COLONNELLA – “Ho fede nei silenzi colti a un passo dal coraggio, quando cerco di capire il senso del mio viaggio. Ho fede nelle cose che mi aspettano domani, nelle scarpe che porto; ho fede in queste mani. Ho fede mentre sento la mia fede che fluisce, energia imbarazzata che costruisce uno spazio illuminante che dà scopo a questa vita“.
È iniziata con la musica e queste parole della canzone “Ho bisogno di credere” di Fabrizio Moro, il 4° incontro dell’iniziativa “Insieme, incontro all’aurora!”, organizzato dall’Azione Cattolica di Colonnella Martedì 8 Luglio 2025, a partire dalle ore 21:00, presso il ristorante Bellavista.
Un luogo non casuale. Il titolo dell’appuntamento, infatti, “Orizzonti di speranza nel mondo del lavoro”, spiega la scelta di tenere l’incontro nei locali di un’azienda locale che da molti anni è presente sul territorio e che non si è mai arresa, neanche nei momenti di maggiore difficoltà.
Dopo il tema del perdono, declinato nei vari contesti della vita (in famiglia, a scuola e a lavoro, nella comunità), il secondo ciclo di appuntamenti, questa volta dedicati al tema della speranza, è iniziato con due ospiti illustri: Monica Vallorani, membro eletto dell’Equipe nazionale del MLAC (Movimento Lavoratori Azione Cattolica), e Franco Veccia, delegato regionale dell’Ufficio di Pastorale Sociale, del Lavoro e della Cura del Creato per la regione Marche.
Presenti anche il diacono Domenico Maria Feliciani, assistente spirituale di AC Colonnella, insieme a Maria De Fulgentiis, sua moglie, e Teresa Nicolina Di Buò, presidente di AC Colonnella, nonché vice segretaria del MLAC diocesano.
Forestieri su questa terra, segni della profezia giubilare
Dopo i saluti della presidente Di Buò e una preghiera comunitaria, l’incontro è entrato nel vivo con la lettura del celebre passo del Levitico (Lv 25, 10-14; 17-19; 23-24; 35-41), dedicato al Giubileo.
Monica Vallorani, dopo aver spiegato le origini del Giubileo nel mondo ebraico ed il suo legame con l’ambito sociale ed economico e quindi con il lavoro, ha calato la Parola ascoltata nel contesto storico che stiamo vivendo e quindi nella quotidianità. Tanti gli argomenti affrontanti e tanti gli spunti di riflessione suscitati: la sperequazione sociale ed economica nel mondo e il debito ecologico, come richiamato da papa Francesco nella Bolla di Indizione del Giubileo; l’importanza di riconoscersi tutti forestieri su questa terra e quindi responsabili di come utilizziamo le risorse e di come lasciamo il mondo ai nostri figli; la sempre maggiore povertà che attanaglia la società e la necessità non solo di non approfittare dello stato di miseria altrui, bensì di mostrare solidarietà ed aiuto concreti; la capacità dell’uomo di continuare a lavorare su ciò che Dio ha creato, attraverso le sue conoscenze ed il suo ingegno, e le modalità con cui va affrontato il lavoro; l’importanza della giusta retribuzione e del tempo del riposo; la visione economica e anche capitalistica del mondo a cui noi cristiani siamo chiamati a rispondere prendendo sul serio la profezia giubilare e compiendo nella quotidianità scelte coerenti con la nostra fede.
Come rendere testimonianza della speranza che è in noi?
Come si collega la speranza a tutto questo? Vallorani ha spiegato: “La speranza cristiana è una delle tre virtù teologali, insieme alla fede e alla carità. Spesso, con una immagine molto poetica, viene definita come la bambina delle tre, per la sua capacità di essere più in movimento, quasi più reattiva rispetto alle altre. Il fatto che sia una virtù teologale, significa che non viene da noi, bensì viene da Dio e ci conduce verso Dio. La speranza ha come origine e come meta Dio, perché la speranza è in Gesù Cristo, che è morto e risorto, quindi è una speranza che ci porta verso il Regno dei Cieli. Essendo radicata in Dio, non confonde e non delude, come dice San Paolo. Ecco allora che, seppure nel mondo domina una logica del denaro, della ricchezza e del potere, non dobbiamo pensare che singolarmente possiamo fare ben poco; al contrario, non siamo soli e ciascuno, nel suo piccolo, può fare gesti di profezia come ci chiede il Vangelo, rendendo testimonianza della speranza che è in noi. Non solo siamo chiamati magari a condonare i debiti, ma anche ad effettuare scelte quotidiane coerenti: riflettiamo, ad esempio, su ciò che acquistiamo, chiedendoci quale tipo di lavoro ci sia dietro al prodotto che stiamo comprando, se sia stato realizzando attraverso lo sfruttamento dei lavoratori o meno; riflettiamo anche sulla nostra assunzione di responsabilità, chiediamoci se facciamo bene il nostro lavoro o meno, se lo facciamo nel miglior modo possibile o se invece tiro a fare per arrivare alla fine del turno”.
L’Eucarestia, pane riconsegnato
Vallorani ha infine concluso il suo intervento con una riflessione sul senso del lavoro che è radicato nell’Eucaristia, “proprio per comprendere dove si possa prendere forza, dove ci si possa nutrire per avere una visione e vivere in modo diverso, in modo profetico, anzi da cristiani, il lavoro: è nell’Eucaristia che troviamo ogni senso, perché ogni volta che noi celebriamo l’Eucaristia portiamo all’altare il frutto della terra e del lavoro dell’uomo. In natura, infatti, troviamo l’uva ma non il vino, il frumento ma non il pane, quindi il pane e il vino non ci sarebbero, se non ci fosse il lavoro dell’uomo. Il dono della terra è il dono della Creazione, ma quel dono ha bisogno del lavoro dell’uomo affinché si realizzi Eucaristia. Il pane, cioè, è il segno del lavoro di tutti ed è un pane riconsegnato, quindi un lavoro riconsegnato, di cui tutti possono sfamarsi. Questo ci riguarda come cristiani, come credenti, come battezzati che vivono la propria fede e la testimoniano. All’inizio abbiamo ascoltato la canzone di Moro, che dice che abbiamo bisogno di credere. È vero: abbiamo bisogno di credere che siamo amati da Dio, abbiamo bisogno di credere che c’è un Dio che mi ha creato, un Dio che mi ama, un Dio che, sebbene si viva nella condizione dell’oggi, quindi anche nel limite umano, mi proietti al Regno dei Cieli, verso il quale noi, con tutta la speranza che abbiamo nel cuore, siamo incamminati”.
Al lavoro senza pesi sul cuore, bensì con speranza ed entusiasmo
La serata è proseguita con la testimonianza di Franco Veccia, che, prima di condividere la sua personale esperienza di lavoro improntata alla speranza, ha ricordato le parole di papa Francesco: “Quante ore trascorriamo al lavoro? Tantissime. Dunque dare un senso a quello che facciamo significa molto! Un conto è andare al lavoro con speranza e un conto è andarci tanto per farlo, magari con un peso sul cuore. Questa differenza ci cambia la vita! La speranza, infatti, per noi cristiani, non è un’illusione o semplice ottimismo, bensì è una certezza, che viene dall’incontro fatto con il Signore. L’incontro con il Risorto ci illumina la vita e dà senso ad ogni cosa che facciamo, anche nel lavoro, in cui trascorriamo gran parte della nostra giornata. Papa Francesco ci ha lasciato un mandato: “Siate pellegrini di speranza“. E ci ha detto di vivere la fratellanza anche nel lavoro”.
Il lavoro, via per la dignità di ogni uomo
Veccia ha poi fatto leggere il paragrafo 162 dell’enciclica “Fratelli Tutti” che affronta proprio il tema del lavoro e dell’importanza di assicurare a tutti la possibilità di contribuire alla società, attraverso le proprie capacità e iniziative. Papa Francesco sottolinea che il vero aiuto ai poveri non è solo l’assistenza materiale, ma fornire loro i mezzi per una vita dignitosa attraverso il lavoro. E ribadisce che la politica non può rinunciare all’obiettivo di garantire che ogni persona possa dare il proprio contributo e che la mancanza di lavoro è una forma di povertà che priva della dignità: “In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo”.
Vicino alle periferie esistenziali, come ci ha insegnato don Marcello Di Girolami
Veccia ha poi raccontato la sua esperienza: “Un giorno di circa 22 anni fa, durante il viaggio di ritorno da un pellegrinaggio a Lourdes, alcuni amici con disabilità hanno detto: ‘Che tristezza! Adesso torneremo nelle nostre case e nei nostri istituti e staremo tutto il giorno senza fare niente!’. Quelle parole ci hanno colpito molto. Una volta rientrati, io ed alcuni amici abbiamo pensato di dare un po’ di speranza a questi ragazzi. Grazie anche all’aiuto di mia moglie, che lavora nell’ambito della psichiatria, abbiamo costituito una cooperativa in cui far lavorare persone con un passato di tossicodipendenza e persone con disabilità fisica e psichica. Da 4 dipendenti siamo passati ad 8, poi 10, e così via, fino ad arrivare anche a 30 dipendenti. Io all’epoca ho proseguito con un contratto part-time nell’azienda in cui già lavoravo e mi sono messo a lavorare gratuitamente per la cooperativa. La scelta, da un lato, significava metterci la faccia, le mani, l’esperienza; dall’altro lato significava anche dare testimonianza a tutti, nel mio piccolo, che il mondo si può cambiare. In questo sono stato aiutato da tante bravissime persone. Tra queste anche il nostro caro don Marcello Di Girolami, che ci ha spesso sostenuto con parole di speranza e anche con gesti concreti di solidarietà. Ricordo che una volta al mese andava personalmente ad accompagnare con la sua auto un signore con disturbi mentali fino al cimitero di Monte Urano, dove c’erano le tombe dei suoi cari. La cooperativa, da allora fino ad oggi, assolve un duplice compito: da un lato, essendo una realtà che opera senza fini di lucro, reinveste tutti gli utili per una finalità sociale importante, quindi è un esempio di quella economia civile a cui papa Francesco ci ha spesso sollecitati; dall’altro lato, provvede anche all’inserimento nel mondo del lavoro di quelle persone che, in altri contesti, vengono esclusi e scartati, arrivando a quelle ‘periferie esistenziali’ che noi invece riportiamo al centro del processo economico, produttivo e sociale”.
Il ricordo di Luciano Rossi
Prolungato il dibattito che si è creato dopo la meditazione della Parola e la testimonianza da parte degli ospiti intervenuti. Interessanti gli argomenti che sono stati affrontati: l’opportunità di crescita professionale e personale nelle aziende; la cattiva abitudine degli straordinari non riconosciuti e quindi non retribuiti, a volte anche nel settore pubblico; il modo sbagliato in cui spesso l’argomento lavoro viene trattato, cioè senza prospettive di speranze, divenendo quindi cattiva testimonianza e motivo di preoccupazione per le nuove generazioni.
Al termine del dibattito, è stata ricordata la figura di Luciano Rossi, colonnellese scomparso da pochi anni, la cui figura di imprenditore mite e giusto e di parrocchiano sempre al servizio della comunità, è ancora nel cuore di chi lo ha conosciuto ed è un esempio virtuoso di come si possa essere testimoni di speranza. Questa la motivazione con cui l’Azione Cattolica di Colonnella ha spiegato il motivo di questo ricordo: “Per l’impegno profuso nel lavoro, per il tempo speso a servizio della comunità, per essere stato costruttore di speranza e artigiano di pace“. A ritirare la targa in memoria di Luciano Rossi, è stata la moglie Maria, visibilmente commossa. Presente tra il pubblico anche la sorella.



























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