“Ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica”. È una delle proposte contenute nel documento finale del Sinodo per l’Amazzonia, che ha ricevuto dai padri sinodali 128 “placet” e 41 “non placet”.

“Molte delle comunità ecclesiali del territorio amazzonico hanno enormi difficoltà di accesso all’Eucaristia”, si legge al n. 111: “A volte ci vogliono non solo mesi, ma anche diversi anni prima che un sacerdote possa tornare in una comunità per celebrare l’Eucaristia, offrire il sacramento della Riconciliazione o ungere i malati nella comunità”. “Apprezziamo il celibato come dono di Dio – si precisa poi nel testo – nella misura in cui questo dono permette al discepolo missionario, ordinato al presbiterato, di dedicarsi pienamente al servizio del Popolo santo di Dio. Esso stimola la carità pastorale e preghiamo che ci siano molte vocazioni che vivono il sacerdozio celibe”. “Sappiamo che questa disciplina non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, anche se possiede molteplici ragioni di convenienza” con esso, la citazione della Presbyterorum Ordinis: “Nella sua enciclica sul celibato sacerdotale, san Paolo VI ha mantenuto questa legge e ha esposto le motivazioni teologiche, spirituali e pastorali che la sostengono.

Nell’esortazione post-sinodale di san Giovanni Paolo II sulla formazione sacerdotale ha confermato questa tradizione nella Chiesa latina”. “La legittima diversità non nuoce alla comunione e all’unità della Chiesa, ma la manifesta e la serve, come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti”, il presupposto che motiva la proposta di ordinazione sacerdotale per i diaconi permanenti, anche con famiglia “legittimamente costituita e stabile”, purché “uomini idonei e riconosciuti della comunità” e in possesso di una “formazione adeguata per il presbiterato”.

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