DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
Spesso, nel tempo della prova, istintivamente, siamo portati a concentrarci su noi stessi, a vedere di salvare il salvabile pensando in definitiva di dovercela cavare da soli e che tutto è affidato alle nostre sole forze.
Così agisce Acaz, re di Giuda, lo leggiamo nella prima lettura di questa domenica.
Acaz vive un tempo storico complicato: egli deve fronteggiare una situazione di imminente conflitto nella quale molte sono le forze in gioco e non è proprio possibile fare previsioni rosee né pensare di trovare soluzioni definitive in tempi brevi.
Il Signore offre ad Acaz un segno con il quale si impegna ad assicurare il suo aiuto e la speranza.
Ma il re ha già deciso nel suo cuore quello che vuole fare. Non ha bisogno del segno di vicinanza di Dio, «non lo chiederò, non voglio tentare il Signore».
Invece, è proprio in questi momenti che abbiamo bisogno della luce, di una Parola non nostra che ci indichi la via d’uscita, abbiamo bisogno di fermarci e darci il tempo di tornare a credere che questa Parola ci sia e sia per me oggi, e che Dio la pronunci con grande attenzione alla mia vita.
Paolo, nella lettera ai Romani, ci parla di «obbedienza della fede»: il re Acaz disobbedisce all’invito fattogli dal profeta Isaia di chiedere un segno al Signore e mostra così tutta la sua incredulità.
Si affida e crede, invece, Giuseppe, lo leggiamo nel Vangelo: la gravidanza di Maria mette in crisi la storia che stava progettando con lei ma, invece di ripudiare la sua sposa, abbandonandola al disprezzo generale e compromettendola pubblicamente, Giuseppe sceglie un’altra soluzione – «…pensò di ripudiarla in segreto» -, una soluzione più umana e giusta.
È giusto Giuseppe, perché non giudica secondo le apparenze, è giusto perché lascia prevalere la misericordia e l’amore sulla vendetta, sul suo orgoglio ferito.
E su questa “giustizia” si innesta e prende vita la sua fede: una fede che lo aiuta ad accogliere un invito, una Parola che gli chiede di diventare padre, di sentirsi padre di un figlio che non viene dal suo desiderio, dalla sua decisione, ma soltanto da Dio. «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù».
«Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa»: Giuseppe, si fida di Dio e risponde a quanto l’angelo gli indica, nonostante la situazione reale che si trova ad affrontare sia alquanto difficile e complicata. Questo gli permette di “aiutare” Dio a farsi carne in mezzo agli uomini, a farsi carne attraverso la sua carne, la sua vita, le sue scelte, i suoi gesti, il suo quotidiano.
«Così fu generato Gesù Cristo…» … e in nessun altro modo! Non attraverso eventi grandiosi ma, ieri come oggi e ogni giorno, chiedendo all’uomo di ogni tempo, come a Maria e Giuseppe duemila anni fa, di far spazio nel proprio cuore, nel proprio pensare, nel proprio essere, nel proprio fare, nel proprio vivere, a Cristo.
È questo che è accaduto a Paolo, «… servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il Vangelo di Dio …».
Servo, cioè schiavo, talmente afferrato da Cristo da non potersi e volersi più svincolare dall’abbraccio d’amore del Signore stesso; apostolo, cioè chiamato ad aiutare ciascun uomo a sperimentare, l’amore di Dio. Scelto, consacrato al Vangelo di Dio, reso sacro perché sacra è la Parola di cui si è fidato e di cui si fida.
Servi, apostoli, scelti… «ecco la generazione che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe», ecco la generazione che dà carne al tuo volto, Signore di ogni uomo!





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