Di Alessandro Palumbi

ASCOLI PICENO – Si è tenuto il 22 novembre, presso la Parrocchia di S. Marcello Papa di Ascoli Piceno, l’incontro Esperienze di volontariato dentro e fuori il carcere, promosso dalla Società di S. Vincenzo de’ Paoli, Settore Carcere e Devianza, nell’ambito del corso di formazione per volontari carcerari.

Relatori dell’incontro sono stati Giorgio Rocchi, direttore della Caritas di Ascoli Piceno, Mary Poli, volontaria Caritas presso il la Casa Circondariale del Marino del Tronto (AP) e Cristina Sabatini, Responsabile area trattamentale della Casa Circondariale del Marino del Tronto (AP). L’incontro è stato aperto dall’intervento del Vescovo Giampiero Palmieri.

Mons. Palmieri: “Il servizio in carcere non si può improvvisare. Il carcere non è solo punizione, ma reinserimento”.

È il vescovo Palmieri, collegato da remoto, ad aprire l’incontro. Inizia ringraziando i volontari della Società Vincenzo de’ Paoli e sottolineando come il servizio in carcere non possa essere un qualcosa di improvvisato, dev’essere preparato: nasce con una società che collabora con chi gestisce il carcere, questo perché il carcere non è solo pena, ma soprattutto reinserimento del detenuto che, da pericolo, può diventare risorsa. L’intervento è concluso evidenziando l’importanza dell’evento e di quanto possa essere utile questo incontro per la formazione dei volontari.

Giorgio Rocchi: “Essere presenti ed essere presenza nel mondo del carcere, quali sono i modi?”

Ad aprire, in via ufficiale, l’incontro è il direttore della Caritas di Ascoli Piceno, Giorgio Rocchi, che parte subito con una provocazione: cosa vuol dire essere presenti nel mondo del carcere e cosa voglia dire essere presenza nel mondo del carcere. I modi sono due: uno che soddisfa l’altro e l’altro non necessariamente. Si può essere presenti con ascolto, accompagnamento ed accoglienza; si possono promuovere cammini di riconciliazione e di reinserimento che hanno, come nucleo, il desiderio di realizzare una reciprocità nel riconoscimento di una dignità umana. Questo non è, tuttavia, ancora il tipo di presenza che ci si immaginava: la presenza non va limitata all’assistenza diretta, rappresenta l’adesione ad un mandato della Chiesa, testimonia la passione della comunità cristiana tutta; questo impegno spirituale punta a restituire dignità a chi ha sbagliato promuovendo giustizia, inclusione ed accompagnamento verso una reale inclusione sociale. Presenza vuol dire testimoniare la vicinanza della Chiesa a chi vive la fatica della detenzione. Riferendosi alle parole di Papa Leone XIV durante il Giubileo dei poveri, Rocchi sostiene come sia fondamentale una cultura dell’attenzione soprattutto nei riguardi di quella parte di società che vive emarginata oppure vive nel pregiudizio.

Il carcere è una realtà che spesso le persone non vogliono vedere se non per mostrargli spavento oppure ostilità. I temi di disagio in carcere sono gli stessi: sovraffollamento, che carica negatività nei detenuti, alto tasso di suicidi, famiglie impossibilitate ad interagire con il detenuto e che si trovano in condizioni di scarso reddito.

C’è poi la questione degli arresti domiciliari, ad esserne coinvolti sono il doppio rispetto a quelli che si trovano in carcere: se i detenuti sono 60.000, coloro che vivono un’esecuzione penale esterna sono circa 140.000.

Tra le percentuali riportate risulta che in carcere si trovano per il 31% stranieri e per il 69% italiani e che gli stranieri commettono crimini meno gravi rispetto agli italiani.

Volontari ed operatori che attività fanno? Sostegno al detenuto, con un ascolto senza pregiudizio al fine di creare un canale di parziale fiducia, supporto spirituale, distribuzione di beni di prima necessità. I volontari autorizzati ad entrare nella Casa Circondariale del Marino sono 50 e vi rientrano grazie all’articolo 17; invece, le associazioni di volontariato sono 7. L’accompagnamento è essenziale per il passaggio da dentro a fuori.

Cristina Sabatini: “Far visita ai carcerati dev’essere, in primo luogo, far visita alla persona”

La parola passa alla Responsabile area trattamentale della Casa Circondariale del Marino del Tronto, la Dott.sa Cristina Sabatini. Dopo aver portato i saluti della Direttrice del carcere, la Dott.sa Valentini inizia il suo intervento sottolineando l’importanza del mondo del volontariato all’interno di un’istituzione chiusa come quella del carcere dove si vive di quotidianità e ci si avvale della collaborazione di docenti, psicologi ed esperti vari che hanno una finalità specifica. Il mondo del volontariato fa la differenza perché è lì che il detenuto percepisce giudizio, pregiudizio, presenza, assenza, marginalità oppure no; questo perché, rapportandosi con i volontari, il detenuto ha contatti con il mondo esterno, vede “la persona della piazza”, “del bar” e comincia a porsi delle domande che vanno dal sentirsi pronto ad uscire al sentirsi valutato, giudicato dalle altre persone.

La dottoressa affronta poi la questione visite: è una pratica difficile per cui sono necessarie tante autorizzazioni, ma non è questa l’unica ragione; infatti, viene posto l’accento sulla situazione “crudele” che un detenuto è costretto a vivere: “è come se fosse uno zoo”. Far visita ai carcerati, prima che una visita alla struttura, vuol dire far visita alla persona. altro concetto, spesso dimenticato, è quello della famiglia: chi entra in carcere, soprattutto per la prima volta vive un impatto fortissimo, ma, con il tempo, trova una dimensione; il peso maggiore lo vive chi sta fuori, dalla moglie ai figli, che deve reimpostare tutta la propria vita. Ci sono poi i detenuti che vivono agli arresti domiciliari, si tratta comunque di una situazione di cui si sa poco: il detenuto agli arresti domiciliari può andare in piazza, ma non potrebbe andare a riprendere i figli a scuola dopo una certa ora. Si crea il paradosso che per molti detenuti è meglio stare in carcere che scontare la pena in casa.

Tra la gente si pensa che in carcere ci siano solo stranieri, ma è proprio il contrario e si sta toccando con mano che si sta abbassando di molto l’età detentiva: sono molti i giovanissimi ad essere rinchiusi.

Mary Poli: testimonianza di una volontaria

A chiudere l’incontro è l’intervento di Mary Poli, volontaria Caritas presso la Casa Circondariale del Marino del Tronto, che va a definire il ruolo del volontario all’interno del carcere.

Menzione d’onore è quella fatta a Antonio Federico Ozanam, fondatore della Società di San Vincenzo de’ Paoli, del quale è riportata la seguente frase: “il fine della società è ravvivare e diffondere nella gioventù lo spirito del cattolicesimo. A questo scopo sono fondamentali l’assiduità alle riunioni, l’unione d’intenti e di preghiera. La visita ai poveri dev’essere il mezzo e non lo scopo della nostra associazione”.

Ad oggi il carcere è lontano da quello che propone: rieducazione e reinserimento del detenuto, come stabilito dall’articolo 27 comma 3 della Costituzione italiana, che stabilisce che le pene non debbano degenerare in trattamenti degradanti e debbano protendere al reinserimento sociale del condannato. La pena non ha finalità solo punitiva, ma rieducativa; la pena dovrebbe consentire di compiere un lavoro sulla persona, affinché possa trovare una nuova collocazione nella società, ma attualmente non è così.

Il reinserimento del detenuto non è facile, sia per il detenuto che per la società: non solo il detenuto è pronto a riconciliarsi con il suo passato, ma nemmeno la società è così pronta ad accogliere chi ha commesso un crimine; per questo il processo è molto lungo.

Il volontariato in carcere è “luce e lievito di speranza”. Il problema con la giustizia è solo uno dei problemi legati alla prigionia, possono subentrare problemi economici: si perde il lavoro, la casa, la famiglia, gli affetti; possono subentrare problemi di salute ed i ritardi della sanità si ripercuotono anche su chi è detenuto. Per questo si può dire che il volontario è speranza per il detenuto che, dele volte, non può nemmeno godere della presenza della propria famiglia. In queste circostanze è importante la presenza del volontario, la sua visita, il suo esservi in modo incondizionato e prestante.

Il volontariato in carcere è particolare: ci sono tempi prestabiliti, progetti che vengono presentati alla direzione del carcere e poi vengono stabilite delle modalità che non possono essere diverse da quelle indicate, gli accessi sono prestabiliti e ci sono delle regole proprie, ovvero quelle della struttura ospitante.

Il volontariato in carcere si fa per vocazione: è per tutti e per tutte, non ci sono limiti; si è visto con il tempo che quello che rimane è la motivazione, quella cosa che nel cuore fa dire “io voglio esserci”, “voglio trovare Gesù nel carcerato”. Questo si fa rimanendo saldi nonostante difficoltà o problemi che possono esserci ed alla fine, nel tempo, questa presenza porta frutto: per i detenuti il volontario diventa punto di riferimento, un modello da imitare.

Si sentono spesso in giro frasi mortificanti ed accusatorie verso chi è detenuto, espressioni che dipingono il pensiero della società nei riguardi chi ha commesso un crimine. Sarebbe un bene identificare il detenuto come chi ha commesso il crimine e basta, da qui si comincia a camminare. Spesso il detenuto ha una storia di ferite inflitte prima di infliggerne ad altri e questo si può percepire da alcuni racconti. Il detenuto ha bisogno di evadere sia con le parole che con i pensieri anche perché i discorsi tra altri detenuti vertono sempre sulle solite cose: avvocati, processi, ricorsi e questo è un vortice. Il momento della visita è sollievo, come se il volontario fosse una finestra sul mondo.

C’è anche da dire che il detenuto sa che il sabato ci sono volontari che vanno ad incontrarli e quindi sanno di essere il canale di comunicazione con gli operatori del carcere, in questo ci devono essere accoglienza, ascolto ed indirizzamento verso gli operatori; spesso può aiutare il confronto con l’area educativa.

Il volontario del carcere non giudica, né ha pregiudizi, ma ha capacità di osservazione: si cerca di far arrivare al detenuto che c’è un gruppo pronto ad accoglierlo, ma non si devono creare particolarismi; la capacità di osservazione ti fa dire quando quella persona ha qualcosa che non va, anche senza dirlo. Il volontario è sensibile e forte, cioè, ha la forza di tenere dentro le cose che sente, mostrandosi prudente in quello che ascolta. Il volontario deve saper dire di no, soprattutto per quanto riguarda richieste che non gli competono. Il volontario si forma costantemente oltre ad essere un ponte tra detenuto e società.

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