giovani

Silvia Rossetti

La parte più difficile dell’educare oggi pare essere il necessario momento dello “sconfinamento” tra la concretezza e la trascendenza. La platea attuale chiede che tutto ciò che viene insegnato, per essere realmente compreso, abbia radici concrete e codici di comportamento pratici. I ragazzi assimilano i contenuti se sono sorretti da indicazioni circostanziate e da spiegazioni deterministiche.

La nostra è una società tecnologica, imperniata sul “fare” più che sul “pensare”. Il pensiero ha un respiro corto, deve tenere il passo all’azione serrata e compulsiva. Per questo motivo diventa sempre più impervio il terreno dell’astrattismo e della speculazione intellettuale. Eppure è proprio in quella dimensione che si radicano gli ideali e i valori etici.

In un certo senso siamo diventati orfani del mondo delle idee. Nella “caverna” di Platone è calato il buio e non si vedono più le ombre. Siamo comunque rimasti in catene e pieni di domande inevase, di cui sembriamo perfino inconsapevoli.

Il respiro corto del nostro pensiero taglia dunque le gambe all’etica. E’ veramente difficile oggi spiegare ai giovani cosa è giusto e cosa non lo è, senza poter fare riferimento efficacemente ai fondamenti morali di queste categorie. Eppure tale indicazione continua a essere basilare nei percorsi di cittadinanza e di formazione dell’individuo.

Lo sbarramento del trascendente lascia comunque negli essere umani in piedi il desiderio di identificarsi in qualcuno o in qualcosa. Si continuano a cercare modelli di riferimento per poter avere contezza delle proprie azioni e confrontarsi sulle scelte personali. Oggi i modelli sono molteplici e anche piuttosto bizzarri: si spazia dagli influencer del mondo iconico-virtuale ai personaggi dello spettacolo, dai politici campioni di populismo ai geni della trasgressione e del male.

“Joker”, la recente pellicola di Todd Phillips, che tanto successo ha riscosso proprio tra gli adolescenti, fotografa questo vuoto etico. In uno scenario dominato dalla sofferenza, dalla solitudine e dal degrado esistenziale, il male diventa unica via di riscatto e inevitabile filtro (alterato) di interpretazione della realtà.

Quando manca il substrato valoriale tutto è nelle mani dell’uomo. Un po’ come nella politica prevalgono quindi i “personalismi”. Per questo motivo anche all’interno delle aule l’insegnante si ritrova “in solitudine” a governare la classe. Si determina una specie di dualismo che, in alcuni casi, può trasformarsi in antitesi: il docente, che incarna il modello educativo, e la classe, che dovrebbe essere argilla molle da plasmare. Il gruppo è orfano di riferimenti precisi, non ha una sua struttura predeterminata e l’insegnante ha l’occasione di incarnare immediatamente la figura del demiurgo. Non tutti i maestri, però, hanno la vocazione del demiurgo e questo gioco di ruoli può diventare estremamente sbilanciato e anche un po’ insidioso. Si rischia la “tirannide”.

Neppure la classe spesso ha la “vocazione” a farsi plasmare, gli elementi al suo interno si dimostrano recalcitranti. Quindi il percorso educativo assume i contorni della “scommessa”. Così, privato del mondo delle idee, il docente è sempre più un cane sciolto, un predicatore.

Serve davvero un sistema etico di riferimento in questa società così tecnologicamente avanzata? Oppure possiamo davvero cedere definitivamente il passo al fai-da-te della coscienza col rischio di innescare irreversibili meccanismi di svuotamento valoriale?

L’aspetto più devastante dell’odierno esistere è proprio questo collettivo senso di disorientamento, che poi è l’unico “sentire comune”. Il disorientamento emotivo e morale produce, nella migliore delle ipotesi, frustrazione e, nella peggiore, rabbia e desiderio di compensare le proprie fragilità spesso a scapito altrui.

Sarebbe importante tornare a costruire assieme un senso di appartenenza non di natura territoriale, ma di respiro ideale orientato alla costruzione del bene comune e alla ricerca di un equilibrio che permetta di riconoscere la propria e l’altrui identità attraverso le azioni.

Gli esseri umani, soprattutto i giovani, hanno bisogno di bussole per non perdersi.

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