DIOCESI – “La solennità del Corpus Domini ci riporta immediatamente alla centralità del sacramento eucaristico “fonte e vertice della vita cristiana”, secondo la felice espressione del Concilio Vaticano II. La fede cristiana si è sempre nutrita del sacramento eucaristico, misterica e perenne reale presenza di Cristo nella sua Chiesa. Nell’eucaristia si realizza la promessa di Gesù: “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Non dice “sarò”, ma “sono” già ora e lo sarò per tutti i giorni.”
Con queste parole il vescovo della diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, Mons. Carlo Bresciani, ha aperto la sua omelia in occasione della solennità del Corpus Domini, celebrata giovedì 3 giugno presso la Cattedrale Madonna della Marina.
Il Vescovo Bresciani ha poi affermato: “Sempre l’eucaristia è stata posta al centro delle nostre chiese, così che potesse ispirare grati momenti di adorazione, nel gioioso ricordo di quanto Gesù ha fatto per noi donando la sua vita fino alla morte in croce. Viva nel nostro popolo è la fede nel mistero eucaristico e la conseguente devozione espressa anche attraverso momenti di adorazione e anche solenni processioni, che purtroppo anche quest’anno non ci sarà possibile fare a causa della pandemia da covid-19. Concluderemo però questa celebrazione eucaristica con una breve processione qui in chiesa seguita da un momento di adorazione.
Il Vangelo di Luca ci ricorda come i due discepoli di Emmaus riconobbero Gesù nello spazzare il pane, come egli fece nell’ultima cena dicendo: “questo è il mio corpo… questo è il mio sangue”. L’evangelista Luca vuole in tal modo ricordare a noi come l’eucaristia abbia in sé due esigenze: riconoscere pienamente Gesù nel suo mistero di morte e resurrezione e tornare a fare comunità.
Riconoscere pienamente Gesù nel suo mistero di morte e resurrezione. I due discepoli avevano lasciato, delusi e tristi, la comunità di Gerusalemme. Avevano conosciuto Gesù, avevano ascoltato le sue parole, ma non le avevano comprese. La loro mente e i loro occhi erano chiusi, la morte in croce non entrava in ciò che si aspettavano e desideravano e ciò li ha sconvolti al punto da lasciare la comunità di Gerusalemme. Hanno bisogno che Gesù stesso apra prima i loro cuori, spiegando loro le Scritture, aiutandoli cioè a comprendere che quel Gesù che avevano conosciuto, e che era morto in croce, era il messia promesso e atteso, colui del quale già avevano parlato i profeti. Qui c’è un insegnamento anche per noi: Gesù lo possiamo comprendere solo alla luce della sua parola, cioè dei Vangeli e della Bibbia. Senza di essa rischiamo di costruirci troppo facilmente un Dio a nostra misura e secondo le nostre attese. Un Dio, alla fine, fin troppo comodo. Rischiamo così di finire come i due discepoli di Emmaus: lasciare la comunità -la Chiesa- e andare tristi e delusi per vie di solitudine. I due discepoli conoscevano le Scritture, ma non le comprendevano correttamente. Il loro modo di pensare Gesù, il messia, non comprendeva affatto la croce. Hanno bisogno di qualcuno che lo spieghi loro: Gesù stesso si presta a questo. Non possiamo comprendere pienamente Gesù senza l’Antico Testamento, quello che Gesù spiega ai due discepoli, appunto.
La debolezza della fede oggi ha molto a che fare con l’ignoranza della Scrittura e la poca conoscenza del Vangelo che scalda i cuori, con in più l’esclusione della croce: esattamente come era per i due discepoli di Emmaus. Se il Vangelo nella sua interezza non raggiunge i cuori, resta sterile.
Attraverso la spiegazione delle Scritture, Gesù prepara i due discepoli al pieno riconoscimento della sua presenza di risorto. Solo poi i loro occhi si aprirono. Non basta il cuore, è assolutamente necessario, ma occorrono occhi che riconoscono la verità. Il cuore che non è guidato dalla verità -e la verità è Gesù come l’abbiamo nei Vangeli-, sarà anche emotivamente molto vivo, ma è un cuore che si auto-inganna e perde Dio.
Il cuore dei due discepoli di Emmaus ardeva nell’ascolto della spiegazione delle Scritture, ma non riconoscevano ancora la presenza viva del risorto. Era un cuore ancora cieco. Solo quando Gesù spezza il pane (termine specifico per indicare l’eucaristia: cioè il gesto che Gesù ha compiuto nell’ultima cena) i loro occhi si aprono alla professione di fede: “è il Signore”. Solo allora il cuore, prima triste e deluso, ha trovato la verità di Gesù risorto: ora sono pronti a cibarsi del pane donato loro da Gesù.
Solo nella fede che si alimenta alla Parola di Dio c’è un vero comunicarsi al corpo e sangue di Cristo.
Tornare alla comunità. Dove porta i due discepoli l’aver riconosciuto il crocifisso risorto e aver ricevuto il pane eucaristico offerto loro da Gesù, il Risorto? Il testo del vangelo di Luca è molto chiaro e vuole certamente essere un insegnamento per tutti noi. Egli presenta, infatti, una inversione completa nel cammino che i due discepoli avevano intrapreso. Prima stavano lasciando Gerusalemme dove la comunità dei primi cristiani era riunita, ora ritornano alla comunità dove condividono con gli apostoli riuniti la gioia e la lode al Cristo risorto. Quale l’insegnamento? L’eucaristia deve portarci a costruire la comunità del risorto, cioè ad essere Chiesa e non si è Chiesa se non insieme, soprattutto la domenica per fare insieme memoria del Cristo risorto con la celebrazione eucaristica: cioè per ascoltare la Parola, cantare insieme le lodi di Dio (qualcosa di diverso dall’ascoltare canti fatti da altri) e nutrirci del corpo di Cristo.
Durante la pandemia necessariamente siamo stati privati della possibilità di celebrare insieme l’eucaristia. Siamo ricorsi al collegamento a distanza per via telematica, per tanti aspetti provvidenziale e più comodo certamente, ma non ci è bastato, come non basta ricevere l’eucaristia e non essere pazienti costruttori della comunità cristiana, in primo luogo con la nostra presenza e partecipazione.
Carissimi, abbiamo bisogno di celebrare insieme, abbiamo bisogno di condividere la fede. Il sacramento o ci fa Chiesa o manca di qualcosa di essenziale e rischia di operare una separazione tra Corpo eucaristico di Cristo e Corpo di Cristo che è la Chiesa e perdere così il vero senso del sacramento eucaristico. Non si può separare il capo che è Cristo dal corpo che è la Chiesa. Siamo veramente nutriti del corpo di Cristo se diventiamo un corpo solo in lui. Così, infatti, chiediamo nella preghiera ogni volta che celebriamo la santa messa: “per la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, lo Spirito santo ci riunisca in un solo corpo” (canone II). È questo il grande progetto di Dio sull’umanità che richiede di superare ogni divisione e discordia diventando un solo corpo in lui.
Oggi, periodo in cui tutti siamo tentati dall’imperante e illusorio individualismo, dobbiamo recuperare, in modo particolare, questo stretto ed intimo collegamento tra corpo eucaristico di Cristo e corpo di Cristo che è la Chiesa. La piena comunione con lui è nella Chiesa e con la Chiesa, quella di oggi nella quale egli continua la sua presenza fino alla fine del mondo”.




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