DIOCESI – Dal cuore della Toscana fino alla Città eterna. È iniziato il 27 agosto il pellegrinaggio a piedi di un gruppo di pellegrini della diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, che hanno scelto di percorrere la Via Francigena da Castelfiorentino fino alla tomba degli apostoli Pietro e Paolo. Un viaggio non solo fisico ma profondamente spirituale, che li ha condotti, tappa dopo tappa, a riscoprire il senso autentico del cammino: simbolo dell’esistenza cristiana, della speranza che illumina il futuro e della pace invocata per le famiglie, la società e il mondo intero.
Il percorso, lungo oltre 350 chilometri e articolato in 17 tappe, si è concluso il 13 settembre con l’ingresso a Roma e il passaggio attraverso le Porte Sante delle basiliche di San Pietro e di Santa Maria Maggiore, in questo anno giubilare dedicato alla speranza.
Tra di loro il diacono Walter Gandolfi che abbiamo intervistato.
Walter, cosa ti ha spinto a intraprendere questo pellegrinaggio a piedi verso Roma?
L’anno del Giubileo, il desiderio di raggiungere Roma come pellegrini di speranza percorrendo la via Francigena e passare la soglia della Porta Santa. Tutto questo spinto dal desiderio di una conversione.
Quali intenzioni di preghiera hai portato con te lungo questi 350 km?
In primis per ottenere l’indulgenza, cioè un perdono più pieno da parte di Dio. Poi ho chiesto l’aiuto per una conversione personale improntata al perdono. Infine ho portato con me il ricordo e la preghiera per la mia famiglia e per tante persone che mi hanno affidato le loro intenzioni.
C’è un momento del cammino che ricordi con particolare emozione o gratitudine?
Sono tante le emozioni e i bellissimi ricordi, ma l’emozione più grande è stata la lavanda dei piedi che gli ospitalieri dell’ostello di San Gimignano hanno fatto a tutti noi pellegrini. Un gesto di accoglienza e di servizio, perché ogni pellegrino incarna Gesù.
La fatica e le difficoltà del percorso come hanno parlato alla tua fede e al tuo ministero?
Nulla si ottiene senza fatica e senza difficoltà. Le prove quotidiane, per un cristiano e ancor più per un consacrato, servono a rafforzare la fede e il servizio alla comunità. Ma ci sono anche i momenti di armonia con la natura e con le bellezze di chiese e monumenti antichi che sostengono il cuore nel cammino.
Quali frutti spirituali senti di aver ricevuto durante questo cammino?
Accettare gli imprevisti della vita quotidiana con pazienza e senza mormorazioni. Poi l’attenzione, il rispetto, la fiducia e l’aiuto reciproco con i compagni di viaggio, specialmente con chi accusava fatica, dolori o ferite dovute al lungo camminare sotto la pioggia o il sole cocente.
In che modo questa esperienza ti incoraggia nella missione di annunciare il Vangelo come diacono?
Durante i cammini ho incontrato persone che credono, ma anche persone in ricerca o che hanno avuto contrasti con la Chiesa o scelto altre forme di religiosità. La mia testimonianza è stata quella di stare vicino a tutti, di trasmettere la mia fede con la vita e di ascoltare il vissuto di ciascuno senza giudicare.
Ci sono persone o incontri lungo il pellegrinaggio che hanno segnato in modo speciale la tua esperienza?
Sì, due pellegrini in particolare mi hanno colpito fin dall’inizio. Pur non condividendo il mio credo, si sono integrati subito nel gruppo, sempre pronti ad aiutare chi era in difficoltà e rispettosi delle pratiche religiose degli altri.
Che messaggio desideri lasciare ai lettori e ai giovani che forse hanno paura di mettersi in cammino, anche spiritualmente?
Il cammino è simbolo della vita: ogni passo è una sfida, ogni sosta è una riflessione, ogni meta è una conquista. Per questo consiglio ad ogni persona di fare almeno un cammino nella propria vita.
Ora che il pellegrinaggio si è concluso, quale passo nuovo senti di essere chiamato a fare nella tua vita di fede e di servizio?
Questo è il quarto pellegrinaggio che compio a piedi e penso di non fermarmi qui. Devo ammettere che quest’ultimo mi ha fatto riflettere di più sul mio cammino spirituale, sui rapporti familiari e sulle relazioni con gli altri. Più che pensare a nuovi passi, credo che il dono più grande sia aver imparato un modo diverso di camminare, con lo sguardo e il cuore trasformati.









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