione. Ogni mattina, alle otto, fuori dalla clinica c’è già la fila di persone che stanno per morire. Nessuno parla più di pace o di tregua. La prospettiva del futuro si è spenta».
Nel corso dell’incontro, Baiocchi ha raccontato la forza e la speranza dei bambini, i veri protagonisti silenziosi di questo dramma. «Nonostante vivano sotto tende di plastica, a 40 gradi, senza accesso al mare — vietato anche solo per un bagno — continuano a ridere. Appena finiscono le raffiche di mitra, si sente di nuovo il loro vociare. Ma Gaza non è un posto dove far crescere dei bambini.
La malnutrizione è gravissima.
I numeri ufficiali parlano di 3 o 4 morti per fame, ma temo siano molti di più. E comunque già uno è inaccettabile. Le madri danno il poco che hanno ai figli. Ma ormai non basta più. Anche se oggi alcuni negozi sono forniti grazie alle nuove rotte commerciali aperte, la gente non ha soldi. Stiamo parlando di una popolazione che non lavora più da ottobre».
Durante il Ramadan, ha detto, «mi sono rimaste impresse le risate attorno alla tavola per l’iftar. Un momento di festa, in cui la famiglia si riunisce per mangiare assieme. E anche ora, sotto le bombe, quelle risate non sono sparite del tutto».
A Gaza, ha aggiunto, la società resiste, anche attraverso l’istruzione: i bambini vanno a scuola. «I ragazzi hanno rifatto l’esame di Stato. Vogliono dimostrare che non si piegano alla barbarie. Ho incontrato persone che, pur vivendo in tenda, la mattina si presentano alla clinica in camicia bianca, profumati di sapone, gentili».
Durante l’incontro ha parlato anche il vescovo Gianpiero Palmieri, che ha ricordato il suono delle campane di Ascoli e San Benedetto il 27 luglio, in segno di solidarietà. Ha raccontato un momento vissuto in gioventù, ad Assisi, durante una preghiera interreligiosa, dove un rappresentante ebraico aveva citato le Scritture per giustificare l’eliminazione dei nemici, donne e bambini inclusi. «In quel momento, si è capito che non stavamo ascoltando parole di pace, ma una minaccia. È difficile essere ottimisti oggi. Solo una presa di posizione decisa dell’intero mondo può forse fermare questa catastrofe».
La dottoressa ha poi affrontato il tema della condizione delle donne, troppo spesso dimenticata. «Durante le riunioni internazionali, quando si è parlato di violenze di genere, qualcuno minimizzava: “Anche gli uomini sono vittime”. Una donna palestinese si è alzata e ha detto: “Le donne sono vittime due volte”. Ed è vero, ho visto anche una libertà di parola che non mi aspettavo. Le donne parlano, denunciano senza paura».
A chi ha chiesto come vengano evacuati i bambini feriti, la risposta è stata chiara: «Sono decine di migliaia le persone che attendono di uscire per ricevere cure. In gran parte bambini. L’Italia è tra i Paesi che più si è attivata, con circa 30-40 minori accolti. Il Regno Unito, uno solo. Ma non è sufficiente. E loro, ormai, non credono più che qualcuno li salverà. L’Egitto ha chiuso il valico, la Giordania reprime le manifestazioni. I vicini si sono voltati dall’altra parte».
Baiocchi ha raccontato anche che non ci sono giornalisti stranieri a Gaza. «Entrano solo quelli israeliani, accompagnati dall’esercito. Vedono solo quello che vogliono fargli vedere. I giornalisti di Gaza non vengono creduti perché “sono di parte”. Ma sono gli unici che raccontano davvero cosa succede».
Ha parlato anche del sistema scolastico: «Per entrare a medicina servono voti altissimi. Le donne sono più brave, quindi hanno alzato la soglia per loro: 96 su 100, contro i 95 dei maschi. Hanno istituito le cosiddette quote blu per non avere solo donne medico».
Rispondendo a una domanda sulla Global Sumud Flotilla, Baiocchi ha espresso rispetto: «Non cambierà le sorti di Gaza, ma è una forma di coraggio. E la connessione è fondamentale. Onore a chi rischia la vita per far sentire che non sono soli».
Tra le domande dal pubblico, si è parlato anche della “Trump Riviera”, un progetto per costruire un resort a Gaza. «Per rimuovere le macerie serviranno almeno 15-20 anni. Gaza oggi è una discarica di detriti e ordigni inesplosi. Chi parla di resort su questa terra vuole solo cancellare un popolo dalla propria storia».
Sulla possibilità che i bambini guariscano dai traumi subiti, ha detto: «Ce lo dirà il tempo. Ho parlato con un medico di 26 anni, bravissimo. Gli ho chiesto della guerra. Mi ha risposto: “Quale? Abbiamo avuto guerre nel 2001, 2002, 2003…”. Lui è nato e cresciuto sotto le bombe. Non conosce altro».






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