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Intervista a don Luca Censori: “Vi racconto la mia più grande gioia”

DIOCESI – Abbiamo intervistato il nuovo parroco in solido della Parrocchia San Giacomo della Marca di Ascoli Piceno, don Luca Censori, per conoscerne più da vicino il cammino umano e spirituale, la visione di Chiesa e le sfide pastorali del nostro tempo.

Dalle parole di don Luca emerge una vocazione nata nel silenzio e nella quotidianità della vita parrocchiale, cresciuta passo dopo passo tra il catechismo, l’Azione Cattolica e il servizio alla comunità, fino a diventare una scelta consapevole di dono totale. Il suo racconto è quello di una fede che non si impone, ma si ascolta; che non cerca risposte preconfezionate, ma si lascia interrogare dalla vita e dalle persone.

Come sei diventato sacerdote? Come è stata la tua chiamata?

Io quando parlo della mia vocazione faccio sempre la stessa battuta: io sono entrato in parrocchia quando ero piccolo, mi sono trovato bene e sono rimasto sempre qui, nel senso che ho cominciato la mia vita in parrocchia da piccolo. Avevo 8/9 anni quando ho cominciato il catechismo per la comunione e da lì ho iniziato altre esperienze, come l’ACR e poi ho fatto tutta la trafila associativa ricoprendo un po’ tutte le responsabilità possibili in parrocchia; così ho cominciato il mio cammino di consapevolezza. L’esperienza alla chiamata non è stata una cosa automatica, ma è stata l’evoluzione di un desiderio di servire un po’ più in profondità. Per me stare a contatto con i ragazzi e con la comunità parrocchiale è una cosa bella ed è per questo che l’ho fatto. Ad un certo punto, qualche anno dopo il diploma e dopo aver iniziato a lavorare, ho cominciato ad interrogarmi in maniera un po’ più profonda sul quale fossero i miei progetti di vita, i miei desideri di vita ed è stato quasi automatico pensare che potesse essere la mia strada: consacrare la mia vita per il servizio della Chiesa. Quando questa cosa è nata e quando ho cominciato ad avere qualche domanda, allora è stato lì che il tutto divenne un mettersi in ascolto e farsi accompagnare per capire se fosse questa la scelta giusta, un vero e proprio discernimento. Dopo, inevitabilmente sono emerse le prime resistenze e fatiche, sono stato messo davanti agli spigoli più difficili del mio carattere che rendevano la scelta difficile; in questa situazione, ho veramente dovuto imparare a fidarmi, fidarmi di qualcuno che mi chiamava, ma anche della mia comunità. I miei primi tempi di discernimento li ho vissuti nella riservatezza: lo sapevano don Bernardo e don Daniele, che all’epoca era viceparroco di don Bernardo e mi accompagnava lui. È stato un cammino, inizialmente, molto silenzioso, poi è arrivato, gradualmente, un “” alla strada del seminario. Penso di aver davvero incontrato Dio durante la mia esperienza in seminario, ho capito che il Signore ha chiamato me non per convertire gli altri, ma per convertire me.

Cosa significa la fede per te? Come la vivi quotidianamente?

Per me la fede è fidarsi della vita; se noi crediamo in un Dio che è fatto di carne, significa anche che crediamo in un Dio che è entrato nella storia degli uomini, nella storia di tutti e di ciascuno di noi. Insomma, la fede è fidarsi della storia che lui fa con noi e della vita in cui ci mette degli incontri di cui dobbiamo fidarci. Chiaramente poi ci vuole sempre quel salto in più, quell’affidamento in più per fidarsi fino in fondo, perché poi arrivano paure e dubbi così come gli intoppi ed i vicoli ciechi che s’incontrano; però fede vuol dire fidarsi che questa vita, questo tempo, questo luogo fanno parte di una storia in cui Dio si fa riconoscere.

Come vedi il ruolo della Chiesa nella società moderna?

La Chiesa, oggi, è chiamata ad abitare la società, ma, soprattutto, è chiamata a cercare alleati. Per tanto tempo la Chiesa ha cercato di costruirsi il suo mondo, i suoi ambienti, spesso anche cercando di porsi come alternativa alla realtà, soprattutto a quella sociale. Ad oggi dico che questo processo, per fortuna, si è interrotto; infatti, siamo chiamati a cercare alleanze, comprendere qual è il nostro ruolo, cos’è che aggiungiamo alla storia di questo mondo ed al cammino delle società in cui viviamo ed in cui ci incarniamo in maniera concreta. L’alleanza, in questo tempo, è il segno della presenza di Dio nella società: Dio non ha mai cercato l’opposizione, ma l’alleanza; infatti, è l’alleanza biblica la categoria fondamentale per comprendere il rapporto tra Dio e l’uomo. Ad oggi, secondo me, se la Chiesa vuole dimostrare chi è Dio, allora deve mostrarsi disponibile a questa alleanza, perché è questo, a mio parere, il suo modo di testimoniare un Dio presente e non lontano.

Come gestisci lo stress e la pressione nel tuo ruolo?

Ho imparato a ritagliarmi i miei spazi, cioè, ho imparato subito, fin dall’inizio del mio ministero, sia a saper dire anche tanti “no”, perché è fondamentale per comprendere il limite delle energie che posso spendere; infatti, il rischio che si corre, quando non ci sono i tempi per ricrearsi, è quello di comunicare fatica e stanchezza oltre che di comunicare solo con sé stessi. Dal momento che il ministero di un prete chiede di comunicare un altro, che non siamo noi, allora servono il tempo del riposo, della preghiera e di coltivare amicizie non funzionali al nostro servizio. Quest’ultimo aspetto è fondamentale per me, perché il rischio per un prete di coltivare relazioni unicamente funzionali al servizio è quello di frequentare unicamente quelli che fanno cose in parrocchia, riunioni e basta. D’altro canto, è sano e necessario stare con una persona solo per il gusto di starci, stare con un amico, andare in un posto con una persona perché si vuole andare in quel posto ed altri esempi così. Se il Signore si fa presente in questo mondo e nelle nostre relazioni, non lo fa solo quando siamo a fare una riunione o quando stiamo svolgendo un impegno pastorale, ma si fa conoscere in tutti i luoghi e vuole stare, in questi luoghi, con noi.

Come mantieni la tua spiritualità e fede in un mondo che cambia rapidamente?

La fede è sempre quella, la parola di Dio è sempre quella, la sua storia è sempre quella così come la sua volontà. Poi sei tu che cambi e tu devi adeguare la tua mente ed il tuo credere a seconda delle situazioni. C’è una fede storica, ovvero la storia di Gesù nel mondo, la sua predicazione, la sua rivelazione e la predicazione dei suoi discepoli; questo si tratta di un deposito storico. Noi siamo chiamati a vivere questo deposito in base al mutare delle mie condizioni di vita: come muta la mia vita, il mio credere si deve adattare; questa è l’incarnazione: la fede si incarna nella vita concreta.

Come vedi il ruolo della parrocchia nella comunità? Quali sono le più grandi sfide che la tua parrocchia affronta oggi?

Posso rispondere ad entrambe le domande con “dipende”: non esistono territori uguali. La parrocchia ha una missione semplice, ovvero essere presenza della chiesa locale in un territorio specifico, dobbiamo ricordare che la chiesa locale è la diocesi, è una comunità che vive attorno al vescovo; poi, visto che il territorio è grande, la diocesi si fa presente e capillare nel territorio tramite le parrocchie ed i parroci che sono collaboratori del vescovo. La parrocchia non è solo quella che rende presente Dio, ma è anche, soprattutto, quella che è chiamata a riconoscere la presenza di Dio in quel territorio, nelle storie delle persone che abitano quel territorio, dal momento che la comunità è fatta di persone. Quindi il ruolo della parrocchia dipende dal mondo in cui quella parrocchia, il parroco che le presiede e le persone che gravitano attorno ad essa riconoscono Dio all’interno dell’agenda di quel territorio. È normale che ogni comunità abbia una storia a sé, poiché diverse sono le persone che la compongono, è perciò un rischio grosso pensare ad un modello unico; ci sono chiaramente delle cose che ritornano: eucarestia, vicinanza, vivere la carità e educare i giovani alla vita cristiana, ma conta soprattutto la creatività. Si potrebbe dire che lo Spirito Santo quasi si “diverta” mettendoti davanti alle condizioni più strane e se tu crei un unico modello allora taglieresti davvero le gambe alla missione della parrocchia su quel territorio. La prima cosa da fare è aprire gli occhi ed ascoltare con attenzione, arriveranno poi delle sorprese che spesso non potevi prevedere, ma molto spesso sono quelle le cose più positive.

Quali sono i temi teologici più importanti per te ad oggi?

Mettiamolo così, faccio questo lavoro che è legato al mio lavoro di tesi, la Chiesa ha un grande bisogno di interrogarsi su cosa significa accompagnare le persone dentro una ricerca. Se noi veniamo da un sistema in cui la cristianità funzionava da fattore unitario a livello sociale, sistema che è finito, adesso ci troviamo in un altro sistema sociale in cui le persone hanno bisogno di essere accompagnate ed essere aiutate a cercare e la tentazione più grande da vincere è quella di proporsi come risposta unica e totale a quella ricerca. La Chiesa deve vincere questa tentazione ponendosi nel modo da essere accompagnatrice nella ricerca, non soluzione unica. Il punto è: qual è il modo in cui io e te possiamo essere entrambi alla ricerca di Dio facendo in modo che uno contribuisca il cammino dell’altro? Qui la Chiesa deve porsi, diventando un compagno di strada degli uomini e delle donne del suo tempo, non come quella che pretende d’imporre una modalità di guardare al Signore, anche perché questo si fa più forte quando accompagni i giovani che, in certe formulazioni pre-imposte, fanno fatica a starci per quanto corrette o condivisibili possano essere. È qui che si pongono due scelte: imporre, ma non funziona più, o farsi compagno di strada, cosa che però dev’essere messo a tema, perché sennò rischia di diventare molto “raffazzonato” e rischia di arrivare poi a sostenere che alla fine va bene tutto. Invece dobbiamo mantenere la barra dritta e ricordarci di appartenere ad un cammino di fede più grande di noi e di difenderlo.

Come vedi il rapporto tra la Chiesa e le altre religioni?

Devo essere sincero, come comunità ecclesiale, fatico a cogliere punti di contatto, non saprei trovare situazioni concrete. La sfida più grande che ci viene fatta in questo tempo è quella di trovarci in un contesto di multiculturalismo ed un grande lavoro è fatto dagli insegnanti; anche dei confratelli che stanno a scuola che si trovano a fare l’ora di religione con presenti ragazzi non cristiani e devono affrontare una sfida culturale importante. C’è bisogno di un contatto che sia rispettoso di sé e dell’Alto rispettando entrambe le posizioni; quindi, senza stare a raccontare storielle varie, senza far finta che siamo tutti uguali, perché poi, al momento della sintesi, è ovvio che le posizioni siano diverse. La sfida è quella di sapersi pensare all’interno di un mondo più ampio, soprattutto sapersi immaginare dentro ad un contesto in cui, ad un certo punto, la croce potrebbe non essere più un fattore di unità come lo è stato per tanto tempo, e questa cosa non è un problema, perché la nostra fede non è fattore di unità sociale, politica o nazionale; fortunatamente siamo in un tempo in cui, attorno alla croce, si riconosce chi vuole intraprendere un cammino da cristiano e speriamo sia sempre più così. Forse il contesto multiculturale che sta nascendo ci aiuta a purificare la nostra presenza nel mondo, a ritrovare in maniera più chiara il senso del nostro stare qui.

Cosa ti dà più gioia nel tuo ministero?

A questa domanda rispondo nello stesso modo in cui risposi quando, al mio primo discernimento, mi venne chiesto perché volessi diventare prete: mi affascinava il fatto che il prete, per il minstero che serve, incontra le persone nei passaggi di vita; infatti, è presente al momento della nascita, nei passaggi di comunione e cresima e nel momento del lutto. Guardare i passaggi di vita delle persone, guardare come anche dentro quei passaggi di vita si faccia presente la grazia di Dio è un’esperienza bellissima. Di questo ne fai quotidianamente esperienza con la confessione. Tale grazie spesso di pone, quando è forte o sentita, nei passaggi di vita più delicati delle persone come lutti o fallimenti grossi ed assistere in prima persona a questi momenti è la parte più bella.