(Foto ANSA/SIR)

Di Filippo Passatino

Padre Giovanni Giannalia, parroco della chiesa di San Filippo Neri di Palermo, nell’omonimo quartiere, conosciuto come Zen, ieri sera era lì, con un gruppo di fedeli, a pochi passi dal luogo in cui il giovane Paolo Taormina ha perso la vita. Anche loro, con tanti altri cittadini, hanno partecipato alla manifestazione di vicinanza alla famiglia del giovane ucciso, la notte scorsa, nel tentativo di sedare una rissa, da un altro ragazzo che viveva proprio nella periferia a Nord di Palermo.

Padre, come ha accolto la notizia che l’autore dell’omicidio proviene dal quartiere dello Zen?
Sapere che l’autore dell’assassinio è del nostro quartiere ha aggiunto dolore a dolore. Ma ha anche confermato l’emergenza che vive il quartiere e la città, e la necessità di un’azione decisa e strutturata per contrastare questo collasso umano.

Che clima si respira nel quartiere dopo quanto accaduto?
Profonda tristezza sia per il crimine così insensato ed efferato sia per lo stigma che diventa ancora più pesante sul nostro quartiere. Qui abitano 35.000 persone, la maggior parte delle quali oneste e laboriose. Quello che è successo ieri nella tragica notte di Palermo è espressione della parte peggiore dello Zen, e assolutamente minoritaria, ma che purtroppo qui la fa da padrone.

Non è la prima volta che un giovane dello Zen si trova coinvolto in atti di questo genere. Perché si verifica questo disagio sociale per i giovani nel quartiere e di cosa hanno più bisogno?
Hanno bisogno di essere più seguiti fin da piccolini. Hanno bisogno di modelli positivi che spesso non trovano nel loro contesto. Hanno bisogno di vedere uno Stato più forte e credibile.

Quanto incidono l’assenza di opportunità, il disagio sociale e la mancanza di spazi di incontro nel favorire il rischio di devianza o violenza?
La difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, le situazioni pesanti di molti contesti familiari certamente incidono tanto. I luoghi di incontro per ragazzi e giovani sono pochi e soprattutto quello che manca è il materiale umano cioè persone che vivano come una missione il dedicarsi a ragazzi e giovani per aiutarli a costruire un mondo alternativo ai cattivi modelli che il quartiere offre.

Cosa fanno e cosa possono fare la comunità cattolica e le istituzioni per accompagnare le persone che vivono in territori con criticità come lo Zen?
Hanno un ruolo fondamentale e possono fare tantissimo. In particolare la scuola e anche la comunità cattolica sono in contatto con tutto il territorio. C’è la possibilità di lavorare anche con le famiglie. Questo richiede un impegno ed una dedizione molto grandi. Tornano più che mai in mente le parole di Gesù: “La messe è molta gli operai sono pochi”. Preghiamo il Signore perché susciti missionari cattolici e laici animati dal desiderio di spendersi per questo quartiere. Qui ho fatto esperienza di un potenziale di bene molto grande. Questo bene può e deve crescere. C’è bisogno di uomini e donne che amino, credano e divengano costruttori di speranza.

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