Di Pietro Pompei
Penso al Bambinello nella mangiatoia e, immediatamente, i sentimenti si accalcano, tutti insieme, chiedendo voce.
Tornano alla mente anche certe poesie “melense”, che hanno tentato di rendere dolciastro un Evento che, fin dall’inizio, si è presentato nella sua drammaticità più autentica. Eppure è l’amore che cerca di prevalere, che continua a interrogare l’attualità alla ricerca degli “uomini di buona volontà”.
Oggi, se cerco quella culla, incontro solo venti di guerra. Anche la stalla non esiste più: i bulldozer l’hanno ridotta a un cumulo di macerie.
Sono passati più di duemila anni da quell’annuncio di PACE, eppure l’umanità continua a trovare in Caino il proprio eroe. Se l’intelligenza umana fosse stata impiegata con la stessa determinazione nella ricerca del bene comune con cui si sono costruiti mezzi di distruzione sempre più sofisticati, oggi il progresso sarebbe raddoppiato. Molte malattie sarebbero state debellate, non si parlerebbe ancora di fame nel mondo e non avremmo bisogno di tante campagne caritatevoli, spesso asfissianti e monotone.
E quando provo a riaccendere la Speranza, ecco apparire torme di bambini senza neppure una mangiatoia su cui posare. Bambini che non sapranno mai né da chi né dove sono venuti al mondo, senza un nome scritto in alcun registro, senza diritti, senza identità.
Un interrogativo terribile si è levato in questi giorni sulla coscienza collettiva:
“Dove sono nascosti i milioni di neonati che non vengono registrati in nessuna anagrafe e che nessuno saprà mai chi siano?”
L’ONU affida la risposta alle statistiche: ogni anno 11 milioni di bambini muoiono per malnutrizione o malattie curabili al costo di poche bombe; 250 milioni sono sfruttati nel lavoro, privati della scuola; migliaia vengono usati come soldati. E quanti, silenziosamente, diventano “pezzi di ricambio”?
Nella mangiatoia non vedo più il Bambinello dalle guance rosee e pasciute. Sorge spontaneo il grido:
“Gesù, dove ti sei nascosto?”
Di Erode la storia continua a produrne molti, e Giuseppe e Maria, con Gesù tra le braccia, sono ancora in fuga, ovunque minacciati.
Eppure, nonostante tutto, riaccendiamo la SPERANZA. La ritroviamo negli occhi dei tanti bambini che ci chiedono aiuto e che sembrano moltiplicarsi proprio in questi giorni di festa: alle porte delle chiese, nei messaggi e nelle testimonianze dei missionari. A volte basta l’equivalente di un panettone.
Sono loro la nostra Speranza.
A loro uniamoci, in questo Santo Natale, con le parole di Jean Guitton:
“Mio Dio, io sono convinto che tu vegli su coloro che sperano in te; per questo ho deciso di deporre in te tutte le mie inquietudini. Io non perderò mai la Speranza, ma la conserverò fino all’ultimo istante della mia vita.”




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