
Di Ilaria de Bonis
“Penso che oggi ci siano al mondo due minacce importanti e incombenti sulle quali concentrarci: la guerra e il disastro ecologico, che sono allo stesso tempo una opportunità e una tragedia”. Il tempo stringe e per far fronte ad entrambe non abbiamo più molta scelta: “Dobbiamo unirci, e necessitiamo di qualcosa che i mercati non possono fare, un progetto politico. Altrimenti assisteremo a un crollo della società e della sicurezza”. Ad affermarlo è un sacerdote-economista, vulcanico e davvero alla mano: Gaël Giraud, nato a Parigi nel 1970, ex trader finanziario, convertitosi a una visione del mondo che capovolge completamente la piramide e le priorità.
Cambiamento radicale. Parlare con Giraud è impegnativo e stimolante: la sua mente brilla e il ragionamento si muove tra filosofia, economia e religione. Per Giraud, oggi, l’importanza dei mercati è marginale. Mette l’uomo al primo posto e ridimensiona di molto il ruolo “degli dei” inventati dal capitalismo: ossia i mercati finanziari, sopravvalutati e resi idoli. “Sono solo uno strumento piccolo – precisa – per poter cambiare delle cose. L’economia non dovrebbe essere assolutizzata come se i mercati potessero tutto, perché questo non è vero”. Siamo noi a tenerli in pugno, dice, e questa è la sua rassicurante certezza: grazie alla politica possiamo regolamentarli e uscire dal baratro nel quale ci siamo infilati da soli. Tuttavia, l’economista tiene bene i piedi per terra e non si lascia incantare dall’utopia senza concretezza.“Questo è un tempo tragico – afferma –, dove c’è la possibilità di un crollo assoluto ma è anche un tempo mitico, dove è possibile un cambiamento radicale”.Secondo il gesuita siamo di fronte a un bivio, ad un turning point: il rischio guerra e il rischio disastro climatico sono talmente concreti che di fronte all’eventualità dell’estinzione totale (una moderna riedizione del diluvio universale), “l’uomo può decidere se soccombere oppure operare un’inversione di rotta”. La Bibbia ci parla spesso di nuovi inizi e nuove creazioni. Giraud afferma, con una calma e un sorriso sconcertanti, che “abbiamo vissuto un sogno completamente fasullo, nel quale pensavamo che fosse possibile vivere per sempre in un’economia liberale che si esalta con la privatizzazione”. L’errore è oramai sotto gli occhi del mondo: “Io vedo che molti economisti che abbracciano o abbracciavano un’ideologia neo-liberale oggi pensano di fare marcia indietro”.
Capitalismo, giorni contati. I teorici e gli economisti che hanno benedetto il capitalismo, dunque, si sarebbero “pentiti”? Stando al gioco di una terminologia mutuata da altri contesti, fa riferimento a nuovi “credo”. Sembra che dal punto di vista dei pensatori liberal, il neo-liberismo “sia già decretato come fallito”. Ma “è la classe politica che deve convertirsi, perché questa è una conversione del cuore”, afferma Giraud. Il linguaggio del gesuita comprende da sempre, non a caso, espressioni mutuate dalla religione e applicate all’economia. Nel libro scritto a quattro mani con Felwine Sarr, “Un’economia indisciplinata, riformare il capitalismo dopo la pandemia”, il gesuita dice: “Uscire dal capitalismo è sconfessare il credo che vorrebbe che tutto possa diventare un capitale”. E ancora: “Capitalizzare è una sorta di transustanziazione inversa: trasformare una foresta, una macchina, un’opera d’arte, e un essere umano, in capitale». Ma il giochetto non funziona più. “Le popolazioni – afferma Giraud – lo hanno capito molto prima dei politici”.La “gente normale” si è convertita più di chi la governa e anche più di chi la usa come meri consumatori di prodotti.“Io ho lavorato nella finanza come trader e so bene che un’azienda non dovrebbe ricevere il permesso di operare se non partecipa a un obiettivo sociale-politico. E questo obiettivo va deciso assieme”. Sentirlo in diverse occasioni e nei discorsi pubblici, smontare una ad una le basi del capitalismo ancora in auge (compresa l’idea della proprietà privata) è una novità per molte orecchie, poiché Giraud lo fa unicamente da una prospettiva cristiana e post-ideologica. Impossibile accusarlo di essere un marxista fuori dalla storia. Per andare ancora di più al nocciolo della questione, come facciamo concretamente – gli chiediamo – a mettere fine a un’epoca così disumanizzante? Dobbiamo attendere che il capitalismo imploda? “Spero proprio che saremo più intelligenti e non dovremo aspettare la fine del capitalismo per invertire la rotta!”, risponde.
Il petrolio agli sgoccioli. “Non si può crescere all’infinito e non c’è possibilità di crescita senza aumento del flusso di petrolio – argomenta –, ma il greggio ha già raggiunto il picco e stiamo raschiando il fondo del barile…”. Se il petrolio è l’anima del capitalismo moderno (come il carbone lo era dell’economia industriale dell’800) e il petrolio è sul punto di finire, allora il capitalismo sta per cadere e cadrà da sé, ne deduciamo. “Il capitalismo è strettamente legato al petrolio – afferma Giraud –: senza aumento degli idrocarburi non c’è crescita”.Secondo l’economista, se dovessimo aspettare la fine naturale del capitalismo dovremmo “attendere non più di dieci anni”, perché questa è la durata del residuo di petrolio ancora da estrarre per far girare la macchina capitalistica. Ma la buona notizia è che “c’è già un picco non convenzionale, che escludendo il fracking (ossia l’estrazione di petrolio dalle rocce, ndr) è stato già raggiunto nel 2006. Quindi non c’è possibilità di una crescita ulteriore”. E per concludere, quindi, su cosa dovremmo spingere in questi anni per seguire una strada più saggia? “Sulla decarbonizzazione”, dice. A partire dalle politiche dell’Unione europea. Cosa assolutamente fattibile se solo si volesse farlo. “Si tratta di mettere assieme energia rinnovabile e agricoltura sostenibile e i costi non sono così elevati come pensiamo. Secondo gli studi compiuti dal think tank che dirigo, l’Istituto Rousseau, costerebbe il 2,3% del Pil dell’Ue ogni anno fino al 2050. E di certo costerebbe meno del pacchetto del Rearm Europe”. “Se decidiamo di convertire il petrolio in energie pulite, decarbonizzando, ce la possiamo fare, ma noi non abbiamo ancora mai iniziato davvero la transizione ecologica: ne parliamo da 15 anni senza farla”.
Come superare la proprietà privata?
Gaël Giraud ha scritto decine di libri in questi anni. L’ultimo, Costruire un mondo comune. E Dio non benedisse la proprietà privata, è pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana e Piemme (2025). E si tratta di un appello a una nuova economia, fondata sulla collaborazione e sul superamento del capitalismo, promuovendo una “rivoluzione dolce” ed ecologica, attraverso un cambio di prospettiva. Nel testo l’autore mette in gioco il concetto di “bene comune” considerato assolutamente centrale “per comprendere il piano escatologico di Dio, per lavorare insieme e per costruire istituzioni democratiche solide”.