
Di Ilaria De Bonis
“A noi missionari sembra di non fare mai abbastanza. Pensiamo che ci siano poche conversioni e pochi battesimi, che il Paese sia molto individualista e poco comunitario, eppure il Giappone sta cambiando tanto, anche se lentamente. È un Paese che ancora 30 anni fa viveva di un cristianesimo preconciliare, devozionale e antico, ma oggi sembra aprirsi all’altro”. Il volontariato, l’accoglienza, una maggiore attenzione (sebbene ancora difficile) al mondo dei migranti asiatici, modifica il cuore dei giapponesi in questi primi decenni del 21° secolo e restituisce al Paese un volto diverso.

(Foto Popoli e Missione)
A parlarne è suor Marisa Gambato (nella foto), missionaria salesiana Figlia di Maria Ausiliatrice, da quasi 50 anni a Tokyo. Popoli e Missione l’ha incontrata nella casa madre delle salesiane a Roma, in uno dei suoi rari viaggi in Italia. “Un po’ per volta la mentalità dei giapponesi cambia. Nella loro società il lavoro, come risaputo, conta tantissimo e la maggior del tempo i giapponesi lo trascorrono lavorando, ma adesso fanno anche più volontariato”, dice.
L’immigrazione non è più un tabù. “I primi anni qui li ho trascorsi imparando la lingua e facendo formazione. Noi salesiane siamo a Tokyo con le scuole, ma anche nel sud, dove abbiamo un centro di spiritualità e una scuola materna. Adesso sono segretaria della provincia e non lavoro più nella scuola”. Ma il polso della situazione sociale in evoluzione a suor Marisa non sfugge. “Noi suore cerchiamo anche di stare con i salesiani nella parrocchia e collaboriamo nella catechesi per far sentire la presenza religiosa”. Ciò che davvero costituisce un elemento nuovo e che cambia visibilmente la società giapponese è la presenza degli immigrati. Fino a dieci anni fa molto rara e tabù. “Sono arrivati molti migranti stranieri: si consolida il flusso dalle Filippine iniziato già 30 anni fa e adesso la maggioranza degli stranieri arriva anche dal Vietnam e dal Myanmar”, racconta. Occorre notare che alle elezioni di fine luglio il partito ultranazionalista e xenofobo Sanseito ha moltiplicato i seggi: i migranti non sono ben accetti da tutti.
Paese ipertecnologico ma vecchio. Comunque sembra in corso una svolta, dovuta sia alla necessità di manodopera che alla denatalità. Nel 2022 sono nati meno di 800mila bambini, il numero più basso da quando sono iniziate le registrazioni nel 19° secolo: l’allora primo ministro Fumio Kishida ha più volte lanciato l’allarme parlando di effetti deleteri. E chiaramente a risentirne è anche il mondo del lavoro. Ci sono tante industrie e tanta tecnologia ma poca forza lavoro. Per la prima volta nella sua storia del Giappone nel 2023 il numero di lavoratori stranieri ha superato i due milioni: alla fine di ottobre 2024 c’erano 226mila stranieri in più dell’anno precedente. La fetta più grande arriva dal Vietnam (il 25,3% del totale), seguiti dai lavoratori cinesi e filippini. Il settore che assorbe di più è il manufatturiero (27% del totale). “Vengono soprattutto per perfezionarsi nelle varie tecniche: mentre lavorano si perfezionano”, dice la suora. Invecchiamento della popolazione e calo delle nascite è stato in effetti un mix micidiale per un Paese ipertecnologico e moderno, che però rischia di trovarsi sempre più a corto di manodopera e operai specializzati.
La Chiesa fa da ponte e da cerniera sociale. E così il Giappone, che ha tradizionalmente avuto vincoli molto rigidi sull’immigrazione, e diktat sulla chiusura, è stato costretto ad aprire le frontiere (sebbene sempre molto monitorate) ai lavoratori stranieri e a tollerare l’arrivo massiccio degli asiatici “poveri”. Per chi lavora in agricoltura, assistenza infermieristica e servizi sanitari, i permessi durano appena cinque anni e non consentono ricongiungimenti famigliari. C’è un grande turn-over e nel frattempo, mentre questi uomini e queste donne adulti, dall’Asia si trovano nelle megalopoli, la Chiesa fa da ponte e da cerniera sociale. Il futuro sarà sempre più vietnamita, per i giapponesi. Metà dei lavoratori arriva infatti da Vietnam e Cina, e anche Cambogia e Myanmar faranno presto la loro parte. Come raccontava qualche mese fa Asia News, in Giappone gli oltre 570mila immigrati vietnamiti non sono trattati sempre “con i guanti di velluto”.
Sfruttamento, discriminazione. Gli operai denunciano condizioni di sfruttamento, discriminazione e salari inferiori a quanto pattuito, spesso a causa dei contratti offerti da agenzie intermediarie locali. “Le proteste si sono intensificate soprattutto per l’uso distorto di una particolare categoria di visto, il cosiddetto Gijinkoku, formalmente destinato a lavoratori altamente qualificati in ambito tecnico, scientifico o intellettuale”, scrive l’agenzia Asia news. Questo visto viene spesso utilizzato per far entrare lavoratori stranieri nel Paese destinandoli però a mansioni non corrispondenti e dequalificanti. Molti vietnamiti pagano anche fino a 7mila dollari per ottenere il documento, per poi ritrovarsi impiegati in lavori demansionati, anche come tirocinanti.
Povertà nascosta e solitudine. “In Giappone c’è anche una povertà che non si vede: è una povertà dignitosa e nascosta, coloro che vivono in strada sono anche molto dignitosi, ma sono soprattutto locali –racconta la salesiana –. Poi ci sono gli immigrati che fanno lavori di tecnica industriale, e adesso abbiamo tra noi anche una suora dal Vietnam che li accompagna: possono stare per alcuni anni e allora non sono raggiunti dalle famiglie. Sono soli, sebbene molto uniti”.
Iper-lavoro, vita frenetica e spiritualità. Ma come si concilia l’iper-lavoro e la vita frenetica giapponese, con la spiritualità e la meditazione nel Giappone moderno? “Trovano il modo per far stare insieme queste due cose: loro amano andare nei parchi e andare nei templi. Tutto il giorno si corre, si corre e si lavora e poi nel tempo libero si medita e si prega”, dice ancora la missionaria. Per la Chiesa la presenza straniera, precisa suor Gambato, è anche “molto positiva: la preghiera individuale dei giapponesi si confronta con il cristianesimo di comunità dei filippini e dei vietnamiti…”. Per le missionarie “accompagnare le persone, stare con i giovani ma anche con gli adulti, è un lavoro capillare, la massa va in un’altra direzione… Ma se si riesce ad agganciare singolarmente le persone, è tutto molto bello”.
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