DIOCESI – Abbiamo incontrato don Francesco Guglietta presso la Chiesa di San Pietro Martire di Ascoli Piceno. Oltre ad augurare un sentito in bocca al lupo al neoeletto parroco, c’è stato modo di intrattenersi per una breve, ma interessante, chiacchierata.
Com’è diventato sacerdote? Qual è stata la sua chiamata?
Sono diventato sacerdote nel 1993. La mia è stata una vocazione definibile come adulta, vale a dire che non ho fatto il liceo in seminario, ma sono entrato dopo aver tentato la strada universitaria. È stato allora che ho sentito la chiamata di Dio, cosa che mi ha portato a scegliere la strada del seminario. Nella mia chiamata c’è stato anche un desiderio di vivere una dimensione non solo di servizio pastorale, ma anche di consacrazione personale.
Nel 1992 sono diventato diacono per poi diventare, come detto in precedenza, sacerdote l’anno seguente nella mia diocesi di origine, quella di Gaeta.
La consacrazione personale, che cercavo fin dagli anni del seminario, si concretizzò in un modello di vita monastico, conosciuto nel periodo di Pasqua del 1999 attraverso una comunità di monaci e monache detta Fraternità di Gerusalemme.
Nel 2017 sono arrivato a Valledacqua, nella diocesi di Ascoli, e nel 2023, a seguito di un periodo di discernimento con il vescovo che ha voluto che svolgessi maggiormente il mio ministero ad Ascoli, ho iniziato ad aiutare don Daniele, che aveva due parrocchie, e poi ho assunto la cura pastorale della chiesa di San Pietro Martire.
In questo incarico ho potuto vedere una coerenza con quello che è il mio modello di vita: non una vita monastica isolata, ma quella ispirata a S. Bonifacio, monaco inglese che evangelizzò la vita monastica in Germania, diventandone anche patrono. Il dubbio che avevo sul prendere questo incarico era dovuto al non riuscire a vedere la parrocchia come uno spazio di evangelizzazione più che di conservazione di un certo modo di vivere. Alla fine, però, questo dubbio è venuto meno anche perché, essendo da solo a gestire la parrocchia, posso gestire al meglio i momenti di preghiera comune.
Cosa significa per lei vivere la fede? E come la vive quotidianamente?
La fede è, innanzitutto, una relazione con Gesù e questo mi permette di viverla non in maniera isolata, ma in una comunione sia a livello universale, si potrebbe dire una cattolicità orizzontale, con la possibilità di vivere questa relazione con la comunità parrocchiale; sia una cattolicità verticale, cioè quella della comunione dei santi.
Ultimamente ho potuto notare come la fede, in particolare quella cristiana, sia una continua opera di conversione, di purificazione della propria esperienza e idea di Dio. Un atteggiamento molto simile alla vita monastica, perché S. Benedetto definiva la vita monastica con il termine conversatio.
Per me la fede è questa purificazione continua tra quello che “penso, immagino e ritengo che Dio sia”. Questo è fondamentale perché, ad oggi, la fede è sempre più vista come un dato che richiede un’adesione ad un modello fisso. Invece la fede è un cammino personale in cui la conoscenza di Cristo porta costantemente a rinnovarsi.
Come vede il ruolo della Chiesa nella società moderna?
La Chiesa sta vivendo un processo di ridefinizione del rapporto con la società. In Occidente la Chiesa viene da un passato in cui Chiesa e società avevano creato una simbiosi che, però, da quasi 100 anni, pare essersi persa: le strutture ecclesiali fanno difficoltà a recepire questa idea, al punto che, quando il cardinale Zuppi ha detto che lo Stato di cristianità era finito, qualcuno si era scandalizzato. La Chiesa di oggi è chiamata a ricostruire un rapporto con la società tenendo conto del periodo storico che si sta vivendo, un periodo di profondi cambiamenti non solo politici, ma soprattutto culturali. È impossibile pensare ad un solo modello di rapporto, questo perché la società non ha più la solidità che aveva nel secolo precedente. Quello che bisognerebbe fare è vivere pienamente la vita cristiana e vivere pienamente in questa società.
Come gestisce lo stress di questo nuovo incarico?
Per indole e per esperienza di vita non sono una persona che si fa stressare. Lo stress dipende da una debolezza radicale: quella di dover rispondere a qualcun altro, con conseguente paura del suo giudizio. Nella mia esperienza di fede so che l’unico che mi giudica è il Signore ed il suo non è un giudizio che condanna, ma è utile per farmi crescere nella carità e nell’amore. Per quanto riguarda la parrocchia, io so di non essere solo e per qualsiasi cosa so di poter fare affidamento sulla comunità.
In un mondo che cambia così rapidamente, come fa a mantenere la sua fede?
Secondo me c’è una categoria molto importante, quella dell’attraversamento. Ti devi far attraversare dal cammino, o da alcuni cammini, che l’umanità compie. Questa cosa è importante e riguarda soprattutto la fede: noi siamo abituati a vederla come quando hai a che fare con un libro di matematica, hai il problema e a fianco hai la soluzione, ma tu non puoi andare a vedere direttamente la soluzione, la risposta non serve a nulla. Il cristiano è colui che fa lo svolgimento del problema e giunge alla soluzione, data dal Vangelo, una volta che è stato attraversato dallo svolgimento del problema. Purtroppo si tende a fare della fede una sorta di risposta tappabuchi che non risolva direttamente le questioni e questo genera sfiducia nei confronti della vita cristiana.
Come vede il ruolo della parrocchia nella comunità? Quali sono le più grandi sfide che la parrocchia affronta ad oggi?
Io vedo la parrocchia come la locanda della parabola del buon samaritano: Gesù compie la sua opera di salvezza stando vicino a quelli che stanno sul bordo della strada moribondi a causa dei briganti e li porta in questa locanda. Qui dice all’albergatore, che è un po’ la comunità strutturata, di prendersi cura del moribondo. La parrocchia è una comunità chiamata ad accogliere le persone che Cristo avvicina a lei. La parrocchia deve pensarsi così: una piccola comunità nella società che offre uno spazio a quelli che sono stati raggiunti dall’incontro con Cristo e che sa dialogare con altre realtà. Fino a quarant’anni fa parrocchia e società coincidevano e un parroco poteva dire: “in questa parrocchia c’erano 2000 anime”; tuttavia oggi non è più così, tante persone che vivono nel territorio della parrocchia non ci sono. A tal motivo non ci si può pensare come una società, ma come una comunità. Ad oggi una società è formata da tante comunità che propongono diversi modi di vivere; la parrocchia è una di queste, propone la fede come modo di vivere.
Come vede il rapporto tra Chiesa e le altre religioni?
Il pontificato di Francesco è stato molto decisivo su questo, il rapporto dev’essere quello di persone che cercano il volto di Dio. Le religioni sono il tentativo dell’umanità di rispondere al desiderio di pienezza, di infinito che l’uomo ha dentro di sé. Questo aspetto ha delle ambiguità: intanto, come penserebbe un ateo, chi ci dice che potrebbero esserci delle risposte? Che le vostre costruzioni religiose altro non sono che espressioni di quello che voi desiderate piuttosto che di una realtà che davvero esiste? Io mi sento abbastanza vicino a questa idea, tanto da averci fatto sul mio canale YouTube qualche video su questo tema, sul fatto che il cristiano è di fatto un ateo perché mette costantemente in dubbio l’idea di Dio. L’altro aspetto è che le religioni hanno la tendenza ad assolutizzare le visioni di Dio e le pratiche a Lui legate come se fossero le uniche possibili; invece le esperienze possono cogliere solo alcuni aspetti del volto di Dio. Per questo serve una purificazione, essa avviene con l’incontro del Vangelo e con la persona di Gesù, che avviene nel tempio, dove vengono tolte le incrostazioni che, nella vita religiosa, ci sono sempre. La Chiesa in questo è in cammino, insieme alle altre religioni, affinché la ricerca del volto di Dio sia sempre più autentica.
Cos’è la cosa che, del suo ministero, le dà più gioia?
Una gioia speciale è quando, certe volte, confessi delle persone e vedi come c’è un’opera di Dio che è accanto alla persona, che l’aiuta nella sua vita, nel suo cammino di santificazione. Quello che mi dà davvero gioia è essere spettatore dell’opera che Dio compie nella vita di alcune persone; questo è davvero molto consolante.
