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Thomas, 18 anni nel braccio della morte tra fede e lettere di speranza: “Non soccomberò a questa realtà”

Le lettere di William Thomas, dopo 18 anni nel braccio della morte in Illinois, raccontano un percorso di fede, resistenza e speranza nato grazie alla corrispondenza con volontari. La sua vicenda, insieme a quella di altri detenuti come James Duckett, mostra come la relazione umana possa sostenere chi vive una condanna estrema

In questo posto ci sono tanti uomini che si sono arresi e hanno perso ogni speranza. Io, invece, penso di essere stato benedetto in molti modi. Ma come posso essere stato benedetto nel braccio della morte? Non ti preoccupare, non sono matto. Non puoi immaginare quante cose ho imparato da quando sono in carcere”. A scrivere queste parole è William Thomas, in una lettera indirizzata a Teresella e Clemente, con cui intrattiene una corrispondenza epistolare.

“Spesso sogno una vita stabile, dove il futuro sia sicuro e il presente gratificante. Perché questo è un mondo in cui l’amore e la dignità non esistono… L’obiettivo quotidiano è sopravvivere. Eppure, in questo luogo, aspetto quel momento magico in cui non ci saranno più muri di cemento a separarmi dal mondo esterno e dalla bellezza della natura. Non soccomberò a questa realtà, anzi continuerò a coltivare la mia capacità di migliorare me stesso… è l’unica chiave della mia libertà…”.

Thomas scrisse queste parole quando si trovava nel braccio della morte nello Stato dell’Illinois, dove è rimasto per circa 18 anni. Oggi la sua condanna è stata commutata nell’ergastolo, dopo l’abolizione della pena di morte nello Stato. Sono ancora migliaia le persone che vivono in attesa, sperando che le cose possano cambiare. Sono 145 gli Stati che hanno abolito la pena capitale, mentre 54 la mantengono; tra questi, 15 hanno eseguito condanne a morte nel 2024, come evidenzia il rapporto 2024 di Amnesty International. Lo scorso anno 1.518 persone sono state messe a morte in 15 Stati.

In un’altra lettera Thomas scrive: “Quando mi raccontate le cose belle che capitano nella vostra vita, io le vivo attraverso il vostro racconto. Per favore, non smettete mai, perché questi pensieri mi aiutano”. Oggi Thomas è laureato in teologia e, in carcere, aiuta nello studio chi ne ha bisogno, soprattutto i più giovani.

Sono migliaia le lettere che circolano tra persone detenute grazie all’attività di singoli, associazioni e comunità come quella di Sant’Egidio, che da anni raggiunge migliaia di prigionieri condannati a morte non solo negli Stati Uniti ma anche in altri Paesi.

È stato particolarmente importante ricevere una seconda lettera, perché quando qualcuno mi scrive per la prima volta non so mai se scriverà di nuovo”, racconta James Aren Duckett, detenuto in Florida, in una lettera a Laura Bellotti, 82 anni, che ha narrato la loro esperienza e la storia di James nel libro “La seconda lettera” (Ianieri Edizioni), con prefazione di Mario Marazziti, da anni impegnato nella lotta alla pena capitale.

James è detenuto dal 1988, in seguito a una condanna per lo stupro e l’uccisione di una bambina di 11 anni. Si è sempre proclamato innocente. Da tredici anni intrattiene una corrispondenza con Bellotti: “Non avevo mai pensato di scrivere a un condannato a morte fino alla tarda età, quando, bloccata da patologie invalidanti, mi è stato proposto di scrivere a uno sconosciuto condannato a morte”, racconta al Sir. “Ho iniziato in punta di piedi e il primo impatto è stato sconvolgente, perché mi ha scritto di essere stato condannato per un orribile delitto che non ha commesso”.

Da questo incontro epistolare è nata una lunghissima corrispondenza e anche un libro, nel quale Bellotti afferma di voler “dimostrare la sua innocenza”. “La seconda sorpresa, per me, è stata – aggiunge – la sua grandissima fede in Dio. Jim mi ha insegnato tanto, davvero tanto: la fede incrollabile che gli ha permesso di sopportare ‘serenamente’ 37 anni vissuti in una cella di 2 metri per 3, privato del suo lavoro, della famiglia, di tutto, salvo degli amici che gli scrivono, del sorriso e della speranza nella giustizia terrena, oltre che della fiducia smisurata in Dio”.

James scrive: “La lotta continua! Non mollerò mai! Continuo a lottare contro il sistema giudiziario, per la vita, per la libertà… Cerco di nutrire la speranza di venire rilasciato un giorno, per vedere i miei figli e i miei nipotini… Gli altri detenuti qui e tutte le loro famiglie sperano che la giustizia finalmente arrivi e che venga abolita la pena di morte. Ma l’alternativa, cioè vivere in un buco di calcestruzzo per tutta la vita, non è propriamente soddisfacente, specialmente se uno è innocente”.

E ancora: “Sono stato arrabbiato con tutti e per qualunque cosa, compreso Dio. Ho proseguito così per dieci anni. Odio e rabbia per essere qui, per tutti quelli che mi hanno rinchiuso qui, ecc. Poi, nel ’97, è successa una cosa strana: ho ricevuto una lettera da Lily, una donna filippina che viveva in Canada. Era una lettera magica, così forte… Abbiamo iniziato a scriverci. Più tardi, nel corso dell’anno, mi ha chiesto se poteva venire a trovarmi e io ho accettato. Nel dicembre del ’97 è venuta a trovarmi e c’è stato il nostro primo incontro.

Laura, Lily era una donnina piccola, ma così piena di amore, luce di Dio e pace. Nel momento stesso in cui l’ho vista, sono stato travolto dal suo Spirito… Abbiamo parlato a lungo. Abbiamo letto la Bibbia e trascorso ore meravigliose insieme. Quando sono rientrato nella mia cella dopo l’ultimo incontro, mi sono ritrovato in ginocchio per terra e ho consegnato la mia vita a Dio. Gli ho detto: ‘Adesso pensaci tu, perché io non ce la posso più fare’. E ho percepito una pace totale. E così vivo da allora.

Quindi sì, anche io credo come te. Sorrido pensando a come sono attratto dalla Chiesa cattolica, ma non sono mai stato in una chiesa cattolica”.