
Di Pasquale Ferrara
Ci vuole qualcosa di abnorme, di estremamente grave, per indurre più di 60 Ambasciatori italiani in pensione (ma non “a riposo”) ad abbandonare la proverbiale riservatezza e discrezione e prendere posizione netta su una questione internazionale. Avviene quando tutte le cosiddette “linee rosse” di umanità e rispetto della vita di civili inermi sono ampiamente superate, come nel caso dell’eccidio senza fine in corso a Gaza da parte dell’esercito israeliano. L’appello al Governo perché prenda misure concrete per indurre Netanyahu a fermare la carneficina (che ha raggiunto e superato le 22.000 adesioni di comuni cittadini) e a riconoscere lo Stato di Palestina nasce da tre ragioni di fondo.

(Foto Istituto universitario Sophia)
Una etica. Essere stati diplomatici non implica essere divenuti cinici. Non si può restare inerti dinanzi a tali orrori. La voce immensamente più autorevole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è fatta sentire senza ambiguità. Al di là dei pretesi “errori” compiuto dalle Idf a Gaza è difficile “non ravvisarvi l’ostinazione a uccidere indiscriminatamente”.
C’è poi una motivazione tattica, diplomatica, molto realistica. I diplomatici, benché in pensione, non sono sognatori. La verità è che con le dichiarazioni politiche non accompagnate da misure concrete con questo governo israeliano non si va da nessuna parte. Per questo si propongono tre misure pratiche, che potrebbero essere adottate domani, se ci fosse la volontà politica di farlo. In primo luogo, sospendere ogni rapporto e cooperazione, di qualunque natura, nel settore militare e della difesa con Israele. In secondo luogo, sostenere in sede europea ogni iniziativa che preveda – come ha fatto l’Olanda – sanzioni individuali (restrizioni agli spostamenti internazionali e congelamento delle attività economico-finanziare e dei patrimoni) nei confronti dei Ministri israeliani – come Smotrich e Ben G’vir – che incoraggiano e appoggiano il moltiplicarsi degli insediamenti illegali e le violenze dei coloni in Cisgiordania. Infine, unirsi al consenso europeo per la sospensione temporanea dell’Accordo di associazione tra Israele e l’Unione europea.
C’è, in ultimo, una motivazione politico-strategica. L’Italia ha un consolidato rapporto di amicizia con Israele, che bisognerebbe rendere ancor più profondo, mettendo in chiaro le condizioni per coltivare una relazione bilaterale basata su principi e non solo su interessi. E l’Italia ha una tradizionale consuetudine con il mondo arabo-islamico, con cui sviluppare un dialogo non privo di critica per ribadire che ogni forma o atto di terrorismo – come quello del 7 ottobre – va condannato senza se e senza ma. L’Italia è nel Mediterraneo, ha una responsabilità che le proviene dalla storia, ancor prima che dalla geografia. E giunge il momento delle scelte. Una di queste, ormai non più rinviabile, è il riconoscimento nazionale dello Stato di Palestina, dopo l’occasione persa all’Onu quando si è trattato di votare sull’elevazione del suo status, circostanza nella quale ci siamo astenuti. Dopo Francia, Gran Bretagna e Canada, c’è da sperare che l’Italia non rimanga indietro.
Si dice che il riconoscimento non cambierebbe le cose sul terreno, ma c’è da chiedersi a cosa sia servito finora non farlo. Si confonde Hamas con l’Autorità Nazionale Palestinese affermando – senza fondamento – che non c’è nessuno di affidabile con cui negoziare. Si dice che i Palestinesi dovrebbero riconoscere Israele: già fatto, con gli Accordi di Oslo nel 1993. Ora sarebbe il turno di Israele riconoscere lo Stato di Palestina. Si dice che non c’è un territorio: peccato che i Palestinesi un territorio ce l’avevano, ma è stato in gran parte occupato da colonie illegali. Occorre rimettere sul tavolo una questione che esponenti dell’attuale governo israeliano (per tacere della Knesset) negano in radice, parlando ormai di Giudea e Samaria, di annessione della Valle del Giordano e di rioccupazione di Gaza, e non più nemmeno di Cisgiordania.
Gli Ambasciatori sanno per lunga esperienza che non ci sono soluzioni militari, ma solo soluzioni politiche. Condividono l’appello di Papa Leone XIV ad avere il coraggio di “cercare vie di dialogo” per rispondere ai conflitti. È urgente riprendere, tra Israeliani e Palestinesi, un percorso politico, un orizzonte di speranza, per la convivenza in pace e sicurezza di “due popoli, due Stati”. Il riconoscimento è un gesto concreto in questa direzione.
Per chi intendesse aderire all’Appello: https://www.change.org/PalestinaStato
Michael
Non si confonde Hamas con ANP. Solo che l'Autorità Nazionale Palestinese non ha alcuna autorità tanto che a trattare è solo Hamas che è il nemico non solo della pace ma anche della Palestina