Notte di San Lorenzo

Di Antonio Benigni

DIOCESI – Coniugare sport e fede è un’impresa davvero ardua. Lo sport, lo sappiamo, non dà la Fede, e la Fede è un dono che prescinde dallo sport.  Eppure è altrettanto evidente che le due sfere non si escludono, al contrario possono entrare in dialogo fecondo.

Sebbene dunque  nella  relazione tra  sport  e  Fede, sembra in molti casi di rimanere  appesi ad un filo, una riflessione merita di essere fatta, proprio a partire dalla sempre maggior considerazione che la pratica sportiva assume sia nel vissuto dei singoli che delle comunità.

Personalmente sono convinto che, quando uno sportivo vive e pratica coerentemente la fede in Dio, anche nello sport, ha una marcia in più.
Ma un cristiano può osare ancora di più: può impegnarsi nel mondo sportivo allo scopo di garantirne e promuoverne i valori etici e morali che professa abitualmente nella vita.

Anche nella presenza tra i professionisti, un cristiano può promuovere la persona umana

in tutta la sua ricchezza, può porsi a servizio della crescita e dell’educazione delle giovani generazioni.

San Giovanni Damasceno diceva che se un pagano ti chiede cosa sia la fede tu non rispondergli, ma prendilo per mano, portalo dentro la tua chiesa e mostragli le sue immagini, i suoi dipinti, le sue opere. La fede dunque non può essere spiegata, ma semplicemente raccontata, nella speranza che chi ascolta possa farne un’esperienza simile. E così il valore educativo etico e morale dello Sport, non può essere spiegato, deve essere raccontato attraverso il vissuto di “testimoni credibili”.

La Fede è una questione di “cuore”, di “testa” e di “volontà”. Una questione che impegna l’uomo nella sua totalità, e in questa totalità vi è anche la parte ludica, la quale non può essere lasciata a se stessa e considerata come un semplice svago, una evasione dalle occupazioni consuete. Sarebbe veramente da “fessi” sostenere che il ruolo del gioco e dello sport, sia relegato ad una azione di riposo e/o ricreazione.

In questa nostra epoca, in cui si avverte urgente l’esigenza di educare le nuove generazioni,  la Chiesa deve continuare a sostenere lo sport per i giovani, valorizzando appieno anche l’attività agonistica nei suoi aspetti positivi, come, ad esempio, nella capacità di stimolare la competitività,

il coraggio e la tenacia nel perseguire gli obbiettivi, evitando però, ogni tendenza che ne snaturi la natura stessa e due errori grossolani, due peccati presenti in talune comunità cristiane.

Il primo è la scelta di affidare i luoghi sportivi, espressamente costruiti con finalità pastorali, a società interessate solamente all’aspetto affaristico dello sport. O viceversa, da parte della società sportiva, il ritenere che la comunità cristiana non sia competente anche sui luoghi sportivi di cui si è dotata per educare i giovani.

Il secondo peccato, è l’esclusione dei dirigenti sportivi dalle comunità educative dell’oratorio o dai consigli parrocchiali. Significa negare la loro competenza educativa, rinunciare ad un valore aggiunto. O viceversa, assistere a contrapposizione sterili tra sportivi e catechisti o collaboratori. Dovremmo tutti ricordare che è un pessimo esempio dato a giovani. Screditare persone e progetti è un fallimento per tutti.

Attraverso le attività sportive, la comunità ecclesiale contribuisce alla formazione della gioventù, fornendo un ambito adatto alla sua crescita umana e spirituale.

Infatti, quando sono finalizzate allo sviluppo integrale della persona e gestite da personale qualificato e competente, le iniziative sportive si rivelano occasione proficua in cui sacerdoti, religiosi e laici possono diventare veri e propri educatori e maestri di vita dei giovani.

Questo è lo sport nel quale il Centro Sportivo Italiano si riconosce, almeno quello del nostro territorio. La proposta di una notte vissuta tra lo sport e la fede ci sembra percorra questa via e, senza tanti clamori, racconti semplicemente la voglia di una fede sportiva tra i giovani.

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