ASCOLI PICENO – Andrea Viozzi, professore di Lettere e di Storia dell’Arte presso il Liceo delle Scienze Umane dell’Istituto San Giovanni Battista di San Benedetto del Tronto, nonché docente di Archeologia e Storia dell’Arte Sacra alla Scuola di Formazione Teologica della Diocesi di Ascoli e della diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, ha collaborato con don Francesco Guglietta e Simona Massari all’allestimento della mostra di Arte Sacra e Contemporanea ospitata nella chiesa di San Vittore ad Ascoli Piceno, curata da Giuseppe Bacci.
L’intervista è stata l’occasione per entrare nel “dietro le quinte” dell’esposizione, approfondendo il lungo e articolato lavoro di ricerca, progettazione e collaborazione che ha reso possibile la realizzazione della mostra.
Fino al 6 gennaio la struttura sarà aperta al pubblico sia al mattino che al pomeriggio, con orari 10:30–12:30 e 15:00–17:00.
A partire dal 6 gennaio e fino alla fine del mese, le aperture proseguiranno nei fine settimana e su prenotazione. Le visite saranno guidate dalle guide dell’Ufficio Beni Culturali o, quando disponibile, dallo stesso Giuseppe Bacci. L’ingresso è libero.
Leggi l’articolo sull’inaugurazione della mostra: https://www.ancoraonline.it/2025/12/16/foto-diocesi-del-piceno-mostra/
Come nasce la mostra?
La mostra nasce da un’intuizione del vescovo Gianpiero Palmieri, uomo amante della bellezza intesa come via pulchritudinis, che, grazie allo scultore ascolano Giuliano Giuliani, ha avuto modo di conoscere Giuseppe Bacci, il responsabile del Museo Stauròs, situato presso il Santuario di S. Gabriele (TE). Già da tantissimi anni Bacci organizzava biennali d’arte Sacra e Contemporanea; tuttavia, erano passati molti anni dall’esposizione dell’ultima biennale (2012).
Parlando con Giuliani e, dopo aver conosciuto Bacci, Sua Eccellenza ha pensato di ripartire con questa biennale di arte Sacra cercando, in questa occasione, di far collaborare due realtà diverse: il Museo Stauròs e la Diocesi di Ascoli Piceno – San Benedetto – Ripatransone – Montalto.
Dal mese di giugno, una volta finito il mio lavoro a scuola, ho iniziato a prendere parte a delle riunioni organizzate in Curia dal vescovo Palmieri assieme a Bacci e a Giuliani e così, con il tempo, abbiano iniziato a pensare alla mostra, in particolare dove allestirla e come. Per quanto riguarda la parte abruzzese era chiaro che le meravigliose sale del Museo Stauròs sarebbero state il luogo ideale per ospitare la mostra; invece, per quanto riguarda Ascoli, poiché l’ex Seminario non era ancora stato ristrutturato, si è pensato alla chiesa di S. Vittore, affascinante bomboniera romanica contenente, al suo interno, meravigliosi affreschi con iconografie molto particolari risalenti al XIV-XV secolo. Questo connubio tra antico e contemporaneo ci è piaciuto molto e, per questo, abbiamo deciso di allestire la mostra all’interno della chiesa romanica ascolana, dove si può dire che la parte storica la troviamo sia nel contenuto che nel contenitore e dove, seppur con 700 anni di distanza, i due periodi storici si valorizzano molto bene tra di loro andando a creare un affascinante dialogo iconografico.
Com’è stata allestita?
Con uomini di buona volontà. Bacci, con altri suoi collaboratori, dopo i primi giorni è stato impegnato ad allestire in Abruzzo, mentre io, Giuliano Giuliani e altri suoi collaboratori eravamo ad allestire presso la chiesa di S. Vittore. Giuliani, ormai avvezzo alle sue esposizioni d’arte contemporanea ha un occhio allenatissimo ed insieme ci siamo confrontati e abbiamo scelto di allestire le opere in un modo piuttosto che in un altro, affinché tra di loro ci fosse il miglior dialogo possibile. Ringrazio tutti i nostri collaboratori che hanno aiutato me e Giuliano ad allestire tutta la mostra, uomini mossi dalla passione e dall’amore per il sacro e per l’arte e che si sono resi disponibili per allestire tutte le opere. La parte della pannellatura è stata fatta da Bacci e da Giuliani, poi Giuliano ha iniziato ad allestire le opere; io, invece, mi sono aggiunto negli ultimi giorni a dare una mano affinché per il 13 pomeriggio fosse tutto pronto per l’inaugurazione. La data del 13 non è stata scelta a caso: è il giorno di S. Lucia che richiama al tema della luce che è parte di una delle 5 sezioni della mostra.
L’allestimento si completa con un catalogo ricco di apparato iconografico con, all’inizio, la presentazione della lettera scritta da Sua Eccellenza intitolata “Profeti di speranza, creatori di bellezza”, poi c’è la parte intitolata “Educare alla speranza, educare alla bellezza” di Vincenzo Fabbri, responsabile del Museo Stauròs, ed infine c’è il testo di Giuseppe Bacci.
Perché è importante visitarla?
È importante visitarla perché una mostra d’arte Sacra e Contemporanea è una mostra che reinterpreta, con un linguaggio figurativo attuale, temi legati all’aspetto del Sacro e perché tutte le mostre di arte Sacra e Contemporanea, ben pensate, curate ed allestite, esplorano fede e teologia in modo diverso, andando a trasformare simboli e luoghi sacri in una sorta di memora della storia di Dio. Così l’arte diventa un ponte di collegamento tra il contemporaneo ed il trascendente che permette di parlare all’uomo di oggi, in particolare al suo Io più profondo.
Molti pensano che l’arte Sacra Contemporanea non esprima più il concetto del Sacro, ma non è così; infatti, essa reinterpreta le dimensioni spirituali ed i temi religiosi usando simboli visivi moderni. Affronta, inoltre, questioni esistenziali che fanno parte della vita dell’uomo di oggi ed è una tipologia di arte che riscalda il cuore sia del credente che del non credente. È una sorta di dialogo tra la tradizione e quei temi legati al presente; avviene, così, un superamento dei modelli iconografici tradizionali con l’esplorazione di simboli e linguaggi diversi che, però, vanno a confluire nella Fede di ciascuno di noi permettendoci di dar vita a questo dialogo che non si è mai interrotto.
Qual è il pubblico di riferimento di questa mostra?
Tutti, anche se l’arte contemporanea richiede un’attenzione particolare avendo un canone estetico diverso da quella classica. Credo che l’arte contemporanea possa avere un target più giovanile, penso anche alla scuola primaria soprattutto per l’uso espressivo di colori e forme così come le scuole secondarie di I e II grado; non bisogna, tuttavia, escludere il pubblico adulto, soprattutto se, come nel caso della chiesa di S. Vittore, si ha la possibilità di essere affiancati da visite guidate che, chiaramente, sono messe a disposizione a titolo gratuito. Questo perché è necessario, in un conteso di arte contemporanea, avere a disposizione una guida che ti aiuti ad entrare all’interno dell’opera, perché, laddove l’estetica è diversa, hai bisogno di una guida che ti affianchi e ti permetta di capire fino a fondo il significato dell’opera.
Secondo me il target abbraccia le scuole primarie fino agli istituti superiori, ma, in generale, davvero chiunque potrebbe visitare la mostra.
La mostra si articola in 5 sezioni di cui il fil rouge è il tema della speranza: la prima affronta il tema della luce, la seconda quello della pace, la terza quello dei profeti di speranza, la quarta quello dei creatori di speranza e la quinta gioca sul dialogo tra le culture.
Come si può interagire con la mostra?
La mostra è visitabile, presso S. Vittore, fino a fine gennaio. Gli orari di apertura sono, a partire dal 20 dicembre, sia la mattina che il pomeriggio fino al 6 gennaio. Dal 6 gennaio fino a fine mese la mostra sarà aperta nel fine settimana su prenotazione, soprattutto per le scuole. I numeri da contattare, per le scuole, sono sia sull’apposito manifesto sia sul sito delle Diocesi. Si può usufruire di visite guidate, messe a disposizione dall’Ufficio dei Beni culturali, oppure anche del curatore in persona, Giuseppe Bacci. Non ci sono audioguide, ma guide in carne ed ossa, preparate da Simona Massari e, come dicevo prima, dall’Ufficio dei Beni Culturali. C’è anche la possibilità, inoltre, di poter godere degli affreschi, portati alla luce da un precedente restauro negli anni ’90, e, di recente, nuovamente restituiti agli antichi splendori come l’intero edificio romanico post sisma.
Come si può riflettere sulla mostra e sul suo significato?
Attraverso la mostra si ha la possibilità di riflettere sul rapporto tra l’uomo e il trascendente attraverso il tema della speranza. Quando abbiamo pensato alla mostra, abbiamo riflettuto su come scegliere delle opere che potessero spingere il visitatore a riflettere. L’arte, come dicevo, diventa un ponte tra fede e speranza: attraverso le opere distribuite nelle diverse sezioni si ha la possibilità di trasmettere ai visitatori il tema della bellezza. Tornando al tema della speranza, recentemente ho riflettuto sul fatto che la parola speranza in ebraico si dice tikvah, parola che presenta la stessa radice delle parole corda, raduno e raccolta, termini che indicano una sorta di cammino, un cammino esistenziale che l’uomo intraprende per entrare in relazione con Dio. Queste tre parole si possono riassumere nello scopo che ci siamo dati per questa mostra: radunare artisti laici e credenti uniti dalla stessa corda, all’interno del percorso espositivo. Tengo a ricordare che Papa Francesco tenesse a precisare che la speranza fosse rivolta a tutte le categorie di persone, soprattutto chi è messo alla prova nelle sofferenze di tutti i giorni.
Progetti per il futuro?
Il giorno della presentazione Sua Eccellenza ha ribadito il suo rendersi disponibile a progettare la XVII Biennale. So che il Vescovo Palmieri, sia al momento della conferenza stampa che il 13 stesso, ha ribadito che, durante l’estate, la sua intenzione sarà quella di richiamare la mostra, soprattutto in ambito scultorea anche all’interno della Diocesi di San Benedetto del Tronto usufruendo, per questo, della chiesa di S. Lucia a Grottammare. La biennale, dunque, non finirà a gennaio, ma avrebbe un piccolo colpo di coda questa estate con questa piccola mostra che celebrerà la scultura sacra contemporanea nella città che ha dato i natali al grande scultore Pericle Fazzini, autore, fra l’altro, del meraviglioso gruppo scultoreo della Resurrezione in Aula Paolo VI in Vaticano (1970-75).
