CIVITELLA DEL TRONTO – Oggi, Sabato 2 Agosto 2025, alle ore 18:30, presso la chiesa San Pietro Apostolo in Ripe di Civitella, il parroco don Elvezio di Matteo ringrazierà il Signore con una Santa Messa per il dono del presbiterato, in occasione del 50° anniversario della sua ordinazione. Sarà presente per un saluto anche mons. Gianpiero Palmieri, vescovo delle Diocesi del Piceno.
Abbiamo incontrato don Elvezio per farci raccontare la sua vocazione e i frutti belli del suo servizio a Dio e alla Chiesa come presbitero.
Con quali sentimenti si appresta a vivere questo bel traguardo?
Prima di tutto dico grazie a Dio per avermi dato il dono di questo lungo servizio presbiterale: pur avendo infatti una preferenza per la vita monacale, in questi 50 anni il Signore mi ha dato la forza di rimanere sempre fedele nel servizio.
Ringrazio poi anche tutti i vescovi che mi hanno avuto come presbitero per la pazienza che hanno dovuto esercitare con me, a causa del mio carattere spigoloso ed impulsivo. Tra tutti voglio ricordare mons. Radicioni, che, nonostante a volte fosse parecchio burbero e quindi spesso entrasse in conflitto con me, tuttavia aveva spiccate doti umane e manteneva sempre la parola data, impegnandosi con tutte le sue forze per raggiungere gli obiettivi condivisi insieme.
Ringrazio infine anche i confratelli, in particolare i miei compagni di Seminario con cui ho condiviso molte esperienze, come don Luigino Scarponi, don Ulderico Ceroni e don Federico Pompei, e altri presbiteri che non sono stati compagni di studio, ma che per età sono quasi miei coetanei, o un po’ più grandi o un po’ più piccoli, come don Vincenzo Catani, don Gianni Croci e don Tommaso Capriotti, che ci ha lasciato poche settimane fa.
Come e quando è avvenuta la sua vocazione?
Da piccolo frequentavo la chiesa di Piano Risteccio, appartenente alla parrocchia d Ripe, una frazione di Civitella del Tronto. Non avevo ancora 11 anni, quando ebbi delle bruttissime esperienze con un prete nella primavera del 1962 e successivamente l’8 Maggio del 1965. Si tratta di episodi di cui preferisco non raccontare i dettagli, sia per non turbare i parenti del sacerdote ormai defunto da tempo, sia per tutelare la mia riservatezza. Dico solo che, nonostante il ricordo di quei momenti sia ancora molto vivo nella mia mente e quindi anche molto doloroso, ho deciso tuttavia di accennare a questa esperienza solo per far comprendere bene in che maniera sia nata la mia vocazione. Non ho avuto una figura di riferimento che mi abbia testimoniato la bellezza della Chiesa, in particolare all’interno del clero. Tuttavia, nonostante queste premesse, la mia vocazione si è definita il 7 Dicembre 1964 nella chiesa di Ripe, davanti all’immagine dell’Immacolata Concezione. Il mio desiderio era quello di diventare monaco, perché ho sempre preferito la vita spirituale a quella attiva; all’epoca invece sono stato indirizzato al Seminario diocesano. Oggi posso dire, però, che anche nel mio servizio da presbitero, non mi sono mai sentito particolarmente dotato nell’organizzare le attività di Pastorale parrocchiale e ho sempre preferito ruoli marginali e in parrocchie poco popolate. Ma anche qui non sempre tutto è andato secondo i miei piani.
In effetti, dopo gli studi di Teologia, mentre era docente di religione, sono arrivati subito degli incarichi a livello diocesano. Ce li vuole ricordare?
Sono stato docente di Religione per pochi anni, dal 1983 al 1989, il tempo necessario per rendermi conto che quella non fosse la mia strada. Durante il periodo dell’insegnamento, però, sono stato anche membro del Consiglio Presbiterale e membro del Collegio dei Consultori. Dal 1985 fino al 1997 sono stato revisore dei conti dell’IDSC (Istituto diocesano di Sostentamento del Clero) e successivamente, dal 1997 fino al 2003, ne sono stato consigliere. Dal 1997 al 2002 sono stato vicario foraneo della Vicaria Santa Maria in Montesanto. Qualche anno dopo, dal 2008 al 2016 sono stato membro del Consiglio diocesano degli Affari Economici, per arrivare poi agli ultimi incarichi.
Oltre ad essere dal 2016 membro del Consiglio diocesano per l’Ammissione agli Ordini Sacri, con incarico ancora in corso, per oltre 18 anni, dal 2005 al 2023, è stato anche responsabile della comunità diaconale della Diocesi Truentina. Come ha accolto e svolto questo incarico?
Per amore della verità, devo dire che, quando il vescovo mi ha detto che voleva affidarmi quell’incarico, sono rimasto molto stupito. Io sono sempre stato un tipo schietto e questo mi ha portato ad essere molto sincero ed aperto su ogni questione. Non le ho mai mandate a dire, neanche al vescovo; al contrario, ho sempre manifestato la mia opinione. Siccome spesso non partecipavo neanche alle attività organizzate dal vescovo, la sua nomina mi ha colto davvero di sorpresa, però devo dire che ho accettato volentieri perché ho sempre creduto nel valore importante che il diaconato riveste all’interno della Chiesa.
In quali parrocchie ha esercitato il suo servizio pastorale e che ricordi ha?
Come ho detto poco fa, ho sempre cercato parrocchie piccole. Per un paio di anni scarsi, sono stato vicario parrocchiale a Grottammare, nella comunità di San Pio V (dal 1975 al 1977). Poi ho svolto servizio, ma senza incarico ufficiale, nella parrocchia Santo Spirito in Teramo dal 1977 al 1980. Da qui in poi la mia storia è legata a doppio filo con la comunità civitellese. Dal 1980 al 1986 sono stato parroco della parrocchia San Pietro apostolo San Michele arcangelo in Ripe di Civitella. Dal 1986 in poi sono stato parroco della nuova parrocchia Santa Maria in Montesanto e Sant’Angelo in Ripe di Civitella, ottenuta dalla fusione di cinque parrocchie precedenti, e dal 1998 ad oggi sono stato anche parroco della parrocchia Santa Maria della Misericordia in Faraone. Inoltre dal 1990 al 2003 sono stato parroco anche della Parrocchia San Pietro Apostolo in Colpagano.
In tutte le parrocchie, dal 1999 al 2009, sono stato aiutato prima dal vicario parrocchiale don Claudio Marchetti e poi da don Marco Claudio di Di Giosia, due ottimi collaboratori di cui conservo un ottimo ricordo. Infine dal 2011 fino al suo ritorno in India, sono stato aiutato anche da don Amal Raj Samala, che purtroppo è venuto a mancare prematuramente il 6 Giugno scorso.
Come è cambiata la Chiesa in questi 50 anni e come vede il futuro della Chiesa?
Negli ultimi 50 anni, la Chiesa ha subito trasformazioni significative e il risultato – che è sotto gli occhi di tutti – è che le chiese si sono svuotate, sia a causa dello stop forzato legato alla pandemia sia a causa dello spopolamento delle aree interne. Credo, tuttavia, che i dati vadano letti non solo in senso quantitativo, ma anche qualitativo. Un tempo chi andava in chiesa lo faceva spesso per tradizione e non per convinzione; oggi, al contrario, chi lo fa, lo fa per scelta. Inoltre, guardando alla storia e a come si è sviluppato il Cristianesimo, possiamo notare che, quando in alcune zone del mondo il numero dei cristiani si assottiglia, in altre zone fiorisce abbondantemente. Mi sento di essere, quindi, abbastanza speranzoso nel dire che, sebbene in questo momento in Europa e nel Nord America ci sia un calo del numero dei cristiani, dall’altro lato non possiamo non considerare quelle zone in cui invece è in crescita, come ad esempio nell’Africa subsahariana e in alcune Paesi dell’Asia.
Credo, inoltre, che in questi anni la Chiesa abbia fatto grossi passi in avanti su temi come la misericordia, il dialogo ecumenico e un rinnovato approccio alle relazioni. Guardando al futuro, mi aspetto una Chiesa che finalmente valorizzi la diversità, in contesti spesso minoritari, e che continui il cammino tracciato dal Concilio Vaticano II, con una maggiore attenzione, da un lato, alla partecipazione e alla corresponsabilità dei laici e, dall’altro, alla valorizzazione della persona e all’autenticità delle sue relazioni.
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