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Intervista ad Alessia Di Quirico, il soprano sambenedettese che conquista il pubblico internazionale

Alessia Di Quirico

SAN BENEDETTO DEL TRONTOAlessia Di Quirico, giovane soprano di San Benedetto del Tronto e studentessa del Conservatorio “G.B. Pergolesi” di Fermo, ha recentemente ricevuto una menzione d’onore al Concorso Internazionale di Canto Antonín Dvořák a Karlovy Vary, in Repubblica Ceca, distinguendosi per maturità espressiva e solidità tecnica. Tra concerti in Italia e all’estero, Alessia, classe 2002,  sta costruendo un percorso artistico di rilievo e ci racconta oggi la sua passione per il canto, le esperienze che l’hanno formata e i progetti futuri.

Alessia, cosa ha significato per lei ricevere questa menzione d’onore in Repubblica Ceca?
Ricevere questa menzione d’onore è stato un momento di profonda emozione e sincera gratitudine. Non me lo aspettavo: puntavo a partecipare e crescere confrontandomi con altri cantanti; per me era già una vittoria aver superato la prima eliminatoria, la seconda e, ancor di più, essere arrivata a cantare al concerto della finale. Viverlo è stato come vedere riconosciuti anni di studio, sacrificio e dedizione. Ma soprattutto è stata una conferma preziosa di essere sulla strada giusta. Sapere che il mio lavoro venga apprezzato mi ha riempita di gioia e mi ha dato una nuova spinta a crescere artisticamente e personalmente. Essendo un’arte, ti porta sempre qualcosa di nuovo dentro.  Inoltre, oltre alla menzione, ho ricevuto un premio per la migliore interpretazione del repertorio ceco eseguita da un partecipante straniero.

Quando ha scoperto la passione per il canto e cosa l’ha spinta a intraprendere questo percorso?
La passione per il canto è nata quasi per caso. Da bambina studiavo danza e la musica ha sempre fatto parte del mio quotidiano. Ho iniziato a cantare per gioco, affrontando un repertorio più jazzistico con mio padre e poi esibendomi in chiesa. Chi mi ascoltava mi incoraggiava a studiare canto lirico e così ho deciso di immergermi in un mondo che mi era del tutto sconosciuto e che ho poi scoperto essere straordinario. L’incontro con insegnanti che hanno creduto in me è stato decisivo: da un gioco è sbocciata una passione che oggi spero diventi una vera professione.

Ricorda la sua prima esperienza sul palcoscenico? Come si è sentita in quel momento?
Ricordo perfettamente la mia prima volta sul palcoscenico: ero emozionata, intimorita, ma anche incredibilmente felice. Non ho mai riposto grande fiducia nella mia voce, eppure proprio quel giorno ho percepito la forza che può scaturire da dentro. Il canto permette di comunicare direttamente con l’anima, e questo credo sia un privilegio immenso. In quell’istante ho compreso che il palco era il mio posto, il luogo dove sentivo di poter perseguire un vero obiettivo, ovvero donare emozioni e riceverne altrettante dal pubblico, raccontando una storia attraverso la musica. Non ho mai avuto un’autostima particolarmente forte e continuo a essere molto autocritica, ma quando qualcuno si avvicina emozionato dopo un’esibizione, il mio cuore si scalda e capisco di essere dove devo essere.

Che ricordo ha dei primi anni di studio al Conservatorio di Fermo? Quali sono stati i momenti più significativi?
Gli anni al Conservatorio di Fermo sono stati complessi: non sono iniziati nel migliore dei modi, trovare l’insegnante giusto non è stato semplice. Quest’anno però, grazie allo studio con il Maestro Monica Bacelli e a delle masterclass, sto riscoprendo la mia voce, affrontando le difficoltà tecniche e comprendendo il senso del canto: trasmettere poesia che tocchi l’animo, oltre che interpretare una linea musicale. Anche i primi concerti come solista sono stati fondamentali: dal Pie Jesu del Requiem di Fauré allo Stabat Mater di Pergolesi, eseguito per la prima volta a Washington D.C., fino al mio debutto nel ruolo di Serpina ne La Serva Padrona di Pergolesi, vissuto accanto a compagni e maestri speciali che hanno avuto fiducia in me e mi hanno dato la spinta per iniziare a credere in me stessa e in ciò che sto facendo. Sono estremamente grata per ciò che questi anni di studio mi hanno donato.

Ci può parlare dei brani o delle opere con cui si sente più vicina artisticamente?
Mi sento profondamente legata ai ruoli che uniscono intensità emotiva e raffinatezza vocale. Amo il repertorio lirico e trovo in personaggi come Rusalka una gamma infinita di sfumature da esplorare. Sono attratta da musiche che fondono poesia, profondità e un’intensità squisitamente romantica, spesso attraversata da un velo di malinconia.

C’è qualche cantante o artista che considera un modello o un’ispirazione per il suo percorso?
Assolutamente sì. Come disse Montserrat Caballé in un’intervista con Marzullo, “la musica è rinata con Maria Callas”, e forse è anche grazie a lei se l’opera vive ancora oggi con tale forza. Per me la Callas è un esempio totale: cantante, interprete, attrice, artista dalla sensibilità unica. Ammiravo e ammiro profondamente anche Mirella Freni, Renée Fleming, Jessye Norman per la loro tecnica impeccabile e la loro capacità di raccontare un personaggio attraverso il timbro, il colore, il respiro. Tra le artiste contemporanee, figure come Cecilia Bartoli, Maria Agresta, Rosa Feola, Lisette Oropesa e Rachel Willis-Sørensen mi ispirano per dedizione, umiltà e autenticità.

Come affronta la preparazione di un brano prima di una performance importante?
Comincio sempre dal lavoro tecnico, per poi dedicarmi al testo poetico, cercando di penetrare il carattere del personaggio e inserirvi qualcosa di mio. Prima di salire sul palco ho bisogno di raccoglimento: silenzio, concentrazione e un dialogo intimo con la musica e le parole. Cerco di ricordarmi di godere del momento, trasformando l’ansia in energia affinché non mi sovrasti, ma mi accompagni.

Qual è stata l’esperienza più emozionante della sua carriera finora, tra Italia e estero?
È difficile sceglierne una sola, ma l’esperienza in Repubblica Ceca ha avuto qualcosa di speciale: cantare davanti a una giuria internazionale e percepire una connessione immediata con il pubblico è stato indimenticabile. Era il mio primo concorso, la mia prima esibizione in teatro con un’orchestra sinfonica: un battesimo artistico vero e proprio. Sono molto legata anche alle rappresentazioni de La Serva Padrona, che mi hanno dato fiducia e slancio, e allo Stabat Mater di Pergolesi eseguito a Washington. Pochi giorni prima avevo perso mio zio e, cantando nel giorno di Pasqua, ho sentito una vicinanza profonda e quasi spirituale.

Ci sono generi musicali o repertori che le piacerebbe esplorare in futuro?
Sono ancora alla ricerca di un repertorio pienamente adatto alla mia vocalità, vista la mia giovane età e i pochi anni di studio. Tuttavia, sono affascinata da molti ruoli e da arie che spero un giorno di affrontare. Mi incuriosisce anche la musica vocale da camera, che offre un’intimità e un dialogo musicale davvero unici.

Quale consiglio darebbe ai giovani che vogliono avvicinarsi al mondo del canto lirico?

Direi di avere pazienza e di non scoraggiarsi. Anch’io sono entrata in questo mondo senza conoscerlo e ho scoperto un percorso complesso, spesso faticoso, ma pieno di significato. Nulla ripaga più del dono di poter emozionare ed essere emozionati. La voce è uno strumento delicato, che richiede tempo per maturare: serve un buon maestro, uno studio costante e la capacità di preservare la gioia di cantare anche nei giorni più difficili. Credo che ciò che conti davvero sia imparare a conoscersi attraverso l’arte: dare e ricevere, scoprire e scoprirsi. E poi, come in ogni mestiere, non si smette mai di imparare. Io per prima sento di avere ancora tanto da studiare, da comprendere e da costruire. La curiosità, a volte, può vacillare sotto il peso delle difficoltà, ma l’arte ha una forza speciale: quando la si vive con sincerità, ripaga sempre, e lo fa toccando l’anima.