Di Stefano De Martis

La politica italiana sembra procedere lungo due binari paralleli: da un lato è in atto una lunghissima rincorsa elettorale in vista delle politiche della primavera 2018, dall’altro si sviluppa l’attività di governo e parlamento che hanno davanti un’agenda piena di appuntamenti impegnativi, in alcuni casi addirittura decisivi. A ben vedere anche l’abnorme pre-campagna elettorale ha le sue scadenze intermedie. La prima è costituita dai referendum per una maggiore autonomia di Veneto e Lombardia (voluti dal centro-destra e soltanto consultivi, ma politicamente tutt’altro che irrilevanti), che il 22 ottobre interesseranno gli abitanti di quelle due regioni; la seconda, di ben altro peso effettivo, riguarda le elezioni regionali siciliane, in calendario il 5 novembre, con il Movimento 5 Stelle che già scalda i motori perché lanciatissimo nei sondaggi (ovviamente fino a prova contraria, dato che mancano quasi quattro mesi). Nel contempo l’agenda parlamentare annovera provvedimenti di importanza cruciale – dalla legge sulla concorrenza a quella sullo ius soli – e il governo deve far fronte a impegni da far tremare le vene ai polsi, basti citare la gestione del fenomeno migratorio e l’impostazione della legge di bilancio, che andrà presentata in autunno ma di cui si sta ragionando molto concretamente già da qualche settimana. Su entrambi i fronti, per giunta, è determinante anche l’interlocuzione a livello europeo.

In ogni caso, i due binari non rappresentano in sé una situazione eccezionale, quando in una democrazia sono in vista le elezioni. Eccezionale è la durata di questo percorso – a causa di quella sorta di campagna elettorale permanente che tiene costantemente in fibrillazione il nostro sistema politico – e la misura della separatezza tra i due binari. Il problema nasce dalla consapevolezza diffusa di come la realtà politica del Paese sia profondamente cambiata rispetto a quella rappresentata in parlamento. Sottolineare questo aspetto non vuol dire avallare la demagogia di chi sostiene che parlamento e governo sarebbero ormai illegittimi. Il primo è stato legittimamente eletto dai cittadini e il secondo gode la fiducia del primo e quindi è legittimamente in carica. Questo dice la Costituzione. Punto. Dopo di che è innegabile la sfasatura sostanziale della rappresentanza, le elezioni politiche del 2013 sembrano appartenere a un altro secolo. A far le spese di questa situazione è soprattutto il Pd, che è di gran lunga il partito più forte nell’attuale parlamento e si deve far carico – gliene va dato atto – di sostenere il governo, cercando allo stesso tempo di non appiattirsi su di esso per competere con il fuoco incrociato in chiave pre-elettorale di centro-destra e M5S, liberi di muoversi con molta più disinvoltura e con l’aspettativa di ribaltare i rapporti di forza nelle prossime Camere. Alcuni osservatori sostengono che il Pd farebbe bene a non smarcarsi troppo dall’esperienza dell’esecutivo Gentiloni, ma a puntare su di essa. Questa però è una scelta che riguarda quel partito e il suo leader. In questa fase, l’interesse degli italiani è che il governo in carica lavori nel miglior modo possibile nell’interesse del Paese.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *