SAN BENDETTO DEL TRONTO – In occasione del 120° anno dalla morte di padre Giovanni dello Spirito Santo, al secolo Giacomo Bruni, l’arcivescovo Gianpiero Palmieri ha voluto incontrare i cresimandi della Vicaria che porta il suo nome, nella chiesa di San Benedetto martire, dove dal 1985 sono conservate le spoglie del giovane passionista, morto a 23 anni e dichiarato venerabile il 9 Giugno del 1983 da papa Giovanni Paolo II.
Alle ore 18:00 di ieri, 12 Dicembre 2025, si sono quindi ritrovati presso la chiesa abbaziale del Paese Alto di San Benedetto del Tronto, numerosi giovani cresimandi appartenenti alle parrocchie della Vicaria “Venerabile padre Giovanni dello Spirito Santo”: la comunità di San Niccolò di Acquaviva Picena, la comunità di San Savino di Ripatransone e le comunità del centro-nord di San Benedetto del Tronto, comprendenti quelle della Madonna del Suffragio, di Sant’Antonio di Padova, San Benedetto Martire, San Filippo Neri, San Giuseppe, Santa Maria della Marina e di San Pio X.
La Santa Messa, che è stata presieduta da mons. Palmieri, è stata concelebrata da don Patrizio Spina, vicario generale della Diocesi Truentina, don Romualdo Scarponi, parroco emerito della comunità di Santa Maria della Marina, e don Giovanni Rossi, giovane presbitero ed attuale collaboratore della parrocchia di San Filippo Neri. Ad animare la Messa con il canto e la chitarra, è stato don Guido Coccia, vicario della Vicaria “Venerabile padre Giovanni dello Spirito Santo” e parroco della comunità di San Benedetto martire.
Vigilare per riconoscere il Signore che passa …
Queste le parole che il vescovo Gianpiero ha rivolto ai giovani cresimandi e a tutti i presenti: “Una delle parole più importanti dell’Avvento è ‘Svegliati!‘. La vigilanza, però, non è una questione di occhi, ma una questione di cuore. Vigilare significa stare attenti alla realtà: non vivere di illusioni o stare con la testa da un’altra parte, bensì stare attenti alla realtà, perché la realtà contiene Gesù, parla di Gesù. Vigilare, allora, significa stare attenti a quello che ci circonda, per cogliere la chiamata che Dio ci fa”.
Mons. Palmieri ha poi proseguito commentando il Vangelo ed evidenziando come all’epoca Gesù sia passato tra gli uomini, ma questi non lo abbiano riconosciuto: “Gesù si faceva invitare dai peggiori della città, come Matteo o Zaccheo, per annunciare loro la misericordia di Dio. Amava ripetere: ‘Misericordia io cerco, non sacrifici’. Però gli altri del suo tempo dicevano di Lui che fosse un mangione e un beone, uno che trascorreva il suo tempo con altri peccatori, uno della peggiore specie. Ecco, questo è il rischio che corriamo tutti: Dio passa e non te ne accorgi. Ti fermi al pettegolezzo, che nega Dio e la sua azione e vede solo il male. Hai il cuore duro, il tuo sguardo è stato cieco al passaggio di Gesù”.
… Attraverso qualcosa che resta nel cuore
Il vescovo Gianpiero ha quindi indicato tre aspetti in cui Dio può presentarsi a noi: “Dio ha tanti aspetti.
Prima di tutto Dio passa attraverso qualcosa che ti rimane nel cuore: un brano del Vangelo, un discorso ascoltato a catechismo, la testimonianza di un adulto o magari un’esperienza vissuta in prima persona (in Caritas, in parrocchia, …). Mi vengono in mente le vocazioni di Giovanni e Francesco (n.d.r. don Giovanni Rossi e don Francesco Bollettini), che sono divenuti presbiteri poche settimane fa. Entrambi, quando mi hanno raccontato come sia nata la loro vocazione, mi hanno detto: ‘C’è stato qualcosa che mi è rimasto nel cuore. All’inizio mi è sembrata una suggestione, poi è diventato un pensiero ricorrente e alla fine ho capito che era il Signore che passava’.
… Attraverso una persona povera e sofferente
In secondo luogo, il Signore passa soprattutto attraverso una persona povera e sofferente che mi è accanto. Poco tempo fa, mentre ero a Lourdes, una signora è venuta a chiedermi se potessi parlare con Marco, un giovane malato di sla che comunica solo con gli occhi. Pensate, attraverso una speciale strumentazione tecnologica, Marco muove lo sguardo su alcune lettere, che vanno a comporre una parola, che a sua volta andrà a comporre una frase. Potremmo pensare che Marco sia il più infelice degli uomini. Ma, se lo vedeste, la smetteremmo di dire che queste persone dovrebbero ricorrere all’eutanasia, perché Marco ha davvero tanta voglia di vivere.
… Attraverso l’ascolto della Parola
Il Signore infine passa tutti i giorni in questa Parola che abbiamo appena ascoltato. Tu hai questa Parola tutti i giorni a casa, se hai il Vangelo. Questa Parola ogni giorno viene letta in tutto il mondo, per tutta la Chiesa Universale. Davvero la Parola del Signore ha tanto da dirci e, se letta tutti i giorni, diventa la strada per un cammino spirituale molto ricco”.
L’esempio del Venerabile padre Giovanni dello Spirito Santo
Ha infine concluso mons. Palmieri: “Padre Giovanni ha preso talmente sul serio il Signore che passa, che si è lasciato plasmare dallo Spirito Santo così tanto da diventare padre Giovanni dello Spirito Santo! Chiediamo allora al Signore di rendere anche noi capaci di riconoscere il Signore che passa nella nostra vita, di riconoscerLo con i nostri occhi, ma soprattutto con il nostro cuore”.
Al termine della Messa, il vescovo Gianpiero ha invitato tutti i cresimandi presenti a recarsi davanti alla tomba del Venerabile padre Giovanni dello Spirito Santo per pregare il giovane passionista sambenedettese, esempio di vita e di fede.
Nato l’8 Agosto del 1882 a San Benedetto del Tronto, il piccolo Giacomo aveva due genitori ricchi di fede: il padre, Giuseppe Bruni, che esercitava il mestiere di fabbro in un’angusta bottega al piano terra, era iscritto a due confraternite parrocchiali e ne osservava fedelmente gli impegni; la madre, Maria Antonia Marconi, che badava ai nove figli, era stimata “come una santa” ed ogni giorno partecipava alla Messa. Giacomo era l’ottavo.
Come era usanza del tempo, fu battezzato il giorno successivo alla nascita e cresimato appena un anno dopo. Iscritto a tre anni all’asilo tenuto dalle Suore di San Vincenzo de’ Paoli, oggi chiamato “Scuola dell’Infanzia Merlini“, Giacomo perse presto cinque fratelli. Alla Scuola Elementare ottenne la medaglia d’argento. In casa si addossava e spesso gli addossavano anche colpe non sue, prendendosi i relativi rimproveri e castighi.
Aperto all’amicizia, fu protagonista delle solite birichinate compiute dai bambini. Si abituò al lavoro nella piccola ed annerita bottega paterna. Entrò a far parte della banda comunale dove suonava il clarinetto. Oltre a svolgere con devozione il servizio di chierichetto nella sua comunità, Giacomo iniziò a frequentare anche la parrocchia “Madonna della Marina”, dove incontrò don Francesco Sciocchetti, il quale lo iscrisse tra i “Luigini” (pia unione nata in onore di San Luigi Gonzaga). Accortosi della sua particolare predisposizione alle pratiche di pietà, il canonico don Pietro Panfili per quasi tre anni, durante il giorno, lo ospitò nella sua casa insieme ad altri ragazzi che mostravano propensione per la vita sacerdotale. Don Pietro seguì ed aiutò la loro preparazione scolastica, impartendo nozioni anche di Latino. Giacomino fece progressi consistenti, tanto che il parroco lo nominò, appena dodicenne, insegnante supplente nelle scuole serali per adulti istituite in canonica.
A 12 anni, nel 1894, Giacomo fece la Prima Comunione, pensando già alla vita sacerdotale e missionaria. Ma incontrò non pochi ostacoli, a cominciare dai suoi familiari, i quali inizialmente non furono particolarmente contenti in quanto la vocazione richiedeva non pochi sacrifici economici: all’epoca, infatti, i ragazzi costituivano solide braccia per le attività artigianali o agricole dei genitori. Ciò nonostante, di fronte alla determinazione del giovane, la famiglia non poté che accettare la sua scelta e, con l’aiuto soprattutto di una zia, sostenne la decisione di Giacomo.
Fu così che, in piena adolescenza, conobbe la Congregazione dei Missionari del Sacro Cuore e lesse con interesse il loro mensile “Annali di Nostra Signora del Sacro Cuore”. Nello stesso periodo lesse “L’opera di un soldo”, che esortava ad offrire qualcosa per i missionari. Giacomo allora cominciò a chiedere a tutti quel soldo che poteva essere utile per i missionari della Nuova Guinea, diventata ormai la patria dei suoi desideri. Decise quindi di entrare tra i missionari del Sacro Cuore, ma la strada per diventare uno di loro fu molto lunga. Ci riuscì grazie al passionista padre Basilio Viti, il quale, presente a San Benedetto per una predicazione, venne a sapere del desiderio di Giacomo e disse: “Datelo a noi questo ragazzo. E non si parli di soldi!”. Giacomo allora partì per Roma, per poi essere ammesso al Collegio dei Passionisti a Rocca di Papa. Aveva quattordici anni. Lì restò per un anno, esercitandosi all’obbedienza, allo studio, alla pietà e al servizio. Il 9 Giugno del 1897 si trasferì a Soriano nel Cimino (Viterbo) per il noviziato. Vestì l’abito il successivo 21 Giugno e cambiò il nome in Giovanni. Visse un impegno totale. Il rigore non lo spaventava. La preghiera era la sua gioia. Lavorò per rendere più docile il carattere, più forte la volontà, più umile il comportamento. Compiuti ormai i sedici anni richiesti dalle norme canoniche, Giovanni emise la professione religiosa il 10 Agosto del 1898 a Moricone in provincia di Roma, ma vi rimase per pochi mesi: il suo Provinciale, infatti, decise di fargli completare gli studi umanistici mandandolo a Sant’Angelo in Pontano (Macerata) nel Febbraio del 1899 e poi al santuario della Madonna della Stella (Perugia) nel 1901. Nell’anno successivo, il giovane andò a Spoleto per la visita militare e fu fatto rivedibile per scarsezza di petto. L’anno dopo, nel 1903, fu dichiarato definitivamente inabile.
Di intelligenza pronta e versatile e con una memoria definita “prodigiosa”, fra’ Giovanni, alla fine degli studi liceali, iniziò l’ultima scalata verso il sacerdozio ministeriale, ma un male, all’epoca molto comune, iniziò ad insinuarsi nel suo corpo: la tubercolosi. L’intenso studio ed i continui spostamenti fiaccarono ancora di più il suo corpo già indebolito. un secolo fa la tubercolosi era un male inguaribile e fra’ Giovanni ne era consapevole, ma il suo corpo, debole e fiaccato faceva resistenza allo spirito. Nonostante la malattia, fra’ Giovanni riuscì a terminare gli studi necessari per accedere al presbiterato. Stava quindi per raggiungere il traguardo tanto desiderato, ma subentrò un ulteriore problema: non aveva infatti l’età richiesta dal Diritto Canonico per poter diventare prete; occorreva una dispensa particolare del Pontefice Pio X. Ottenuta la dispensa papale, fra’ Giovanni ricevette l’ordinazione diaconale il 19 Ottobre del 1904 e quella presbiterale il 4 Dicembre dello stesso anno, a soli 22 anni, per mano del vescovo di Spoleto, mons. Ercolano Marini.
Nonostante la gioia del desiderio finalmente realizzato, padre Giovanni dovette fare i conti con il suo stato di salute: da quel giorno, infatti, al sacrificio della Messa unì anche il sacrificio della sua vita appesa ad un filo sempre più sottile. Nel giro di un anno il male divenne sempre più acuto, ma padre Giovanni accettava tutto con disarmante serenità. A don Francesco Sciocchetti, il prete che lo aveva visto bambino, scrisse: “La speranza non abbandona mai i malati: questo mio desiderio di guarire però è conforme alle disposizioni di Dio su di me? In tale incertezza, dopo aver sperato e pregato, mi getto nelle braccia della divina Provvidenza, certo che Essa disporrà per il mio maggior bene”. Morì il 12 Dicembre del 1905, alle ore 18:00, pochi giorni dopo la festa dell’Immacolata Concezione, come era sempre stato nei suoi desideri.
Sepolto nel cimitero di Moricone, nel 1921 le sue spoglie furono esumate e collocate nella cappella dei Passionisti, per poi essere trasferite nel 1932 nella chiesa delle Monache Passioniste di Ripatransone. Il 9 Giugno del 1983 padre Giovanni dello Spirito Santo venne dichiarato venerabile da Papa Giovanni Paolo II. Nel 1985, ad 80 anni dalla sua morte, padre Giovanni riposa nella chiesa abbaziale di San Benedetto martire, dove i giovani cresimandi della Vicaria hanno pregato per la sua beatificazione.
























