(Foto Il Regno)

Di Gianni Borsa

A Camaldoli si svolge una riflessione approfondita, accompagnata da un dibattito vivace, sull’Europa e sul quadro politico, culturale e sociale a livello internazionale, in relazione al cristianesimo. Più precisamente quattro giorni di confronto – a partire da una quindicina di contributi dall’Italia e dall’estero – sul tema “Cristianesimo coscienza dell’Europa”. Il convegno è promosso dalla rivista Il Regno, che “compie” 70 anni, assieme alla Comunità monastica di Camaldoli e alla Comece (Commissione degli episcopati dell’Unione europea). Sul titolo generale dell’appuntamento ci soffermiamo con Gianfranco Brunelli, direttore de Il Regno.

Direttore, di quale Europa e di quale cristianesimo ci sarebbe bisogno in questa fase storica?
L’analisi del contesto internazionale, segnatamente del ruolo dell’Europa, è fondamentale per capire il quadro storico nel quale noi viviamo, come cittadini, come cristiani, come Chiese.Una volta sviluppata questa analisi è necessario domandarsi che cos’è il cristianesimo oggi; quale cristianesimo è, per così dire, possibile, o addirittura necessario in questo momento,qual è il ruolo che le Chiese possono assumere per contribuire a mantenere viva l’ispirazione cristiana in Europa e lo spirito di una civiltà a cui il cristianesimo storicamente ha contribuito in maniera fondamentale anche nelle stagioni di contrapposizione. Questa è una delle domande: naturalmente un convegno non può immaginare di fornire tutte le risposte a interrogativi tanto complessi, ma certamente può avviare un cammino di comprensione, di riflessione, già promosso in anni recenti da Giovanni Paolo II in particolare, proseguito in parte con Benedetto XVI e poi con Papa Francesco. Ritengo che in questo momento di crisi profonda dell’Europa ci sia una responsabilità delle Chiese quanto al profilo e al ruolo dell’Europa stessa, perché senza di essa il tema della civiltà rischia di andare in crisi, non solo per noi che abitiamo in Europa, ma per il mondo intero. E il compito attiene a come coniugare il linguaggio della fede alle emergenze umane, culturali, istituzionali.

In che senso?
Vede, l’Europa conserva la memoria dei valori profondi della civiltà: pensiamo ai principi democratici, ai diritti umani, al diritto internazionale, ai grandi temi della solidarietà, dell’accoglienza, della giustizia. Sono valori che oggi in Europa hanno ancora un riverbero significativo nel cuore degli uomini e delle donne, e non è così in altre parti del mondo. Il cristianesimo può essere davvero coscienza critica, fonte ispirativa delle coscienze personali.

Ma di quale Chiesa, di quale comunità credente ha bisogno questa Europa di oggi?
Certamente una Chiesa della solidarietà e dell’accoglienza, una Chiesa della libertà individuale, ma non come individualismo, bensì come possibilità di trovare Dio nella coscienza personale.Ritrovare e alimentare la “nostalgia di Dio” può diventare di nuovo l’elemento con cui Dio viene riaffermato nelle società e nella cultura europea.Qui c’è tutto il tema, sviluppato in questi anni, della sinodalità, del rapporto fede-libertà, va ripresa la riflessione sul contributo dei cristiani laici… Poi c’è un tema che riguarda la democrazia, nel senso che la costruzione della comunità cristiana ha a che fare con la costruzione della comunità civile, della democrazia. Più che interrogarsi sulla democrazia dentro la Chiesa, tema che rimane aperto, oggi forse bisogna interrogarsi su come costruire la comunità cristiana e come la costruzione della comunità cristiana sia prodroma della costruzione della comunità civile.

In un’epoca di individualismi spinti, che alimentano a loro volta timori e chiusure, la necessità di costruire la comunità – il senso della comunità – non sembra sia sufficientemente avvertito. Eppure, questo potrebbe essere un grande tema dell’oggi. Nella Chiesa italiana, nella Chiesa europea che lei conosce, si avverte questa urgenza? Si sente il richiamo all’impegno per edificare una comunità cristiana e una comunità civile accoglienti, aperte, solidali?
Se noi diamo spazio ai sentimenti diffusi, che sono sentimenti di sfiducia, di paura, noi difficilmente ci mettiamo nella posizione di poter accogliere l’altro, gli altri, di vivere assieme, di costruire una comunità. Se invece noi, pur rendendoci conto delle difficoltà poste dalla realtà, scommettiamo di nuovo sullo spirito cristiano, che è spirito di speranza, di fiducia verso il futuro, allora noi troviamo nuovi punti di equilibrio e possiamo sentire il legame tra la costruzione della comunità dei credenti e la costruzione della comunità umana, della comunità civile.Personalmente ritengo che l’insegnamento del Sinodo porti la Chiesa italiana, la Chiesa più ampia, le Chiese europee, a sviluppare il tema della costruzione della comunità,che nelle Chiese europee significa anche la ripresa di un dialogo ecumenico, non solo come coabitazione in un condominio, ma come spirito cristiano, come accoglienza del cristianesimo dell’altro. Rendiamoci conto che ci sono tante forme ed espressioni del cristianesimo, starei per dire “tanti cristianesimi” in Europa, e forse ora abbiamo bisogno di una contaminazione fra le diverse esperienze di Chiesa, fra le diverse Chiese. L’ecumenismo è un criterio ermeneutico di come si sta assieme, non è solo trovare un punto di convivenza come fossimo, appunto, in un condominio.

Ancora una domanda, a partire dalla rivista che lei dirige. In questo tempo, di cui abbiamo brevemente parlato, si dovrebbe avvertire il bisogno di capire, di informarsi, di pensare, di dialogare, per affrontare un’era tanto complessa. Quale può essere il ruolo de Il Regno, così come di altri strumenti, per conoscere il mondo che ci circonda?
Oggi, lo sappiamo, è tutto più complicato. Anche sul versante comunicativo e della conoscenza. Pensiamo alla presenza dei social e delle nuove tecnologie, che forniscono strumenti e linguaggi e chiavi di lettura molto diversificati l’uno dall’altro ed è complicato frequentarli tutti contemporaneamente. Se le riviste mantengono ancora un valore, e io credo che sia così, devono essere luoghi di memoria, di documentazione, di analisi, di confronto. Noi abbiamo bisogno della storia delle parole: le parole hanno una storia, le parole hanno una memoria, hanno un dolore, portano una speranza.Noi abbiamo bisogno di trovare un linguaggio che sia di nuovo ascoltabile, condivisibile. Quindi memoria, lettura e interpretazione della realtà sono elementi fondamentali nella formazione delle persone, soprattutto dei giovani,in particolare nell’educazione, per stare dentro una realtà che è diventata – come si diceva – assai articolata. Tornando alle riviste, riconosciamo che in alcune stagioni della nostra storia hanno avuto un ruolo importante, persino militante e ideologico, oggi non è più così, ed è bene che non sia più così. Il ruolo attuale è semmai educativo, formativo, analitico: questo può essere il compito di una rivista e credo che Il Regno da questo punto di vista possa sviluppare ulteriormente la propria storia.

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