Di Don Francesco Mangani
È stato pubblicato il nuovo documento del Dicastero per la dottrina della fede, la Nota dottrinale Mater populi fidelis, dedicato ai titoli mariani tra cui Mediatrice e Corredentrice. Poche ore dopo già in molti lo hanno interpretato in maniera ideologica e affrettata, sostenendo che la Chiesa non creda più in Maria come Corredentrice e Mediatrice, senza probabilmente nemmeno aver letto o compreso il testo. Il problema, in realtà, non è ciò che il documento afferma, ma questa lettura superficiale di chi non vuole entrare nel cuore della riflessione teologica che esso propone. Il documento non nega i titoli, ma li ricolloca nella loro giusta prospettiva teologica, mostrando come essi trovino pieno significato solo nella luce di Cristo, unico Mediatore e Redentore, e nella comunione della Chiesa, di cui Maria è la prima e la più perfetta credente.
La circolarità tra Scrittura, teologia e Magistero nella riflessione teologica
Ogni autentica riflessione teologica si nutre di una circolarità viva tra Sacra Scrittura, Traditio e Magistero, che non sono tre livelli separati, ma tre dimensioni di un unico movimento dello Spirito nella storia della riflessione sulla fede. La Scrittura offre il fondamento rivelato, la teologia -come Traditio, cioè l’argomentazione viva della ragione- elabora il senso e l’intelligenza del mistero, il Magistero definisce, attualizza e custodisce l’unità e l’equilibrio nel cammino ecclesiale. In questa dinamica, i pronunciamenti magisteriali della Chiesa sono luce sul giacimento, cioè momenti di discernimento che illuminano il deposito della fede senza esaurirlo. I dogmi sono giacimenti, punti di approdo e, al tempo stesso, di ripartenza, nei quali la riflessione credente continua il suo percorso, scavando, approfondendo, contemplando la ricchezza inesauribile del mistero rivelato. Proprio dentro questa circolarità si colloca la recente Nota dottrinale Mater Populi Fidelis, che affronta il tema di alcuni titoli mariani — tra cui Corredentrice e Mediatrice — oggetto di uso devozionale e di dibattito teologico. Il documento non intende introdurre nuove definizioni né proibire le espressioni della pietà popolare, ma ricondurle al loro giusto valore teologico, affinché la figura di Maria non sia deformata da eccessi interpretativi, ma risplenda nel suo volto autentico di Madre del Signore e del Popolo fedele di Dio. La Mater Populi Fidelis chiarisce dunque che il linguaggio mariano, pur aperto alla ricchezza della devozione, deve sempre mantenere il suo centro cristologico e trinitario. In questo senso, i titoli attribuiti a Maria trovano il loro significato solo all’interno dell’unica economia della salvezza, come riflesso e partecipazione al mistero di Cristo. Il documento, dunque, non chiude la discussione, ma la orienta: restituisce equilibrio al pensiero mariano e lo colloca nel cuore stesso della teologia, dove Scrittura, riflessione e Magistero convergono in un’unica contemplazione del disegno divino.
La giusta interpretazione dei due titoli
I titoli di Corredentrice e Mediatrice nascono per esprimere la cooperazione unica di Maria all’opera redentrice di Cristo. Tuttavia, col tempo, l’uso di tali appellativi ha generato ambiguità. Il titolo di Corredentrice non implica che Maria “redima” insieme a Cristo, ma che, con fede e libertà, partecipa alla sua missione salvifica. Il “co-” non indica uguaglianza, ma collaborazione: Maria accoglie l’azione divina, la accompagna e la offre con il Figlio. È, dunque, corredentrice solo in senso subordinato e partecipato, come segno della risposta perfetta dell’umanità alla grazia. In questo senso, la Chiesa ne riconosce il valore devozionale ma ne sconsiglia l’uso dottrinale, per evitare di oscurare l’unicità del Redentore. In senso teologico, dunque, Maria è corredentrice solo nella misura in cui rappresenta l’umanità redenta che accoglie e collabora all’opera salvifica di Cristo. La sua cooperazione è reale ma totalmente dipendente, frutto della redenzione preveniente di cui ella stessa è la prima beneficiaria. Per questo, come ha chiarito Ratzinger, il titolo Corredentrice può essere devoto, ma è “teologicamente inappropriato” se usato senza precisare che Cristo è l’unico Redentore. Anche Francesco era della stessa linea. Leggiamo inoltre nel documento: “Considerata la necessità di spiegare il ruolo subordinato di Maria a Cristo nell’opera della Redenzione, è sempre inappropriato usare il titolo di Corredentrice per definire la cooperazione di Maria. Questo titolo rischia di oscurare l’unica mediazione salvifica di Cristo e, pertanto, può generare confusione e squilibrio nell’armonia delle verità della fede cristiana, perché «in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,12). Quando un’espressione richiede numerose e continue spiegazioni, per evitare che si allontani dal significato corretto, non serve alla fede del Popolo di Dio e diventa sconveniente. In questo caso, non aiuta ad esaltare Maria come prima e massima collaboratrice dell’opera della Redenzione e della grazia, perché il pericolo di oscurare il ruolo esclusivo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo per la nostra salvezza, l’unico capace di offrire al Padre un sacrificio di infinito valore, non costituirebbe un vero onore alla Madre. In effetti, ella come «serva del Signore» (Lc 1,38), ci indica Cristo e ci chiede di fare «qualsiasi cosa Lui vi dica» (Gv 2,5)”.
Analogamente, il titolo di Mediatrice designa la funzione materna e intercessoria di Maria nella Chiesa. Ella non è fonte della grazia, ma madre che intercede e dispone i cuori a riceverla. La Lumen gentium e la Nota Mater Populi Fidelis sottolineano che la sua mediazione è tutta “in Cristo e per Cristo”, partecipata all’unica mediazione del Figlio. Perciò la Nota Mater Populi Fidelis invita a comprendere questo titolo come espressione della mediazione partecipata di Maria: ella è Mediatrice non perché trasmetta la grazia in modo causale, ma perché, con la sua preghiera materna, orienta i credenti all’incontro con Cristo, unica fonte della grazia. Precisa il documento:”Tutto ciò non per i suoi meriti, ma perché a lei furono applicati pienamente i meriti di Cristo sulla Croce, in modo peculiare e anticipato, per la gloria dell’unico Signore e Salvatore. Insomma, Maria è un canto all’efficacia della grazia di Dio, cosicché qualsiasi attestazione della sua bellezza rimanda immediatamente alla glorificazione della fonte di ogni bene: la Trinità. L’incomparabile grandezza di Maria risiede in ciò che lei ha ricevuto e nella sua disponibilità fiduciosa a lasciarsi ricolmare dallo Spirito. Quando ci sforziamo di attribuirle funzioni attive, parallele a quelle di Cristo, ci allontaniamo da quella bellezza incomparabile che le è propria. L’espressione “mediazione partecipata” può esprimere un senso preciso e prezioso del posto di Maria, ma se non compresa adeguatamente potrebbe facilmente oscurarlo e persino contraddirlo. La mediazione di Cristo, che per certi aspetti può essere “inclusiva” o partecipata, per altri aspetti è esclusiva e incomunicabile”.
In questa prospettiva di circolarità teologica, le due denominazioni — Mediatrice e Corredentrice — si chiariscono e si illuminano a vicenda: entrambe rinviano alla dinamica di comunione tra l’azione di Dio e la libertà della creatura. Maria è l’icona di questa reciprocità: la “serva del Signore” che, accogliendo la grazia, diventa segno vivente della cooperazione umana al mistero della Redenzione. Il documento Mater Populi Fidelis non intende dunque abolire questi titoli, ma restituirne la giusta statura teologica: essi devono esprimere non una grandezza autonoma di Maria, ma la sua piena appartenenza alla storia della salvezza, dove ogni suo atto è rivolto a Cristo e rimanda a Lui. Così, la Vergine non è mai posta accanto al Redentore, ma interamente in Lui, come la creatura che più di ogni altra ha accolto, servito e riflesso la grazia che salva.