SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Nato 53 anni fa a Palermo, dove vive attualmente insieme alla moglie Milena Libutti e al figlio Marco, dopo la maturità classica, si trasferisce a Milano dove si laurea in Economia Aziendale presso l’Università Bocconi. Dopo aver conseguito il dottorato in Statistica Applicata ed aver vinto una borsa di studio presso la Direzione del Tesoro, nel 2001 diventa ricercatore strutturato di Statistica Economica ed insegna vari corsi in università di diverse città: Palermo, Bilbao, Tirana. Attualmente è docente presso la sede di Palermo dell’Università LUMSA. Collaboratore di svariate società scientifiche ed autore di numerose pubblicazioni sui temi dell’economia, è anche componente del Consiglio Direttivo dell’Istituto di Formazione Politica “Pedro Arrupe” di Palermo e membro dell’Osservatorio Mezzogiorno di Eurispes.
Stiamo parlando del prof. Giuseppe Notarstefano che nel 2021 ha ricevuto la nomina a presidente dell’Azione Cattolica Italiana con il compito di guidare nel periodo 2021-2024 l’Associazione di laici che da più di 150 anni vive un cammino di formazione umana e cristiana orientato alla crescita comune, in collaborazione con le sedi episcopali e a servizio del territorio di appartenenza.

Ci racconti un po’ la sua storia. Come è entrato in Azione Cattolica e perché?
Sono cresciuto con l’Azione Cattolica. Durante le Scuole Medie ho iniziato a frequentare in parrocchia il gruppo dell’ACR; poi ho proseguito dando una mano agli animatori più grandi e divenendo prima educatore e poi responsabile Parrocchiale e successivamente, dopo essere entrato nell’equipe Diocesana, anche responsabile Diocesano dell’ACR. Infine sono giunto al Nazionale, prima come responsabile dell’ACR, poi come componente del centro studi di AC, poi ancora come membro del laboratorio nazionale della formazione, poi come consigliere nazionale e vice presidente per il Settore Adulti, dal 2021 come presidente dell’A.C.I. L’Azione Cattolica ha dato forma alla mia vita. In AC ho conosciuto la mia fidanzata che ora è diventata mia moglie. In AC ho stretto le amicizie più importanti della mia vita. In AC ho anche scelto cosa fare da grande, ovvero diventare ricercatore, perché ho fatto esperienze che mi hanno fatto capire da vicino in cosa consistesse questa professione. Il servizio che vivo al Nazionale, insieme ad altri collaboratori, è certamente faticoso, ma è solo la restituzione di qualcosa di grande che abbiamo ricevuto negli anni.

Grazie all’incarico che svolge al Nazionale, sta viaggiando molto per l’Italia e sta incontrando tante realtà parrocchiali e diocesane. Cosa accomuna tutti i gruppi AC che incontra nei suoi viaggi?
Questa è propria una bella domanda. Il mio impegno al Nazionale mi obbliga a viaggiare molto, ma questo è un grande privilegio per me. I giorni che stiamo vivendo sono quelli che seguono i mesi bui della pandemia da Coronavirus. Noi, in realtà, non ci siamo mai fermati, in quanto eravamo passati alle attività on-line; ma chiaramente tornare in presenza è un’altra cosa. Già da un anno il ritmo delle visite è abbastanza intenso e con la presidenza, su base regionale, stiamo incontrando tutti i presidenti parrocchiali insieme ai parroci che fanno da assistenti. Stiamo cercando in ogni modo di ascoltare l’Associazione e, attraverso l’Associazione, di ascoltare le nostre comunità. Non solo durante i grandi momenti di convocazione a livello nazionale (come gli incontri riservati ai giovani, agli studenti, agli educatori), ma anche attraverso momenti diversi, in cui andiamo a visitare realtà più piccole, regionali o diocesane, dove possiamo avere contatti più diretti ed ascoltare meglio le persone. Quello che rileviamo è sicuramente un grande entusiasmo. È bello ritrovarsi come stasera ed iniziare una progettualità, guardando al futuro con fiducia. Dall’altro lato, ci sono anche le grandi sfide a cui questo tempo ci chiama. Una di queste riguarda le nuove generazioni. La pandemia non è passata senza lasciare traccia: in questi anni è successo qualcosa che ha profondamente cambiato le persone ed, in particolar modo, i più giovani. La nostra Associazione non ha il problema della mancanza dei giovani, in quanto abbiamo tantissimi iscritti; abbiamo però un problema di trasmissione della fede, di accompagnamento, di capacità di far riscoprire ai giovani la dimensione vitale della fede. La fede è per la vita e questo va trasmesso con i comportamenti. Ecco allora l’altra faccia della medaglia di questa sfida, quella che che riguarda la Chiesa da vicino, ovvero il compito delle nostre comunità di essere più inclusive, da un lato ascoltando con attenzione e cura e dall’altro lato parlando a misura delle persone. Non a caso il sinodo è partito con un anno di ascolto che è stato molto positivo perché finalmente le persone si sono sentite raggiunte. Queste sono le due grandi questioni pastorali che accomunano tutti. Poi ci sono differenze da luogo a luogo. Nelle aree interne, ad esempio, c’è il problema dello spopolamento: non essendoci attività produttive, i giovani si spostano sulla costa o comunque in territori più abitati e serviti; c’è quindi un abbassamento del tasso di natalità ed un invecchiamento della popolazione che incide sulla qualità della vita sociale e quindi anche pastorale. Nelle città, invece, c’è una situazione completamente diversa: la popolazione è molto numerosa, ma la vita è più frenetica, quasi totalmente assorbita dal lavoro, e non c’è quasi tempo per la socialità. Noi facciamo i conti con questa post – modernità.

Si celebrerà oggi pomeriggio nella nostra Diocesi la Festa della Pace 2023 organizzata dall’Azione Cattolica dei Ragazzi. Come si costruisce la Pace?
Nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, papa Francesco si chiede se questo tempo che abbiamo vissuto durante la pandemia ci abbia reso migliori e, dopo varie riflessioni, conclude che la pace non è qualcosa di astratto, bensì una conversione personale e comunitaria. Questo significa che dobbiamo ricostruire la comunità dentro di noi, coltivare interiormente il senso di comunità. Questo è il compito di noi cristiani. Nella vita, tutti, a volte, siamo influenzati da uno stile individualistico, anche spinti da logiche di mercato più grandi di noi; al contrario, dobbiamo impegnarci a vivere uno stile di condivisione, ad avere un approccio comunitario. Dobbiamo rimettere al centro la parola ‘insieme’, ripartendo dalla rigenerazione dei legami, sperimentando nel profondo valori come l’accoglienza, la cordialità, la solidarietà, la collaborazione, la cooperazione. Anche l’AC da alcuni anni fa alleanze, ovvero riconosce nell’altro una realtà che completa, lavorando anche insieme. Questo vuol dire uscire dall’angolo dell’individualista. Anche noi come AC dobbiamo rigenerare ancora di più la vita associativa con maggiore fraternità. Fare le cose insieme è importante, ma è ancora più importante accompagnarci ogni giorno. Questo stile, che fa dell’incontro con l’altro una ricchezza, diventa lievito e luce per la vita quotidiana. Questo stile, che io chiamo di cura dell’altro, è più faticoso, ma ha un valore aggiunto inestimabile e genera legami saldi, sia quelli a livello personale (come gli affetti, la famiglia, l’amicizia) sia quelli più marcatamente civici (come la democrazia e il senso civico). Sentirci insieme, poi vivere e agire insieme: così ci si allena alla pace!

Cosa può fare l’Azione Cattolica per accrescere il senso di comunità nelle parrocchie e nelle diocesi, più di quanto già non faccia?
Io credo che il sinodo sia un tempo dello Spirito. Laicamente è una grande opportunità per rigenerare la vita comunitaria. La pandemia ha solo portato alla luce alcune fragilità che erano presenti nella nostra società già da diversi decenni. In questo contesto l’Azione Cattolica ha il compito di mettere insieme. Chi? Sia la vita degli associati tra di loro sia la vita degli associati con quella del resto della comunità. Per quanto riguarda il primo punto, io credo che non debba esserci una divergenza tra servizio e formazione. In tal senso i percorsi iperspecializzati, senza un’ottica di condivisione comunitaria, senza un legame con la vita comunitaria, alla fine non aiutano a tenere insieme le persone. Negli anni ho compreso che ci si forma attraverso il servizio e la formazione è sempre promotrice di servizio. In questo senso siamo chiamati a fare un salto e ad andare oltre le divisioni che ci sono state nel passato. Per quanto concerne invece il secondo punto, credo che sia quanto più urgente ed importante mantenere le persone dell’Associazione insieme ed unite all’altro, a tutto ciò che c’è intorno, lavorando anche con altre associazioni, incontrandole, condividendo le cose da fare, dando valore ai luoghi della partecipazione. Questi ultimi, a volte, anziché tenerli sulla carta, dovremmo farli divenire luoghi reali di partecipazione, dove ci si ascolta, dove usciamo anche da un certo stress organizzativo. Ovviamente l’AC è una grande organizzazione, ma è anche innanzitutto relazione, stare insieme, condividere la vita. Non dobbiamo smarrire mai ciò che nutre la vita comunitaria, che ha il suo cuore nella mensa Eucaristica, in quella condivisione del Pane che diventa condivisione della vita. Da lì parte tutto il resto: le attività, la formazione, i progetti, la carità, la formazione politica. Tutte ha inizio da lì e si dirama da lì.

Ai giovani che vogliono iniziare un cammino con l’Azione Cattolica cosa consiglia?
Ai giovani che hanno in parrocchia un gruppo di AC, consiglio di iscriversi e partecipare alla vita associativa. A tutti gli altri dico che l’Azione Cattolica ha la grande ricchezza di avere una dimensione diocesana, quindi tutti i giovani possono partecipare agli incontri organizzati a livello diocesano, divisi per fasce di età e per tematiche di interesse. Poi consiglio anche di creare delle esperienze di gemellaggio con altre parrocchie: un gruppo che vuole iniziare un cammino si può appoggiare ad un altro gruppo già avviato. Basta veramente poco: due persone sono una coppia, già tre sono un gruppo! Certamente ci deve essere sempre la disponibilità dei parroci, in quanto, per sua costituzione, la natura dell’Azione Cattolica è ecclesiale. Questo è certamente un punto di forza che chiede di assumere tutta la bellezza e la fatica di costruire la comunità nella concretezza giorno per giorno.

Infine le chiedo di dare un messaggio agli associati dell’AC della nostra Diocesi e a tutti i lettori.
Prima di tutto voglio dire un grande grazie per questo lavoro che si sta facendo e che comprende anche voi giornalisti della stampa diocesana. Negli ultimi anni la comunicazione è divenuta reticolare e di fatto si è persa quella capacità di rielaborazione delle notizie che, invece, è molto importante per la qualità della democrazia. Se vogliamo mantenere la democrazia, dobbiamo mantenere anche questo sistema della stampa e dell’informazione. Nei giornali diocesani questa capacità ancora un po’ resiste. Il mio invito quindi, rivolto a tutti, è di sostenere la stampa diocesana in ogni modo possibile: in particolare invito i parroci e i responsabili degli uffici diocesani a collaborare in maniera attiva, condividendo informazioni su progetti ed eventi, leggendo quotidianamente il giornale diocesano e facendolo diventare fonte di formazione; invito poi i lettori a seguirlo con continuità, a leggerlo e a diffonderlo, facendo circolare sui vari social gli articoli più interessanti. Il sostegno al giornale diocesano, oltre che economico, deve essere inteso anche in tal senso.
Per quanto riguarda l’Azione Cattolica della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, oltre alla mia gratitudine ed al mio affetto, voglio dare un incoraggiamento pubblico ad andare avanti così, insieme e con questa capacità di abitare la città. Il mio augurio è di essere sempre più estroversa, nel senso di essere aperta all’altro, alla comunità, al territorio in cui vive ed opera.

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