“Lacrime, silenzio e una domanda che continua a rimbalzare nella testa: perché? Perché tanta violenza?”. Don Leonardo Mazzei è un prete della diocesi di Firenze in missione in Perù con Operazione Mato Grosso, l’organizzazione creata da padre Ugo De Censi: la stessa con cui operava Nadia De Munari, la volontaria italiana aggredita e uccisa a Nuevo Chimbote, in Perù.
“Con Nadia ho condiviso più di sette anni qui a Chimbote – racconta don Leonardo, sul numero di Toscana Oggi in uscita in questi giorni – da quando il padre Ugo le aveva chiesto di coordinare il lavoro delle maestre nei nostri asili d’infanzia. Un lavoro enorme, audace, per mettere in pratica un’educazione completa e gratuita per 400 bambini”.
Nadia aveva 51 anni, di cui 25 trascorsi in missione, prima nelle Ande e poi a Chimbote per dirigere gli asili di questa immensa baraccopoli nel deserto. Viveva insieme alle ragazze più giovani, 16 ragazze che lavorano nei sei asili della comunità. “Un lavoro grande – sottolinea don Leonardo – che lei svolgeva con professionalità, precisione e amore”.
Sui motivi dell’aggressione ancora non ci sono risposte: “Siamo nella nebbia, il lavoro d’investigazione della polizia continua. Noi volontari italiani e tutti i nostri collaboratori siamo al sicuro nelle parrocchie, non c’è rischio in questo momento, abbiamo però dovuto subito sospendere tutto il lavoro e gli aiuti alla gente (mensa dei poveri, asili, scuola elementare, lavori vari e oratorio sono chiusi) fino a quando non si chiariranno le motivazioni di questo gesto atroce”.
Insieme al dolore per la tragedia, c’è anche il ricordo grato: “Dopo i primi momenti di disperazione ci siamo accorti di come la nostra gente ci è vicina, di quanto è grande il bene che Nadia ha seminato in questi anni e di come è grande la nostra famiglia”.
Di tutto questo, il sacerdote ha informato il card. Giuseppe Betori: su Toscana Oggi vengono riportati anche alcuni passaggi della risposta dell’arcivescovo di Firenze. Betori fa riferimento a quella che Papa Francesco ha chiamato l’”offerta della vita”, come strada di beatificazione per chi ha “liberamente e volutamente offerto e immolato la propria vita per i fratelli in un supremo atto di carità, che sia stato direttamente causa di morte”. “Penso – conclude l’arcivescovo – che possiamo guardare a Nadia in questa luce e considerare la sua morte violenta come il vertice di una vita donata per amore dei poveri. Con la sua morte Nadia è diventata un dono non solo per i poveri di Chimbote ma per tutta la Chiesa e per tutta l’umanità”.

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